La pandemia non ferma la crescita delle start-up e delle pmi innovative

«Sul fronte dell’innovazione digitale, il governo Gialloverde ha ingranato la retromarcia. La raffica di tagli agli interventi di sostegno agli investimenti in information technology varati nella precedente legislatura rischia di compromettere un processo di modernizzazione appena avviato, allontanandoci dagli stessi obiettivi di crescita annunciati dalla legge di Bilancio presentata per il 2019». Marco Gay, primo presidente della neo-unificata associazione di tutti gli imprenditori dell’informatica e dell’elettronica Anitec-Assinform, ha messo questa denuncia al centro della sua relazione alla prima assemblea associativa post-unificazione: «Partiamo da Impresa 4.0, un programma di politica industriale dedicato all’innovazione che avremmo voluto fosse sganciato da dinamiche partitiche: a quanto si legge fino ad oggi nelle varie bozze le risorse stanziate sono state dimezzate per l’anno venturo rispetto al 2018», sottolinea. «Inoltre, si riducono le aliquote dell’iperammortamento al crescere del valore dell’investimento e oltre i 20 milioni non c’è più nessun beneficio».

Però è stata lasciata la tassazione agevolata Ires!

Sì, ma solo se gli utili vengono reinvestiti in occupazione e beni materiali, niente sui beni immateriali. E soprattutto è solo sulla spesa incrementale, quindi, purtroppo, sarà davvero una quantità marginale a essere defiscalizzata. A fronte, invece, di tagli pesanti su superammortamento, credito di imposta per la formazione 4.0, Competence Center e deduzioni per spese in ricerca e sviluppo.

Ma Confindustria cosa vorrebbe?

Come avevamo proposto con Confindustria Digitale avrebbe dovuto essere introdotta l’iperdeducibilità delle spese per software e per i sistemi e servizi IT erogati in cloud o via piattaforma web. Sarebbe stato necessario potenziare la defiscalizzazione del capitale di rischio in startup innovative, pmi innovative dal 30% almeno al 50%. E avviare una riforma delle tecnologie digitali nella Pubblica Amministrazione, per avere finalmente un set di requisiti minimi per 8 mila comuni, 20 regioni e per l’amministrazione centrale che sia omogeneo, efficace ed efficiente.

Però, Gay: il vostro settore va bene, anche al di là degli incentivi, o non è vero?

Le imprese hanno fatto molto, moltissimo. L’Information communicaton technology (ICT) in Italia cresce quasi il doppio del Pil. E dopo un incremento del 2,3% nel 2017, il mercato digitale italiano – informatica, telecomunicazioni, contenuti ed elettronica di consumo – promette di crescere, con condizioni Paese costanti,  ancora del 2,3% nel 2018, del 2,8% nel 2019 e del 3,1% nel 2020 fino a raggiungere un valore complessivo di 75 miliardi. Un’accelerazione tale da aver indotto il World Economic Forum a rivedere i parametri della sua classifica internazionale sulla competitività in base alla “quarta rivoluzione industriale”. E benché il ranking sia ancora guidato da Stati Uniti, Singapore e Germania, l’Italia sale dal 43esimo posto al 31esimo. Un risultato ancora migliore lo conseguiamo nella capacità di innovazione dove l’Italia è 22esima.

Ancora lontanissimi dal podio, però…

Già, perché non siamo sul podio? Perché dal 2000 ad oggi abbiamo un gap digitale accumulato di oltre 300 miliardi di euro non investiti in innovazione rispetto alla media dei paesi europei. Un gap che ci è costato in mancata crescita economica, mancata produttività e mancata occupazione.

E dunque?

Dunque tutto il recupero già ottenuto è stato reso possibile dagli investimenti privati, delle aziende, supportate da una visione di politica industriale per il 4.0. Lo scorso anno, ad esempio, gli investimenti in early stage sono cresciuti del 16,5%, quelli privati di venture capital e business angel nei primi 9 mesi del 2018 hanno toccato i 307 milioni, quelli in nuovi macchinari hanno viaggiato a tassi del 35% e quelli in ricerca e sviluppo nel settore Ict sono stati di oltre 12 miliardi, ovvero il 2,3% del proprio fatturato contro una media dello 0,3% di tutti i settori produttivi.

E non basta?

No, non basta. Non è assolutamente poco, anzi, ma era tale il gap che ci divideva dal resto del mondo sviluppato che non basta. Bisogna fare ancora molto, molto di più. Prendiamo il comparto dei Servizi ICT, che nel 2017 ha superato gli 11 miliardi e per il quale si stima un tasso medio di crescita in 3 anni del 5,3%. Prendiamo la forte dinamica dei servizi cloud, con un incremento atteso del 20,3%. O ancora il comparto software e soluzioni ICT al 7,3%. E’ questo il peso delle componenti più innovative, dalla Cybersecurity al Mobile, da IoT ai Big Data. Questi sono i Digital Enabler, proprio perché permettono di fare cose nuove e capaci di trainare l’intero mercato con u; grande impatto positivo su tutte le industrie.

Insomma; rispetto alle quantità, c’è ancora tanto da fare…

Sì, ma non è solo una questione quantitativa dell’offerta: cambia in meglio anche la qualità della domanda in molti settori d’utenza, dal Finance all’Industria, alla Distribuzione alle Utility. E nascono nuove sfide e nuovi mercati collegati all’Intelligenza Artificiale e alla Blockchain.

Ma torniamo alla visione del governo: cosa c’è che non va, nella manovra 2019? Conosciamo le tesi generali di Confindustria. E il suo settore?

Leggendo la manovra, sorge il dubbio che l’innovazione non sia in cima alle priorità del Governo: se c’è il timore che innovazione equivalga a distruzione di posti di lavoro, se è questa la ragione che sta impostando le scelte di politica economica, parliamone. Nel momento in cui parliamo, tutto è ancora in divenire, e le speranze sono legittime. Ma dobbiamo prendere atto per ora che, come dicevamo all’inizio, sono stati dimezzati gli incentivi di Impresa 4.0, derubricata la voce sviluppo fra le poste di bilancio residuali, cancellato istruzione e formazione dalle priorità pubbliche.

Ma il governo dice che vuole indirizzare il sostegno all’innovazione delle Pmi…

È vero che le piccole imprese sono un target da sostenere con maggior vigore perché faticano ad avere liquidità sufficiente per la trasformazione tecnologica. Ma non è tagliando gli investimenti delle grandi imprese che si persegue questo scopo. Perché startup, pmi, grandi aziende e multinazionali fanno parte di una unica filiera che cresce o si contrae insieme. Semmai, un contributo alle piccole imprese si dà irrobustendo e semplificando il Fondo di Garanzia, che invece viene rifinanziato con risorse minori. Non bastano misure specifiche seppur apprezzabili come sul blockchain o il venture capital: è il sistema industriale nel suo complesso che va sostenuto negli investimenti in innovazione e ammodernamento tecnologico. E questo non avviene se la manovra finanziaria privilegia la spesa corrente a quella in conto capitale

Ci sono secondo lei possibilità di recupero?

Sì, c’è ancora modo di intervenire in sede parlamentare e ci auguriamo davvero che la politica comprenda la necessità di farlo. Crediamo nella collaborazione con chi deve compiere scelte fondamentali: non solo sull’allocazione delle risorse pubbliche per il settore privato ma anche per il futuro sociale e culturale del Paese che passa da identità digitale, open data, e-government, azzeramento del digital divide, pagamenti elettronici, sanità e giustizia digitale, istruzione e ricerca, smart city in un contesto che non può che essere europeo. Ed ecco perché con questa consapevolezza e con questo spirito – dialogo con chi governa e rispetto per la politica – esprimiamo una profonda preoccupazione e delusione per le scelte che si stanno compiendo in questi giorni. E lo facciamo con la convinzione assoluta che il digitale sia la nostra occasione per crescere, come aziende, come cittadini, come Paese.