Michelangelo Tagliaferri

Ce lo ricordiamo tutti il mood degli anni Ottanta e Novanta: in tivù andavano tramissioni come Drive In, tra sketch e prosperose ragazze seminude, e il linguaggio pubblicitario faceva leva più sul basso ventre (maschile) che sul prodotto. Trent’anni più tardi, scopriamo che le réclame con espliciti riferimenti sessuali attraggono sì l’attenzione, ma hanno un effetto del tutto nullo sulle intenzioni d’acquisto. Secondo lo studio AdReaction: Getting Gender Right, i cui risultati sono stati diffusi a gennaio da Kantar, fra i leader nelle ricerche di mercato a livello globale, una rappresentazione errata della donna in pubblicità, che può essere, ad esempio, quella stereotipata delle donne oggetto del desiderio, abbia un impatto negativo sull’efficacia dei singoli annunci e delle campagne. Di più: ciò si traduce in una perdita di valore in media di 9 miliardi di dollari nella valutazione di quei brand portatori di una visione femminile stereotipata. E poi, nell’era del politically correct, quali polveroni potrebbero suscitare oggi sui social pubblicità come quella della Morositas in cui una giovanissima Carmen Russo diceva maliziosamente “Me le guardano tutti” o dove un uomo inciampava piombando sul seno di una “morbida” donna di colore.

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O, ancora, a quante proteste avrebbero potuto provocare gli spot del Calippo, se oggi un cartellone pubblicitario come quello di Pandora con lo slogan “Un ferro da stiro, un pigiama, un grembiule, un bracciale Pandora. Secondo te cosa la farebbe felice?” ha potuto scatenare, giustamente, una valanga di polemiche e proteste che hanno tacciato il brand di essere fortemente sessista.

L’ironia prima di tutto

Il concetto di sexy con le nuove generazioni si è evoluto profondamente: «Non si tratta di un linguaggio superato, ma certamente è in atto una rivoluzione culturale», spiega Stefania Siani, direttore creativo esecutivo del Gruppo Dlv Bbdo. «Dalla crisi dello show di Victoria’s Secret passando per il caso D&G in Cina, la sensibilità globale sul tema dell’uso erotico-sessuale della donna in pubblicità sta creando in molti brand e molti reparti marketing una sorta di autoregolamentazione su questi temi. Anche se purtroppo alcune categorie merceologiche, come intimo, abbigliamento, profumeria e bellezza, sono i primi a nutrire il loro business suggerendo alle donne di stare al mondo come oggetto sessuale e di seduzione. Per quanto mi riguarda, dovrebbero esserci pene e sanzioni per chi trasferisce nell’immaginario collettivo l’idea di una donna oggetto che diventa metafora dei prodotti di consumo perché è grazie a questo tipo di cultura se oggi tanti uomini considerano le donne una propria proprietà e sono capaci di compiere inaudite violenze». «L’erotismo ha sempre nutrito la nostra immaginazione e continuerà a farlo», sottolinea Vincenzo Russo, professore di Psicologia dei Consumi e Neuromarketing e direttore Scientifico del Centro di Ricerca di neuromarketing Behavior and Brain Lab dello Iulm di Milano. «Però, di fronte a consumatori, specie le donne, sempre più consapevoli e attenti, l’uso eccessivo e banale dell’attrazione sessuale rischia di divenire un elemento di rifiuto più che di attrazione, capace di svilirne l’efficacia».

Ma dove si trova questo discrimine, quale il giusto equilibrio? Per esempio nell’utilizzare l’erotismo in chiave ironica. «L’ironia in pubblicità», spiega Siani, «rende memorabili, simpatici, e alleggerisce i messaggi. Ma mai deve diventare ammiccamento e facile battuta che di nuovo rende la donna oggetto di doppi sensi ormai stantii e superati».

Impresa non scontata, anche perchè, sottolinea Michelangelo Tagliaferri, esperto (tra l’altro) di semiotica pubblicitaria e fondatore a Milano di Accademia di Comunicazione, «trovare il tono ironico giusto non è facile, e quelli che ci riescono risultano vincenti nella loro comunicazione in quanto l’ironia rompe gli schemi e crea meraviglia, quindi attrae, cattura l’attenzione». Pensiamo, tanto per fare un esempio, allo spot Nestea di qualche anno fa in cui una coppia in una calda giornata estiva è a letto, lui voglioso, lei no a causa dell’afa, per cui pronuncia la fatidica frase diventata poi un tormentone “Antonio, fa caldo”. Lui le offre la bibita dissetante e la situazione cambia repentinamente (“Antonio, fa freddo”), lasciando ipotizzare che finalmente si arriverà al rapporto sessuale. «Un tipico esempio di spot», spiega il professor Russo, «che gioca magistralmente su entrambi i registri, l’ironia e l’erotismo, toccando le corde della commedia all’italiana e rimandando a uno scenario domestico esplicitamente ispirato a Divorzio all’italiana».

Attualità, valori e impegno sociale

Ma l’ironia in advertising non funziona solo in campo erotico. Basti guardare al successo delle campagne  pubblicitarie, diventate virali, della società di onoranze funebri Taffo che opera nel Centro Italia (nelle immagini una carrellata). Ideate dall’agenzia KiRweb, utilizzano slogan ironici e dissacranti, talvolta cinici, per parlare della morte e dei servizi ad essa connessi.

Slogan come “Regalo monolocale seminterrato”, con riferimento alle bare vendute a prezzi convenienti, hanno diviso l’opinione pubblica fra chi ne ha apprezzato l’ironia e chi le ha invece pesantemente criticate, scatenando sul web un acceso dibattito e raggiungendo quindi l’obiettivo di comunicazione: far parlare di sé. Obiettivo che passa anche attraverso precise prese di posizione su temi sociali, per esempio sul riconoscimento dei diritti alla comunità LgbtT con la campagna “Qualunque sia la tua famiglia, c’è una cosa che ci renderà tutti uguali”.

«Le campagne più efficaci al mondo oggi», sottolinea Stefania Siani, «sono quelle che prendono posizioni valoriali. Pensiamo al Grand Prix di Procter & Gamble “Black is Beautiful”. O alla campagna Nike con l’ex giocatore di football americano Colin Kaepernick contro le discriminazioni razziali. Il trend è quello di individuare delle persone, anche reali, non in qualità di testimonial ma di testimoni di nuovi e più avanzati valori.  L’ultima campagna che porta la nostra firma, per esempio, realizzata per il gruppo Selex e dedicata agli assorbenti ultra essenziali, ha una forte connotazione sociale e ha avuto un successo straordinario: abbiamo chiesto alle persone di firmare con noi la petizione per l’abolizione della tampon tax, perché, incredibile ma vero, gli assorbenti in Italia non sono considerati beni di prima necessità e dunque sono tassati al 22%. Noi li abbiamo messi nei supermercati di tutta Italia confezionati nei sacchetti del pane della pasta, nelle scatole del pomodoro, perché sono essenziali come il pane. Il riscontro e la partecipazione sono stati incredibili».

Partecipazione e coinvolgimento, altre due parole chiave di una comunicazione di successo. «In un mondo di sovraccarico comunicativo e considerando le nuove generazioni che hanno un consumo dei mezzi totalmente diverso», spiega Stéphanie Leix, head of Creative & Media Kantar Millward Brown, «i brand dovranno essere sempre più autentici e offrire qualcosa di vero in cui identificarsi e di cui fare esperienza. La brand experience sta diventando quindi sempre più importante e i temi di sostenibilità e di genere fuori da ogni stereotipo, pensiamo soltanto agli spot Nike con all’estero protagonista Serena Williams e in Italia Bebe Vio e altre sportive con lo slogan “Nulla può fermarci”, diventeranno regole di base da cui non si potrà più prescindere».