Irene Pivetti è tra i pochissimi politici italiani che, uscita dalle Camere, ha saputo voltare pagina e iniziare una propria attività professionale autonoma. In questo momento è sotto inchiesta per alcune accuse gravi, dalle quali si difenderà nel processo. Chi la conosce personalmente non può credere che siano fondate. Ad ogni modo l’articolo 48 della Costituzione stabilisce che “ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata”. E quindi nulla deve velare l’interesse di confrontarsi con una profonda conoscitrice della Cina sul futuro dei rapporti italiani con quel Paese.
(s.l.)
«Il dibattito sulla disdetta dell’accordo per la ‘via della seta’ è stato deprimente per l’abuso di analisi superficiali e quindi sbagliate. Constato che si parla di una ridefinizione dei rapporti con la Cina, e non della loro rottura: ci mancherebbe che noi rinunciassimo a una relazione così importante con un Paese che non si è mai mostrato aggressivo verso l’Italia ed ha anzi avanzato una serie ininterrotta di proposte commerciali e di partnership. Certo è che la sconfessione di quell’accordo non aiuta».
Cosa avrebbe dovuto fare il governo, invece?
Avrei compreso un’argomentazione di tipo politico interno: dire che l’accordo preso da maggioranza opposta, è impostato secondo criteri diversi dagli attuali, per ridefinirlo. A prescindere dalla Via della seta, l’Italia ha valori di interscambio con la Cina che sono la metà di quelli della Germania e i due terzi di quelli con la Francia, e questi due Paesi non hanno mai firmato accordi strutturali con Pechino. La verità è che non abbiamo mai saputo gestire bene quella relazione, continuando a considerarla dal punto di vista della bilancia commerciale, che invece è solo una parte del discorso. Un’altra grandissima parte del nostro export è fatta da tecnologie che, per esempio con Leonardo, vendiamo più che tutto il fashion…
Che fare?
Reimpostare meglio i rapporti bilaterali. E quindi se il discorso di Meloni significa: adesso con la Cina si fa sul serio, ben venga. Lo smantellamento della Via della seta non riguarda la nostra tremebonda firma sotto un protocollo, riguarda un altro aspetto, evidentemente tutto da valutare, cioè l’uscita da un colossale programma di investimento infrastrutturale, mai visto si può dire da millenni. Un piano di infrastrutture terrestri, in questo senso molto politico perché creando migliori connessioni si pongono le premesse per migliori relazioni…
Di fatto però la Via della seta è stata bloccata dal Covid.
Indubbiamente, prima dal Covid e poi dalla guerra. Ma veda, la vera domanda che dobbiamo porci è: a noi euroasiatici occidentali interessa il rapporto con l’Eurasia orientale o no? Io dico di sì, e aggiungo che il nostro punto di vista diverge da quello Usa per motivi strutturali. Gli Stati Uniti non importano né esportano nessun manufatto pesante con la Cina, con la quale invece intrattengono un rapporto finanziario colossale, legato al debito pubblico americano in mani cinesi e a forti investimenti reciproci tuttora presenti. E quindi sostanzialmente, e al di là di altri segnali, la comunità economica mondiale non è fratturata, non lo è ancora. Ma loro non hanno investimenti in siderurgia in Cina e viceversa, né nell’industria meccanica o nelle ferrovie, tutti settori che vivono con le infrastrutture di terra. Alle economie industriali europee le partnership in quei settori occorrono, troncarle danneggia il nostro sviluppo.
Non negherà che la Cina dà segni di egemonismo preoccupanti.
A mio avviso il problema non è l’asserita egemonia cinese, quello cinese è un popolo di commercianti che non hanno per ora almeno mire espansionistiche, pezzi di territorio ne hanno solo persi, sia con il Giappone che con la Russia, ma sono mentalmente strutturati e pianificano tutto, per questo per avere relazioni ottimali di lungo periodo con loro occorre, o occorreva, rafforzare le infrastrutture. Tanto più che i collegamenti marittimi sono a tappo. Dovremmo porci innanzitutto il problema di salvaguardare l’interesse nazonale, reimpostando la relazione sul lungo periodo, e smettendola di dire che dobbiamo temere la relazione con la Cina.
Ma che ci trova di affascinante nella relazione con la Cina?
Sto parlando di interesse nazionale e di sviluppo economico, innanzitutto. Ma se vuole saperlo, i punti di contatto sul piano della mentalità sono tanti: il senso della famiglia, della comunità, l’atteggiamento verso il cibo.
Non verso la democrazia…
Non si constatano eccezioni analoghe nei confronti di tanti altri Paesi che non sono retti da regimi democratici, l’elenco sarebbe lungo. Ma non voglio citare nessun Paese “cattivo”, resto sul diritto di crescere e l’interesse a non amputarci del rapporto con la Cina, tantomeno dopo la necessaria amputazione del rapporto con la Russia. Sono esterrefatta di leggere alcuni documenti europei che, sulla scorta dello scandalo del Qatar, propogono provvedimenti per proibire l’attività di lobbying cinese a Bruxelles. Perché tanto sinofobia? Non ho trovato nessun argomento serio, vedo solo rischi per la nostra economia.
Ci sarà un domani, dopo la disdetta della via della seta?
Il governo volendo può ricreare una relazione buona anche senza la via della seta. Certo dobbiamo smettere di misurare il rapporto con la Cina sulle tonnellate di arance che le vendiamo. L’opportunità è di natura industriale e finanziaria.
Ancora oggi molti pensano che dietro il Covid possa esserci stato un disegno cinese anti-occidentale. Che ne dice?
A chi crede che la Cina abbia deliberatamente generato il Covid chiederei che senso avesse, per un governo che ha investito trilioni di dollari in infrastrutture di terra con l’Occidente interromperne lo sviluppo, l’utilizzo e la crescita. E mi permetto di ricordare che il famoso laboratorio di Wuhan era a gestione sino-franco-americano.
E come spiega la svolta statalista di Xi Jinping?
Quando Xi Jinping è salito al potere, la Borsa di Shangai è crollata: si sapeva come la pensava sui grandi gruppi capitalistici. Con iL Covid ovviamente il ruolo dello Stato si è ingigantito e si è rafforzata la stretta contro l’autonomia di movimento dei privati, da sempre vigilati speciali. Non è cambiato nulla, insomma. Non parlerei di svolta.