L’espressione “Industry 4.0”, coniata nel 2012 da un gruppo di accademici e manager tedeschi, viene oggi adoperata correntemente per designare le misure dei governi europei di sostegno dei processi di trasformazione dell’economia nella transizione verso la quarta rivoluzione industriale. Le misure Industria 4.0, che sono state adottate da molti Paesi in Europa (Francia e Germania in primo luogo), si basano su quattro direttrici principali: investimenti innovativi; infrastrutture abilitanti; competenze e ricerca; awareness e governance. Anche l’Italia, nella piena consapevolezza del necessario ripensamento del rapporto uomo-macchina e macchina-macchina, ha introdotto – attraverso il Piano nazionale Industria 4.0 varato dal Ministero dello Sviluppo Economico – incentivi fiscali (detrazioni, crediti d’imposta, iper e super ammortamenti i quali, come è noto, riconoscono un valore fiscale superiore rispetto al costo di acquisto del bene) e misure di sostegno al venture capital, al fine di stimolare investimenti privati in ricerca e innovazione (secondo le stime, oltre 10 miliardi di euro di spesa privata). Il piano prevede, inoltre, interventi di diffusione della banda ultralarga e di messa in sicurezza delle reti, misure per l’industrialità dei brevetti e lo sviluppo di startup innovative e acceleratori d’impresa e, più in generale, azioni di promozione della cultura dell’innovazione nelle scuole e nelle università. In attesa di poterne registrare gli effetti concreti, va certamente apprezzata, ex ante, la scelta del legislatore di delineare una legislazione dell’innovazione che non esita a utilizzare la leva del fisco promozionale nell’ambito di una visione strategica, forte e coordinata. Questa è, a mio avviso, la grande sfida del futuro: sapere non soltanto utilizzare la conoscenza attraverso le nuove tecnologie (dalla robotica al nanotech), ma sapere anche alimentare l’innovazione dall’alto, così come dal basso, attraverso gli strumenti forti della regolazione, dell’incentivazione, dell’inclusione sociale. A questo punto è tuttavia necessario che agli incentivi alla grande industria si aggiungano quelli per le piccole e medie imprese e per l’innovazione sociale (che è ancora l’anello debole del modello, quello cioè mancante, all’interno della “quintupla elica”) e, soprattutto, promuovendo in modo deciso la ricerca pubblica e le Università. È notorio che nel nostro Paese, il 97% delle aziende non fa innovazione, più che per la loro dimensione (anche quelle piccole e medie possono crescere e quando lo fanno, in effetti riescono a competere sui mercati nazionali e internazionali), perché lontane, soprattutto “culturalmente” da questo concetto. Fondamentale è quindi il modello dell’innovazione integrata e delle aggregazioni d’impresa su progetti innovativi, rendendo strutturali le misure adottate e pensando ad un corpo organico della fiscalità dell’innovazione che consenta di risolvere alcune criticità insorte (si pensi ad esempio alla questione della compatibilità con la disciplina degli aiuti di Stato). Nelson Mandela diceva che “innova chi guarda al presente e pensa al futuro”, per cui, attraverso il nuovo piano Industria 4.0, occorre guardare alle sfide di domani, attraverso investimenti in ricerca&sviluppo, fondamentali in una società che deve stare al passo con i tempi. Un piano che, però, deve andare anche “oltre l’economia”, contribuendo alla crescita e, soprattutto, all’innalzamento del senso civico e dei rendimenti sociali, fattori importanti di coesione sociale e di benessere dei cittadini.