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Le “sentenze mediatiche” sono sempre d’attualità in Italia da quando, con Tangentopoli, si è manifestato un corto circuito permanente (quanto ipocrita) tra le Procure e i media, in virtù del quale i procuratori o i loro uomini hanno spesso e volentieri utilizzato media amici per far circolare carte coperte da segreto istruttorio allo scopo di colpire gli indagati con una mole insostenibile di notizie diffamatorie, contro cui non c’era alcuna possibilità di replicare concreta, ben prima che una corte avesse avuto modo di giudicarli.
Ed in un’innumerevole quantità di casi questi stessi indagati, una volta assolti, non hanno potuto avvalersi di alcuna forma di risarcimento: perché l’ordinamento lo prevede – con modalità peraltro farraginose e lente al punto da risultare umilianti – ma solo per chi abbia subito restrizioni cautelari della libertà personale e non anche per chi abbia subito danni soprattutto reputazionali o professionali.
E’ dei prossimi giorni una scadenza che potrebbe permettere alla Regione Lombardia di riparare a un torto fatto non da un proprio organismo ma, appunto, dalla Procura, coinvolgendo una mezza brigata di innocenti nell’indagine – che peraltro appare ad oggi tutta alquanto forzata, dopo le prime archiviazioni – sui conflitti d’interesse nella gestione dei finanziamenti che Finlombarda, la finanziaria della stessa Regione, eroga alle imprese.
Ebbene, il 9 maggio prossimo la Regione dovrebbe o dovrà nominare il nuovo direttore generale della finanziaria ed ha correttamente raccolto ed ammesso a selezione 21 candidature, tra interne ed esterne. Tra queste, spicca però la candidatura di Francesco Acerbi, che nell’estate del 2017 – quando vennero resi noti gli avvisi di garanzia relativi all’istruttoria in corso – era appunto da poco diventato direttore generale di Finlombarda. E i vertici della Regione – molto opportunamente, come si può dire oggi, col senno di poi – gli chiesero, sì, un passo indietro prudenziale ma lo tennero a bordo come vicedirettore generale. E bene fecero, visto che il 5 marzo scorso, il giudice Carlo De Marchi, su richiesta del PM Paolo Filippini , ha archiviato le posizioni di oltre 20 persone coinvolte nell’inchiesta relativa a Finlombarda. Tra le archiviazioni anche quella di Francesco Acerbi, allora dg.
Attenzione: tra le motivazioni dell’archiviazione si sottolinea che Acerbi “allocando i titoli tra gli HTM (una particolare formula di contabilizzazione, ndr) ha neutralizzato gli effetti economici delle eventuali variazioni periodiche del valore del titolo”. Ed ancora che “si deve evidenziare come Finlombarda abbia effettivamente mantenuto gli investimenti obbligazionari fino a scadenza, coerentemente alla appostazione in bilancio, una scelta non strumentale alla omissione di passivita”. Tradotto: non solo Acerbi non ha commesso alcun reato, ma ha anche evitato, con queste scelte gestionali, eventuali problemi che Finlombarda avrebbe potuto subire a causa delle eventuali scelte sbagliate o colpevoli di terzi, per esempio quelli su cui ancora pende l’inchiesta.
Dunque Acerbi santo subito.
Macchè: si metta in fila con gli altri. E’ una cosa giusta? Comprensibile, forse, sì. Giusta proprio no. O quantomeno: non lo è in un’ottica sostanzialista e civica, che
vada oltre il formalismo giustizialista secondo cui è meglio un innocente in carcere (o sputtanato senza ragione) che un colpevole a piede libero. Ma farebbe specie se Regione volesse allinearsi a simili criteri. E dunque un imputato che senza aver commesso nessuna cattiva azione ed anzi avendo ben tutelato gli interesse dell’azienda viene riabilitato – fortunosamente! – in tempo utile per riprendere da dove era arrivato, per ricominciare il cammino forzosamente e iniquamente spezzatogli, dovrebbe avere una supercorsia preferenziale. In Finlombarda o altrove – le vie della Regione sono infinite – ma comunque all’ombra della Rosa Camuna ed in una posizione che gli restituisca il maltolto professionale.
C’è da sperarlo? Francamente sì, perché l’attuale gestione di Palazzo Lombardia sembra attenta non solo ai valori del garantismo ma anche a quelli della professionalità. In ogni caso, di fronte ai non rari ravvedimenti che la magistratura nel suo insieme manifesta in inchieste gravi o gravissime come questa, cancellando a valle le storture commesse a monte, in base alla logica delle procedure e dei gradi di giudizio, non si deve commettere l’ingenuità di pensare che un’assoluzione in appello, o un’archiviazione, sanino il malfatto, perché il malfatto spesso lascia cicatrice insanabili.
La magistratura dovrebbe sbagliare molto meno, o almeno pagare sul piano delle carriere per gli errori che fa. E invece siamo lontani anni luce da quest’obiettivo di civiltà.