La garanzia statale per la liquidità

Tra le varie misure emanate dal governo attraverso il confuso susseguirsi di decreti di questi giorni, una di quelle che sta suscitando maggior dibattito a livello di organizzazione aziendale è quella relativa alla possibilità per il datore di lavoro di far fruire “forzatamente” le ferie. Letteralmente, la norma contenuta nel DPCM dello scorso 8 marzo (da ultimo estesa a tutto il territorio nazionale), accanto alla possibilità di imporre ai propri dipendenti il ricorso alla modalità di lavoro agile, prevede che il datore di lavoro favorisca: “la fruizione di periodi di congedo ordinario o di ferie”.

La previsione si scontra con l’immaginario collettivo e con la prassi invalsa nella maggior parte delle aziende, che vuole che le ferie siano richieste dal lavoratore e poi concesse, oppure concordate e programmate di comune accordo tra le parti; con la conseguenza di apparire quasi come una “forzatura” giustificabile soltanto dalla gravità dell’attuale emergenza sanitaria.

Gli stessi datori di lavoro paiono in qualche modo dubitare della titolarità in capo a loro stessi della facoltà di porre in ferie i propri lavoratori dipendenti – tanto che questa è una delle questioni più spesso sollevate nelle richieste di supporto legale che riceviamo – scordando che, indipendentemente dalle previsioni del decreto in commento, sono le ragioni tecnico-produttive del datore di lavoro che prevalgono ai fini della effettiva fruizione dei periodi di ferie da parte dei lavoratori. Tale prerogativa inerisce infatti al più generale potere organizzativo e direttivo che spetta all’imprenditore / datore di lavoro, con correlativo dovere di obbedienza del lavoratore e non è pertanto materia nuova, ma bensì mero richiamo ad una facoltà poco utilizzata, ma pur sempre presente.

Ferma la prerogativa, vale comunque la pena di segnalare come la stessa non sia priva di limiti, specie in ordine alla durata. Restano infatti impregiudicate le disposizioni specifiche in materia di fruizione di ferie, quali ad esempio quella che impone che il congedo maturato annualmente sia fruito per almeno due settimane in modo continuato, così che non sarebbe ad esempio ammissibile l’imposizione al lavoratore di fruire del proprio monte ferie in ripetuti periodi di breve durata; ma anche il limite complessivo delle ferie maturate. Sotto tale profilo, ancorché sia in uso in molte realtà la prassi che consente al lavoratore di fruire di periodi di ferie anche non maturati, va a mio avviso negata analoga possibilità in capo al datore di lavoro. In altre parole, la facoltà di imporre la fruizione di ferie si scontra qui con la effettiva esistenza di un monte ferie adeguato, non essendo ammissibile che il datore di lavoro obblighi il lavoratore ad andare in debito di ferie.

Nella peggiore delle ipotesi ciò potrebbe comportare il rapido esaurirsi delle ferie previste per la stragrande maggioranza dei lavoratori, un’eventualità alquanto probabile per tutti quei settori industriali che richiedono la presenza fisica sul luogo di lavoro; tuttavia, allo stato, forse una delle poche concrete possibilità di gestire i rapporti di lavoro nella fase dell’emergenza.

Carlo Majer, co-Managing Partner studio legale Littler