Preoccupa l’andamento negli ultimi 5 anni dei prestiti bancari a cittadini e imprese padovane fotografato da Confapi. L’indagine assume ancora più importanza oggi, alla luce dell’alto prezzo di vittime che la città veneta sta pagando dall’inizio della pandemia di Covid-19. Dall’inizio dell’emergenza a ieri sono stati 303 decessi e 3.865 le persone infettate.
Dal 2015 ad oggi, il totale degli impieghi destinati a imprese e famiglie padovane dalle banche al territorio è sceso con un ritmo di un miliardo l’anno
Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha preso in esame le cifre messe a disposizione dalla Banca d’Italia e da Unioncamere alla luce di quanto si sta verificando in seguito all’insorgere dell’emergenza Coronavirus, radiografando un’inclinazione che rischia di accentuarsi ancora di più nei prossimi mesi.
Secondo i calcoli della Confederazione italiana della piccola e media industria privati, dal 2015 ad oggi, il totale degli impieghi destinati a imprese e famiglie padovane dalle banche al territorio è sceso con un ritmo di un miliardo l’anno: dai 27 miliardi di fine 2015 si è scesi sino ai 22,9 registrati al 31 dicembre 2019.
Novecento milioni di credito all’economia reale padovana sono spariti nel solo 2019, rispetto ai 23,8 del 2018. Una tendenza irreversibile, in linea con quella riscontrata nello stesso arco di tempo nell’intero Veneto, dove si è scesi da 140,2 miliardi di impieghi del 2015 ai 118,9 del 2019 (erano 121,9 dodici mesi prima).
Eppure, nota lo studio di Confapi, nonostante l’evidente riduzione di disponibilità di liquidità da parte degli istituti di credito, l’andamento dei loro depositi risulta a dir poco florido in città: dai 20,6 miliardi del 2015 si è saliti anno dopo anno fino ai 25,1 di oggi (1,2 miliardi in più rispetto ai 23,9 del 2018). Idem nel resto della regione dove, dai 105,2 miliardi del 2015, si passa ai 129,7 attuali (erano 122,6 dodici mesi prima).
Secondo quanto riferisce la Bce i risparmiatori italiani stanno depositando molti più soldi sui propri conti, in linea con quanto sta accadendo negli altri stati dell’Ue. In particolare, a marzo 2020 gli italiani hanno depositato 16,8 miliardi di euro negli istituti di credito, con un aumento del 254% rispetto ai 6,6 miliardi nel marzo 2019 e con un incremento del 346% rispetto alla media mensile nazionale dell’anno precedente (circa 4,85 miliardi di euro).
Secondo Fundstore tra marzo e fine maggio sui conti correnti italiani sono stati accumulati oltre 30 miliardi di euro. Un fenomeno che non riguarda solo il Belpaese. In Francia nello stesso mese di marzo sono stati depositati oltre 19 miliardi di euro, in Spagna circa 10 miliardi.
“Limitarsi a parlare di risorse che potevano essere messe in circolo, liquidità che poteva essere destinata alle aziende e che, all’opposto, è rimasta ferma, è riduttivo e non coglie la vera natura della questione”, dice il presidente di Confapi Padova, Carlo Valerio (il primo in foto). “Perché il problema non è il credito che si riduce, ma la fiducia degli imprenditori che ormai viene a mancare“.
Secondo lo studio di Confapi la maggior parte delle piccole e medie imprese padovane del settore manifatturiero non annulleranno gli investimenti previsti, ma “resta il fatto che sono tanti gli imprenditori che hanno smesso di chiedere prestiti alle banche perché investono sempre meno”, commenta Valerio. “Ed è particolarmente grave che accada oggi, in un momento in cui investire consentirebbe all’Italia di rimanere agganciata a quei settori di sviluppo da cui è tagliata fuori, dall’aerospazio alla logistica 4.0, allo sviluppo digitale”.
La flessione del numero di imprenditori che si rivolge in banca alla ricerca di capitali, era stata sottolineata anche dalla Fabi a fine maggio scorso osservando l’andamento delle domande per i prestiti garantiti da 25 mila euro, stanziati contro la crisi.
Prevedendo che l’accesso a queste risorse rischia di restare precluso a metà dei 5 milioni di Pmi e Partite Iva italiane, il segretario generale della sigla dei bancari, Lando Maria Sileoni (il secondo in foto), commentava: “Colpa dell’alta media di indebitamento, che scoraggia le richieste di nuove linee di credito”. Parallelamente, oggi, sarebbero 1,2 milioni le famiglie “strozzate dal recupero crediti”.
Insomma, sindacati e parti datoriale concordano sulla preoccupante crescita delle imprese inattive sul fronte degli investimenti. La prima ragione della riduzione di domande di finanziamenti è il contesto è sfavorevole agli investimenti, “a causa delle politiche di cortissimo respiro di chi ci governa, e non ci riferiamo solo all’esecutivo oggi in carica”, commenta il segretario di Confapi. “La risposta politica è tutta orientata su altre dinamiche e oggi lo si nota in maniera evidente con la distribuzione di risorse a pioggia a cui stiamo assistendo, un assistenzialismo che certo non crea ricchezza né incentiva gli investimenti”.
“Il tutto senza considerare il quadro normativo iperburocraticizzato che scoraggia gli imprenditori, come è stato confermato anche dalla nostra indagine congiunturale. Le persone hanno poca fiducia nel futuro ed ecco che la loro risposta è quella di rifugiarsi nei depositi bancari, avvertiti come un porto sicuro e, non a caso, in continuo aumento.
Altro elemento da considerare per il direttore dell’associazione, Davide D’Onofrio, è il forte aumento dei risparmi in Europa “che potrebbe ostacolare la possibilità di una ripresa economica trainata dal consumo. Ma il punto che più ci preme è un altro e riguarda la situazione italiana: per poter raccogliere occorre prima aver seminato. E invece anche i contributi residuali, che pure potevano incentivare gli investimenti, sono stati fortemente ridimensionati, se non azzerati per destinare altrove le risorse a disposizione”.
“Lo abbiamo già sottolineato”, prosegue il direttore, “riguardo alla riprogrammazione del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, e in maniera ancora più emblematica con la cancellazione del Bando Isi Inail decisa dal Decreto Rilancio, per dirottare quei soldi su Invitalia. Superare il momento di difficoltà recuperando competitività e vigore sui mercati internazionali richiede investimenti continui e, soprattutto, coraggiosi”.
“Le politiche di breve periodo del governo, prevalentemente incentrate sul sostegno alla spesa corrente, configurano un deterrente”, conclude D’Onofrio. “Si consolida un disallineamento di strategie: tra una politica che immette nel sistema denaro improduttivo indebitandosi e le imprese che, trascurate nei loro fabbisogni, ridimensionano la propria propensione al rischio. E un cortocircuito: senza comunione di intenti, la Nazione arretra”.