I sindacati non sono del tutto convinti – c’è una mobilitazione in arrivo a giugno – ma Giorgia Meloni non sembra disposta ad arretrare di un millimetro. Pur nel rispetto di tutti – ha voluto incontrare parti sociali e associazioni datoriali a distanza di qualche ore a Palazzo Chigi per un confronto da lei stessa definito “costruttivo” – la premier è serenamente determinata ad andare avanti sul terreno delle riforme: fisco, mercato del lavoro, pensioni. In ballo, dopotutto, c’è la tenuta del sistema previdenziale, la crescita e il futuro stesso del Paese.
«Non ci sono i soldi per tutto» ha ammonito Meloni, facendo pesare sul tavolo del confronto la necessità di doversi concentrare su alcuni aspetti delle politiche economiche, accantonandone altri. Il salario minimo, ad esempio, che la presidente del Consiglio ha bollato seccamente come «un’iniziativa buona sul piano filosofico ma inutile», preferendo virare invece con decisione sul taglio del cuneo fiscale. Ma è davvero così? Gian Piero Gogliettino, commercialista e segretario generale Ancal, l’Associazione Nazionale dei commercialisti area lavoro, conferma ma fino a un certo punto la validità delle “ragioni meloniane”.
«Come spesso accade – dice – la verità è nel mezzo. Fissare un “minimale retributivo”, come auspicato dalla direttiva europea, non rappresenta indubbiamente una misura alternativa alla riduzione del cuneo contributivo e fiscale, bensì concorrente ponendo un freno alla disparità retributiva e un rafforzamento della tutela salariale. Vero è, però, che particolare attenzione deve essere posta nella determinazione della soglia minima del trattamento economico del lavoratore, per scongiurare plausibili e subdoli effetti collaterali in termini di dumping sociale».

Che idea ha lei sul salario minimo? Lo snodo è la contrattazione?
In linea con la filosofia sottesa alla precipua direttiva europea, e coerentemente alla nostra Costituzione e cultura di relazioni industriali, sono le parti sociali maggiormente rappresentative i soggetti deputati a determinare la giusta retribuzione, passando necessariamente per una improcrastinabile legge sulla rappresentatività sindacale, tale da garantire l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi per un’intera categoria merceologica.
E il reddito di cittadinanza? Condivide la rimodulazione voluta dal Governo?
Assolutamente sì. L’eliminazione tout court della misura non era certamente da prendere in considerazione, tenuto conto della rilevante portata etica e sociale. Agire sulle criticità emerse dalla precedente esperienza, soprattutto per contrastare gli abusi, senza però al contempo svilire il nobile obiettivo di contrasto alla povertà, era un atto dovuto, diventando strategici la modulazione dell’intervento sociale tra soggetti occupabili e non e l’efficientamento dei servizi per il lavoro. Sarebbe auspicabile, tuttavia, per rafforzare ulteriormente il nuovo paradigma di inserimento lavorativo, definire un minimale retributivo.
E’ d’accordo sul fatto che si insista sul taglio al cuneo fiscale anche per contrastare l’inflazione?
E’ certamente un intervento lodevole, soprattutto se reso strutturale come sembrerebbe nelle intenzioni del Governo. Infatti, ridurre significativamente il cuneo fiscale e contributivo, come in parte è stato già fatto, permette di rafforzare il potere di acquisto e la crescita dei salari, senza per questo gravare esclusivamente sulla parte datoriale, che va parimenti salvaguardata.
Dove bisognerebbe intervenire sul mercato del lavoro per migliorarlo e far crescere occupazione e produttività?
Innanzitutto si dovrebbe procedere ad una semplificazione delle regole, tale da garantire la certezza del diritto e, dunque, la competitività del nostro sistema Paese. In secondo luogo, bisogna agevolare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, non solo potenziando le politiche formative, ma pure implementando soluzioni informatiche infrastrutturali. Inevitabilmente si genererà una crescita della occupazione, anche in termini qualitativi, e un correlato aumento della produttività.
Checché ne dica la segretaria dei democrat Elly Schlein, sui contratti a termine a 12 e 24 mesi la Meloni sta seguendo la linea dei precedenti esecutivi anche a guida PD… è la strada giusta?
Eliminare le rigidità inserite in materia dal Decreto dignità è stato un intervento atteso e auspicato, se non altro perché le previsioni abrogate hanno generato una crescita del contenzioso e un significativo turn over, non colpendo effettivamente l’abuso dello strumento contrattuale. Sinceramente avrei osato di più in ragione di un ritorno alla formulazione definita dal Jobs act, nella logica della causalità tout court, coerentemente alle indicazioni comunitarie.
Parliamo del tema del momento: l’intelligenza artificiale. Siamo all’alba di una nuova rivoluzione industriale? Chi dovrà temere di più per il posto di lavoro?
Sembra di rivivere le preoccupazioni legate all’avvento dei primi computer nei processi produttivi eppure, col senno di poi, abbiamo contezza del fatto che all’evoluzione tecnologica non corrisponde necessariamente una crisi occupazionale, soprattutto nel medio-lungo termine, generando una inevitabile trasformazione del lavoro. Vengono indubbiamente meno determinati lavori, liberando così energie lavorative da compiti ripetitivi e indirizzandole verso attività di maggior valore. L’apporto dell’uomo, nonostante gli inarrestabili processi di trasformazione digitale, rimane sempre e comunque una componente insostituibile ed essenziale. Diventa passaggio necessario l’adeguamento dei modelli organizzativi, tali da comportare effetti positivi rispetto alla capacità produttiva delle imprese, non senza però altrettanti e mirati processi formativi.
Sui lavori poco qualificati intanto c’è un forte shortage: forse è lì che dovrebbe essere indirizzata l’AI?
L’evoluzione digitale, trasformando il sistema economico-produttivo, nel generare la domanda anche di profili professionali meno specializzati, come i collaboratori domestici, libererà parte di manodopera non idonea ai nuovi modelli organizzativi, ma certamente da impiegare in lavori meno qualificati. In questo senso, strategiche saranno le misure messe in campo per favorire e potenziare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Un’ultima domanda. L’evasione fiscale, piaga vecchia del Paese. I sindacati lamentano la mancanza di spazio nella delega fiscale del governo. Mancano 100 miliardi all’erario. Come se ne esce?
Diventa improcrastinabile un intervento normativo che semplifichi innanzitutto le regole fiscali, per poi incidere significativamente sul piano sanzionatorio, in ragione del principio di proporzionalità tra violazione commessa e sanzione prevista, ma anche premiando le aziende virtuose con benefici fiscali.