Il ritorno alla normalità? Ci aspettano mesi da Grande Fratello

Se negli anni ’60 si sognava la California, oggi ci tocca guardare con bramosia al ritorno alla normalità. Tra speranza (rigorosamente minuscolo) che si sia trattato di un periodo in cui il futuro è stato “congelato” e la quasi certezza che ci aspetterà un periodo, lungo, interlocutorio, bisogna ancora una volta guardare a Wuhan. Quando rivolgiamo l’attenzione a Oriente non facciamo altro che vedere un’anticipazione di quello che sarà. Per un mese abbondante abbiamo pensato che a Pechino fossero dei pazzi che mangiavano pipistrelli e che di conseguenza non ci dovesse essere altra sorte per loro che il compatimento. Quando però il Coronavirus ha bussato forte alle nostre porte, ci siamo ritrovati come i due porcellini meno previdenti nella famosa favola, nonostante dalla Cina ci avessero messo in guardia.

Abbiamo esultato vedendo un bambino uscire a mangiare il gelato a Wuhan, spostando la mascherina e ridendo di gusto. Solo che abbiamo fatto finta di non vedere quello che ci stava attorno: controlli a tappeto, la chiusura della città nella provincia dell’Hubei prolungata fino ai primi giorni di aprile, la ripresa graduale delle attività produttive dopo 60 giorni di fermo totale. Abbiamo strizzato l’occhio a un regime totalitario perchè “loro sì che sanno affrontare le emergenze” ma abbiamo dato di matto quando ci siamo trovato a non poter andare a correre, ché improvvisamente ci eravamo trasformati tutti in tanti piccoli maratoneti.

E allora, guardando alla Cina sappiamo già che cosa attenderci quando, tra un mese, riprenderemo una vita più “normale”. Controlli a tappeto, polizia e militari dappertutto. E questo non perché ci sia stato un golpe, ma semplicemente perché per contenere gli inevitabili rigurgiti di Coronavirus – che ci saranno, perché se anche le stime più “abbondanti” avessero ragione, e cioè che oltre 5 milioni di italiani hanno contratto l’infezione, ne resterebbero 55 potenzialmente infettabili – servirà una normalità militarizzata. Volete andare al ristorante? Prova della temperatura, distanziamento tra i tavoli, niente assembramenti. Cappuccino e brioche al mattino? Stessa musica. E i concerti? I teatri? Le discoteche? Torneranno a funzionare solo quando ce lo potremo permettere.

Questo non per voler smorzare gli entusiasmi ora che la meta si avvicina. Ma perché questo maledetto virus ha tolto la libertà a ciascuno di noi, prima ancora che – nella stragrande maggioranza dei casi – privarci di una qualsivoglia sicurezza economica. Si ripartirà sapendo che le donne potranno essere le prime a uscire perché meno soggette. Gli esami del sangue per verificare chi abbia contratto il virus saranno estesi a tappeto. I tamponi continueranno a essere effettuati. I giovani potranno tornare a lavorare prima che lo facciano i più anziani perché la mortalità sopra i 50 anni è davvero elevata. 

Fino ad ora abbiamo retto bene, perché essendo tutto chiuso, che cosa uscivamo a fare? Ma quando ci sarà uno spiraglio di luce – e l’ora legale non c’entra – allora sì che ci servirà il sangue freddo delle migliori occasioni. Prepariamoci, perché la normalità militarizzata diventerà quotidiana finché non si troverà un vaccino. E, a occhio, ci vorranno almeno altri 12 mesi. Nel frattempo, ora che dai balconi non c’è più gran voglia di cantare, mentre inizia a montare la rabbia sociale che il governo deve a ogni costo fermare, non ci resta che… attendere. Torneremo ad abbracciarci e a far finta di correre, e sarà bellissimo.