Quello in cui viviamo oggi è un mondo chiamato ad affrontare grandi ed inedite sfide nel modellare e progettare il proprio futuro.Per reagire alla situazione che stiamo vivendo dobbiamo trovare nuovi modi per stimolare una crescita economica sostenibile,che possa creare nuove opportunità economiche per tutti, ma che riesca al contempo ad aiutare la società, proteggere l’ambiente ed affrontare tutte le minacce che potranno insorgere a seguito dello shock generato dalla pandemia di Covid-19. Il rischio per le imprese è quello di rimanere paralizzate in una condizione di immobilismo, di inerzia, che nella migliore delle ipotesi porta ad una strategia di mera autoconservazione. È proprio questo invece il momento di agire, di spostarsi ‘from panic to purpose’ – come suggerito in un recentissimo articolo pubblicato su Harvard Business Review – ritrovando o ridefinendo i propri obiettivi aziendali e riaffermando quel ruolo di guida che i clienti e i dipendenti chiedono e cercano in questi momenti di profonda e diffusa incertezza. Stiamo sempre più assistendo ad un proliferare di organizzazioni ‘purpose-driven’, capaci di ispirare i clienti, distinguersi sul mercato e creare un rapporto di fiducia e rispetto con tutti gli stakeholder. Secondo una ricerca di Interbrand di un paio di anni fa, le aziende con un brand orientato al miglioramento della vita del cittadino hanno infatti registrato performance superiori del 120% sul mercato azionario. Parimenti, le analisi da noi condotte sulle cosiddette imprese iper-competitive del manifatturiero e dei servizi in Italia – ovvero quelle con una redditività superiore di almeno il 50% alla media del proprio settore per un triennio – indicano chiaramente come vincenti i modelli di business purpose-driven. Il motivo pare molto semplice e si lega alla teoria del ‘Golden Circle’ di Simon Sinek secondo cui “le persone non comprano quello che fai, ma perché lo fai”. Il ‘perché’ è lo scopo stesso per cui l’azienda esiste, e come tale deve essere posto al centro di ogni decisione strategica e di business.

Occorre attivare canali stabili di ascolto e di collaborazione per l’innovazione con fornitori, distributori e con i clienti

Simili considerazioni – legate all’importanza per le imprese di avere uno ‘scopo’ e su come questo debba imprescindibilmente legarsi alla tradizionale logica aziendale della massimizzazione del profitto – hanno incoraggiato e stimolato un interessante dibattito su come si possa oggi ripensare il capitalismo, ridisegnando strategie e modelli di business che creino valore economico rispondendo ai nuovi e reali bisogni della società.L’attuale crisi legata alla pandemia di Covid-19, potrebbe fare da acceleratore di processi, intensificando l’adozione di modelli di business ‘purpose-driven’.

L’approccio ‘purpose-driven’ di maggior successo e che potrebbe guidare ed aiutare le aziende in questo momento di profonda trasformazione, è sicuramente quello noto con il nome di ‘CreatingShared Value’. Introdotto nel 2011 dal nostro mentore Michael E. Porter e da Mark R. Kramer alla Harvard Business School, è stato in brevissimo tempo adottato da un numero sempre crescente di imprese in tutto il mondo. Non parliamo solo di grandi gruppi internazionali, ma anche di tante imprese italiane, anche di piccole e medie dimensioni, nel manifatturiero e nei servizi.Il successo di questo nuovo paradigma di business si conferma anche nell’esplosione di job title e profili organizzativi specificatamente dedicati allo Shared Value e alla sua implementazione in azienda. Anche nella business community italiana da noi aggregata in LinkedIN su questo tema, molti hanno già come ruolo organizzativo‘ChiefShared ValueOfficer’ o’Shared Value and Sustainability Manager’.

Per creare Shared Value, sono tre le strade che le imprese possono intraprendere e che soprattutto in questa fase dell’emergenza epidemiologica possono rappresentare opportunità importanti per le imprese per ridisegnare non solo strategie e modelli di business guardando alle relative implicazioni sociali ed ambientali, ma anche come nuovo paradigma per la ripresa economica.

La prima strada prevede un ripensamento dei prodotti e dei servizi in ottica Shared Value, in modo cioè che il proprio sistema di offerta risponda ad esigenze e bisogni non ancora soddisfatti della società. Nuove esigenze della società creano nuove ed urgenti opportunità di business per le aziende, non soltanto in ottica di reazione, ma anche di prevenzione futura affinché una nuova crisi non ci trovi così profondamente impreparati come quella attuale. Un suggerimento utile può essere quello di attivare canali stabili di ascolto e di collaborazione per l’innovazione con fornitori, distributori e clienti, circa le sfide che stanno affrontando; ascoltare le community di riferimento, le associazioni di cui si fa parte; promuovere hackaton, concorsi di idee e prassi di innovazione aperta e collaborativa, per aprirsi a stimoli lontani dal ‘business as usual’.

In questo momento di crisi le imprese che riusciranno a creare un’azione di sistema saranno quelle più competitive negli anni a venire

La seconda strada prevede il ridefinire la produttività lungo la propria catena del valore, migliorando la qualità, la quantità, i costi e l’affidabilità degli input e dei processi interni, dalla logistica alla distribuzione. In questo momento, una via è sicuramente quella di guardare innanzitutto ai propri dipendenti. Il modo in cui l’azienda si rivolgerà ai propri collaboratori in questo momento di crisi, prestando attenzione alle loro esigenze e adattando le routine organizzative alle nuove e contingenti esigenze delle famiglie, ne segnerà per sempre la relazione migliorando, o meno, il rapporto di fiducia, rispetto e lealtà reciproci. Ma è anche il momento in cui, dall’esterno, il cliente guarderà a come l’azienda si comporta nei confronti delle sfide ambientali ed umanitarie che affliggono il nostro pianeta. Ripensare i processi in ottica di risparmio delle risorse e riduzione dell’impatto ambientale, investendo nella creazione di nuove competenze interne dedicate al tema, è sicuramente un modo per guadagnare in questo momento un vantaggio competitivo importante sul proprio mercato, che verrà riconosciuto e ripagato dai propri clienti.

La terza e ultima via per creare valore condiviso è quella di facilitare lo sviluppo di cluster industriali locali, facendo leva sul proprio ecosistema di riferimento e collaborando con i diversi attori che lo popolano (fornitori, distributori, associazioni di categoria, università e centri di ricerca, spazi di coworking, laboratori e sistema finanziario). In questo momento di crisi, le imprese che riusciranno maggiormente a far leva sul proprio ecosistema di riferimento, a riconnettersi al proprio network di conoscenze, saranno anche quelle che riusciranno a reagire più velocemente e a creare un vantaggio differenziale di lungo periodo, che le aiuterà cioè non soltanto a rispondere alla crisi ma anche a competere con successo negli anni a venire, creando una azione di sistema.

Il cambio di paradigma richiesto non è sicuramente semplice e richiede alle aziende un processo evolutivo interno spesso lungo ed oneroso, ma al contempo necessario per assicurare all’azienda stessa un futuro sostenibile, in risposta ad un contesto sempre più sfidante ed in continuo cambiamento.È per questa ragione che – beneficiando dell’essere parte della faculty di Porter alla Harvard Business School – stiamo lavorando al primo libro in italiano sulla creazione di valore condiviso, con l’intento di supportare il nostro sistema economico, tutto, a ridisegnare strategie e modelli di business in logica purpose-driven.

* Fernando G. Alberti, Direttore, Institute for Entrepreneurship and Competitiveness LIUC – Università Cattaneo

Federica Belfanti, Ricercatrice, Institute for Entrepreneurship and Competitiveness LIUC – Università Cattaneo