Il Premio Mario Unnia, organizzato e promosso da Bdo, si è con successo appena concluso con la nomina delle imprese vincitrici e si sta già avviando verso la quarta edizione. Il Premio Talento & Impresa è dedicato alla memoria di un amico e persona che molto stimavo, Mario Unnia. Le ragioni che stanno alla base di tale amicizia e stima sono le stesse che caratterizzano il Premio. Molti anni fa (1988) tenni la lezione di apertura del Corso di management ISTAO, guidato e diretto da Giorgio Fuà, con una relazione dal titolo “Il management è una disciplina antica”. Inquadravo il tema con queste parole:
“Se aprissimo una discussione su quali sono le principali caratteristiche della moderna dottrina del management, potremmo disputare a lungo. Ma su una di queste caratteristiche chiunque abbia riflettuto sull’argomento difficilmente potrebbe dissentire: la dottrina dominante del management è caratterizzata da una notevole incultura. Ciò non implica un giudizio negativo sulla ricerca ed elaborazione dei temi più strettamente propri di questa disciplina, che anzi, forse, non ne esiste altra alla quale siano state dedicate tante, probabilmente eccessive, risorse e attenzioni. Né questo giudizio si riferisce al livello culturale individuale dei singoli studiosi che spesso è notevole ed è comunque un fatto irrilevante ai fini del mio argomentare. Neppure si intenda questo giudizio come derivante da una visione della cultura ristretta a certe sfere più elevate dell’attività intellettuale dell’uomo, se non addirittura in contrasto con le discipline pratiche, una visione, questa, di matrice letteraria e spiritualista che ha radici lontane nel tempo e che ha a lungo e infaustamente dominato il nostro pensiero.
La dottrina manageriale, avendo a che fare con temi come potere e responsabilità, servizio e proprietà, organizzazione, evoluzione e trasmissione del “saper fare” dell’uomo, viene anzi a incrociare un punto centrale dello sviluppo culturale generale. Ed è proprio nel non essersi saputa collocare in questo punto centrale dell’evoluzione culturale generale che risiede l’incultura della dottrina del management. È mia convinzione che la dottrina e quindi la pratica manageriale non riusciranno a passare a una fase più matura della loro elaborazione se non riusciranno a collocare le loro problematiche fondamentali in una prospettiva culturale più ampia e più propria, che comprenda la teoria della responsabilità, della proprietà, delle organizzazioni sociali e del loro finalismo, dei processi di apprendimento, dello sviluppo generale”.
Se questa visione, allora pioneristica, si è andata diffondendo ed ha anche una sua etichetta che si chiama “humanistic management”, lo si deve a persone come Mario Unnia che allo sforzo di inserire i temi dell’impresa e del management in un paradigma più vasto e interdisciplinare, cioè in un paradigma culturale generale, ha dedicato tutta la vita. E lo ha sempre fatto attraverso la ricerca e valorizzazione del talento, della creatività, dell’anticonformismo, del pensiero libero, della ricerca e formazione continua.
Il Premio Talento & Impresa non solo onora la memoria di uno studioso ed operatore di non comune intelligenza e generosità, ma anche interpreta perfettamente il più importante bisogno attuale dell’impresa italiana. Non molti hanno il coraggio di dirlo con chiarezza, ma l’impresa italiana, soprattutto di maggiori dimensioni, esce da una grande sconfitta. Ha perso una vera e propria guerra che l’ha confinata in categoria B salvo per poche superstiti imprese delle partecipazioni statali. È una sconfitta, che era stata prevista da Marco Borsa, nel suo lucidissimo e profetico: “Capitani di sventura” (1992), e la cui causa principale è una sola: l’incultura e la fragilità morale della grande imprenditoria italiana, e del suo management. Come scrissi in quegli anni:
“quando il management, è portato a porre sul tappeto, in via prevalente, il suo interesse immediato rispetto all’interesse dell’azienda, abbiamo un punto di crisi del management, di qualunque management, inevitabile.”
E lo stesso avviene quando si pone al centro, come bussola, la devastante, incolta e primitiva teoria del “shareholder value” come obiettivo esclusivo del management, sciagurata operazione fatta negli ultimi trenta anni e, per fortuna, in via di superamento.
Ma nel corso degli stessi anni della guerra persa è emersa una nuova categoria di imprese, prevalentemente familiari, di medie dimensioni, abbastanza internazionalizzate, innovative, più colte di quelle del recente passato che, con felice espressione, Fulvio Coltorti ha definito: “le imprese del Quarto Capitalismo”.
E’ su questa base ristretta ma non piccola dell’Italia produttiva di qualità, che è riposta la speranza dell’Italia di ritornare in categoria A, di ritornare ad essere quell’Italia Felix, illustrata ed auspicata da Andrea Illy nel suo recente importante libro-intervista così intitolato. Ma per raggiungere questo obiettivo l’impresa italiana deve fare uno sforzo particolare non dove è tradizionalmente forte ma dove è tradizionalmente debole e cioè nella valorizzazione dei talenti, della innovazione continua ed a tutto campo, nella governance e nell’apertura del capitale, nella vera e forte internazionalizzazione, nella morale imprenditoriale.
Tutti temi ai quali il Premio è dedicato. Tutti temi ai quali Mario Unnia pensava. Tutti temi che richiedono non un semplice salto di efficienza, nel quale le imprese italiane sono piuttosto capaci, ma un salto di cultura, imprenditoriale e generale, per il quale le imprese italiane hanno bisogno di stimoli, guida, sostegno, insegnamenti.