Sei Leopolde e Cinquestelle perché – si sa – Franza o Spagna, purchè se magna. Potrebbero essere effige e motto di Vincenzo Onorato, illustre velista prestato allo shipping, autoproclamatosi fustigatore dei colleghi armatori italiani – colleganza di cui, dice, si vergogna – e paladino dei disoccupati, marittimi e non.
Dopo aver finanziato con almeno 300 mila euro la Fondazione Open di Matteo Renzi per ottenere, riuscendoci, una riforma senza capo né coda delle regole sulla marineria vigenti dal 1998 e meritevoli per aver raddoppiato l’occupazione del settore da 30 a 60 mila persone, Onorato ha cambiato rotta.
L’ha fatto più o meno al giro di boa del 5 dicembre 2016, quando fu chiaro dal disastro del referendum renziano che il tutore di Rignano non avrebbe più garantito niente a nessuno. In prima battuta, Onorato ottenne un appuntamento ad Arcore, tanto per chiarire che lui – di fronte ai princìpi – non si ferma mai, per perorare le sue cause. Nessun esito. E allora, come ogni bravo lupo di mare, ha allungato lo sguardo: poche settimane dopo Arcore, ha riallacciato una vecchia amicizia maturata sulle onde del Mar Ligure, così, tra velisti: Beppe Grillo!
E dunque, voilà: da Leopoldino ad Azzurro, oggi Onorato persegue le sue battaglie sotto le bandiere pentastellate.
Già: ma quali battaglie? Una sola: “Naviga italiano”, come recita un suo slogan di questi giorni?
Anche no: due battaglie insieme. Una, sostanziale; quella dei fatti suoi, lecita per carità. L’altra, diciamo così politica, sicuramente d’immagine, si potrebbe dire “di facciata”: quella dei marittimi italiani disoccupati, che lui “stima” – sorvolando sui riscontri statistici ufficiali, sono quisquilie – in cinquantamila lavoratori.
Cioè che sta facendo, Vincenzino Mascalzone Latino? Da due anni e mezzo martella il prossimo con una campagna pubblicitaria dilagante sul fatto che sulle sue navi traghetto Moby e Tirrenia lui imbarca solo personale italiano, mentre i suoi colleghi-rivali delle altre compagnie di navigazione no: imbarcherebbero extracomunitari per poterli pagare due lire e intascare ugualmente i contributi pieni previsti dalla legge sul “Registro Internazionale” varata nel ’98 e appena riformata dall’altra legge del 2015 (quella renziana) che l’Europa però non ha ancora approvato.
Questa riforma circoscrive i forti sgravi fiscali che la marineria nazionale riceve appunto dal 1998, e che hanno permesso di raddoppiare (da 30 a 60 mila) i marinai imbarcati, a chi sulle navi che fanno cabotaggio nazionale assuma effettivamente solo personale italiano o comunitario, al costo comunitario.
Da annotare che Onorato ha lanciato questa campagna pochi mesi – anzi, settimane – dopo aver subìto un’offensiva concorrenziale nel settore dei traghetti tra l’Italia e le due isole maggiori: un rivale che non s’aspettava, Grimaldi Lines, il colosso del commercio marittimo di auto che – buon per lui – sviluppa il 75% del suo business in acque ben lontane dallo stagno italiano, s’era messo in forze a fare lo stesso mestiere di Moby e della sua controllata ex-statale, la Tirrenia. Ebbene, mentre Onorato, comprando la Tirrenia semifallita dai commissari, aveva creduto di essere diventato monopolista nel Tirreno, la mossa dei Grimaldi gli ha rotto le uova nel paniere. E dopo poche settimane – un caso, per carità – Onorato ha iniziato ad attaccare.
Attenzione: nel suo attacco, Onorato se la prende da sempre con tutti i colleghi, “salvo poche eccezioni” (non a caso dice di vergognarsi di tutti loro!). La Confindustria del settore, che si chiama Confitarma, ha sempre confutato le tesi di Onorato, l’ha smentito, ha minacciato querela, ma niente: da agonista incallito, lui non molla. S’è beccato una maximulta per concorrenza sleale dall’Antitrust da 29 milioni di euro, e niente. Gli hanno contestato di voler ostracizzare gli extracomunitari, invocando assunzioni tutte italiane, ma lui, niente. Agita le folle denunciando boicottaggi all’occupazione italiana, una tesi esattamente opposta a quella di tutti i suoi esecrati colleghi, e niente: non lo si può convincere. E la sua tenacia è incrollabile. Ora flirta con Cinquestelle e Fratelli d’Italia, per cercare supporto. Ma…
Ma se poi vai a fare una riga di conti sul bilancio del gruppo Moby-Tirrenia, emerge qualche insospettabile chicca. Che spiega tante cose.
Innanzitutto: Vincenzo il Patriota ha due holding finanziarie sopra quelle italiane residenti in Lussemburgo. Dove, si sa, non si pagano poi tante tasse… e niente, anche i patrioti hanno una tasca. Patriottica, ma bella capiente.
Capiente, per essere precisi, quanto basta per accogliere 90 milioni all’anno, cioè i contributi che lo Stato vera a Moby-Tirrenia come risarcimento – vien da dire – per aver privatizzato la semifallita compagnia di navigazione che apparteneva appunto allo Stato. Perché ogni anno – di questo Onorato non ne parla con i suoi nuovo amici Pentastellati – il gruppo Moby intasca appunto 90 milioni di euro dallo Stato. Mentre non paga le rate che dovrebbe per finire di comprare la Tirrenia! E come mai non le paga? Perché – dice – l’Europa non ha ancora approvato gli aiuti che lo Stato gli paga per sostenere la privatizzazione, e potrebbe in teoria riprenderli indietro. Ecco perché lui incassa tutto e paga niente. Un vero patriota.
Qualche giorno fa, questo Giuseppe Mazzini della marineria ha convocato a Napoli i suoi “Stati generali” dell’occupazione marittima, affermando di star facendo “una battaglia a difesa dell’occupazione degli italiani”, con l’hastag #Salviamo il futuro.
E su questo non c’è dubbio: perché davvero Onorato deve darsi da fare a salvare il suo, di futuro. Lo dice il mercato finanziario, dove Moby ha quotato un bond (obbligazione) da 300 milioni di euro che in un anno ha visto il suo prezzo crollare da 105 a 78,3, un bel -25%, un autentico bidone per chi ha comprato, nonostante la cedola fissa del 7,75%, una redditività da junk-bond, titoli spazzatura, quelli che per farsi comprare devono promettere tanto rendimento. E’ normale: i conti del gruppo vanno male. A dispetto del maquillage per il quale vengono fatti transitare al momento di comunicarli.
I ricavi 2017 del gruppo sono cresciuti sull’anno prima da 538 a 586 e l’ebitda è salito da 118,5 a 131,8. Bene, bravo: non a vendere biglietti però, bensì navi. Questi incrementi non derivano infatti dall’attività industriale, ma soprattutto da introiti straordinari legati a cessioni per 32 milioni di euro. Quanto all’indebitamento, il gruppo – al di là dei 300 milioni di bond – patisce una posizione finanziaria lorda peggiorata da 673 a 733 milioni di euro. Oneri finanziari da paura. Per bilanciare il patrimonio, Onorato s’é accorto, perché gliel’ha detto un valutatore di fiducia, che le sue navi vivranno dieci anni di più e le ha rivalutate con un colpo di penna. Auguri, per cento anni.
Riepilogando, Onorato – oltre a dover rimborsare banche ed obbligazionisti – deve allo Stato ancora 180 milioni di euro e fa il bilancio vendendosi le navi. Se assume davvero più italiani degli altri, è il minimo: in fondo, indirettamente, assume dipendenti statali.