di Gian Emilio Osculati
Il tema è ormai sui tavoli più importanti, sia di Confindustria che del Governo: le aziende cercano risorse offrendo un posto di lavoro ma non trovano i profili richiesti. L’offerta di lavoro rimane inevasa, le aziende soffrono, la disoccupazione giovanile rimane alta, il momento del primo impiego si sposta sempre più in là, i contributi previdenziali versati a vita intera decrescono, gli stipendi e i salari medi di ingresso rimangono bassi, molto al di sotto della media europea. I dati ufficiali certificano una situazione drammatica, nella quale circa il 40% della domanda di lavoro non trova un’offerta adeguata. È un dato del tutto insopportabile, specie in una situazione come la nostra dove la disoccupazione giovanile supera il 30%. I governi, sia vecchi che nuovi, si sono sbracciati nell’offrire sgravi contributivi alle aziende che assumono. Se però la domanda non trova riscontro nei profili che ricerca, a ben poco valgono gli incentivi. Ma andiamo con ordine. Il problema in discussione ha delle chiarissime cause. E non si risolve se non se ne rimuovono le cause. Senz’altro, la prima causa sono i genitori stessi dei nostri giovani. In essi manca o la consapevolezza o l’accettazione che il mondo è cambiato, se non entrambe. Il mito del posto fisso e di un mondo dove ci sono solo diritti è duro a morire, mentre è bene che sia velocemente sostituito dalla dura realtà. Occorre accettare che il mondo del lavoro è competitivo e che lo sarà sempre di più in futuro. L’unica certezza deve essere che ogni mattina che arriva occorre prepararsi a correre, e tanto, perché posizioni di rendita non ce ne sono. Occorre comprendere che l’investimento in professionalità, in uno con l’impegno profuso, è la chiave del successo. Occorre spiegare bene che se il lavoro non è sufficiente nella geografia intorno a casa occorre andare a trovarlo, ovunque esso sia.
Non sono, purtroppo, sicuro che quello descritto sopra sia esattamente quanto i genitori di oggi stanno dicendo ai propri figli. Il genitore che critica il professore quando il proprio figlio non va bene a scuola difficilmente inculcherà nelle nuove generazioni l’etica della performance e dell’impegno.
Oltre ai genitori c’è il tema della scuola. Le università sono affaticate da tanti corsi di laurea quasi totalmente inutili, spesso con pochissimi iscritti, ideati per offrire un posto da docente ad assistenti ai quali il barone di turno deve qualcosa. Il Ministero della Pubblica Istruzione non sembra avere il ruolo guida che dovrebbe avere. Non molti anni fa al Politecnico di Milano fu impedita la realizzazione di un corso di laurea in lingua inglese proprio perché era in lingua inglese. Con tutto il rispetto che dobbiamo ai nostri classici, non si comprende perché le materie classiche egemonizzino tanti corsi di studio, quando invece occorre produrre “cittadini del mondo” con le necessarie abilità linguistiche e personale scientifico – tecnico ad alta qualificazione matematica. Infine, gravissimo, i due indicatori fondamentali di performance di un sistema scolastico e di una singola scuola sono e rimangono praticamente ignorati: la misurazione della preparazione degli studenti contro un benchmark internazionale e la misurazione del “time to a job” sono concetti del tutto estranei alle nostre scuole. In Bocconi, ricordo, il tema del “time to a job” veniva accuratamente misurato e discusso già 15 o più anni fa. Non a caso la Bocconi è oggi la Bocconi. In ultimo, il tema degli incentivi. Oggi la strategia degli incentivi varata dai governi che si sono succeduti nel tempo mira a “spingere” le imprese ad assumere, contenendo od azzerando gli oneri previdenziali sui nuovi assunti. Ben vengano gli incentivi sui contributi, ma credo sia ora di chiedersi se non sia più utile “spingere” i giovani verso le aree dove l’offerta di lavoro è più abbondante, creando incentivi a spostarsi dove c’è lavoro. Il caso più eclatante è Milano, che ha una domanda di lavoro inevasa di dimensioni gigantesche. Trasferirsi a Milano ha però costi proibitivi. Forse è il caso di aiutare, almeno nei primi mesi, chi si sposta. Ne guadagnerebbero tutti.
Tutto sommato, il mismatch tra domanda e offerta di lavoro non è un problema semplice da risolvere. Ma siccome sono in gioco sia la disoccupazione giovanile sia la crescita delle aziende italiane non c’è alternativa: una soluzione va trovata. Impossibile agire in tempi brevi sulla leva “genitori”. Tocca a governo e scuole.
Presto, please.