Se davvero bastasse investire in tre materassini gonfiabili e subaffittare una stanza per trovarsi, dieci anni dopo, seduti su 18 miliardi di dollari – l’ultima valutazionedi Airbnb – lo farebbero tutti. E in effetti sono in molti a tentare di imitare l’epopea di Brian Chesky e Joe Gebbia, i fondatori di Airbnb. È il miraggio del proptech. L’esempio è quello delle grandi startup: farsi venire un’idea, raccogliere capitali, crescere (velocemente) senza preoccuparsi della redditività per raccogliere altri capitali per crescere fino a diventare talmente grandi da poter monetizzare in Borsa. Nel frattempo, comunque c’è da spartirsi la torta degli investimenti: solo lo scorso anno, stando ai rilievi di Venture Scanner, a livello globale è stata di 27,2 miliardi di dollari. Figuriamoci se il nostro Paese poteva rimanere insensibile al fascino del proptech: «Il trend di crescita anche in Italia è molto elevato: nel 2018 erano 43, l’anno scorso 108 e oggi contiamo circa 120 aziende», conferma Andrea Ciaramella, professore associato del dipartimento Abc del Politecnico di Milano nonché responsabile scientifico del Joint research center sul proptech (Jrc). «In Italia non esiste un registro del proptech, quindi abbiamo deciso di costituire un’italian proptech network aggregando tutte queste realtà». L’iniziativa del Politecnico di Milano è finanziata da Bnp Paribas, Covivio (ex Beni Stabili) Bosch, Vodafone, Accenture: «L’idea è che queste aziende mettendosi insieme possano generare nuove soluzioni virtuose. La peculiarità italiana, però, è che in questo momento la capacità di attrarre investimenti significativi è ancora limitata, mentre all’estero su alcune proptech investono addirittura grandi fondi». Di fronte al piano di salvataggio da 9,5 miliardi di dollari per il pioniere del coworking renting WeWork, per dire, il round da 44 milioni di euro dell’anno scorso per il nostrano Talent Garden fa quasi tenerezza. La palma della startup più finanziata in Italia nel 2019 va però a Casavo (piattaforma dell’instant buying fondata nel 2017 a Milano da Giorgio Tinacci), che fissa il prezzo con un algoritmo – ufficialmente l’offerta è mediamente più bassa dell’8% rispetto al costo di mercato, ma chi scrive ne ha ricevuta una inferiore di più del 25% – acquista direttamente e poi affida la vendita al migliaio di agenzie aderenti alla rete. Dall’inizio della sua avventura ha raccolto circa 100 milioni di euro da Greenoaks Capital, Project A Ventures, Picus Capital, 360 Capital, Kervis Asset Management, Boost Heroes, Marco Pescarmona. Ed è pure la prima startup ad aver emesso un titolo di debito: a due anni secchi dalla fondazione, dei 50 milioni di euro dell’ultimo round di finanziamento, quello di ottobre 2019, 20 sono titoli di debito sottoscritti da Amundi.
In Italia si contano già 120 aziende classificabili come proptech: spaziano dalle agenzie online al crowdfunding immobiliare
Interpellata da Economy, la startup dichiara di aver già effettuato circa 500 transazioni per un valore che supera i 125 milioni di euro. Secondo direttore di Monitor Immobiliare, Maurizio Cannone, nel 2019 sarebbero stati venduti immobili «per un controvalore di 85 milioni, con un ricavo annunciato in 10 milioni di euro». Lordi. Sarà che è ancora presto, sarà anche che i costi fissi per una struttura che dichiara più di 100 dipendenti non sono una passeggiata, ma quanto ai risultati operativi, è un tema delicato che il management prefersice non toccare.
Shared economy malata di covid
Se tutto il comparto immobiliare soffre, figuriamoci la shared economy, che punta sulla fase di utilizzo degli immobili. «Sono convinto che quando finirà quest’emergenza tutto tornerà come prima, perché è un mercato in cui la domanda è molto forte», afferma Andrea Ciaramella. «Fino ad oggi sicuramente tutte le proptech che afferiscono alla sharing economy e all’hospitality sono quelle cresciute più rapidamente in termini di business». DoveVivo, per esempio – la prima e più grande co-living company in Europa, che gestisce un portafoglio di 1.300 immobili e 7 residenze in 9 città affittate a studenti e giovani professionisti, ndr – ha intercettato un nuovo mercato e investito significativamente, centrando l’obiettivo di fatturato». E anche quello degli utili: «Il gruppo ha realizzato ininterrottamente utili già a partire dal secondo anno dalla sua fondazione, l’anno scorso ha fatturato 31,5 milioni di euro, in crescita del 50% rispetto al 2018, con un Ebitda pari a 5,4 milioni in crescita del 67% rispetto all’anno precedente. Puntiamo a raggiungere nel 2023 un fatturato oltre a 150 milioni», conferma a Economy l’amministratore delegato Valerio Fonseca, che ha fondato nel 2007 Reale Guest, diventata DoveVivo a fine maggio 2016, insieme al socio William Maggio, presidente del gruppo, con il quale detiene il 61,2% del capitale. Il resto è in mano a Tikehau Capital (19,2%), Istituto Atesino di Sviluppo (5,2%) «che si aggiungono all’11% di altri azionisti di primissimo standing come Guido Rivolta, Maurizio Cereda, Roberto Nicastro, Francesco Perilli e Fabio Troiani. Nel 2019 abbiamo raccolto 72 milioni di euro, 50 milioni tramite aumento di capitale e 22,5 milioni tramite nuove linee di credito», sottolinea Fonseca. DoveVivo offre ai proprietari la ristrutturazione degli spazi a proprie spese, in cambio di una trattenuta sui canoni spalmata nel tempo, e nel rapporto locativo figura come inquilino (ovviamente con facoltà di subaffittare), azzerando i rischi di insoluti.
L’housing-as-a-service porta al raggiungimento degli obiettivi di fatturato e redditività se realizzato sfruttando economie di scala
Il modello è quello dell’Housing as a Service, lo stesso della tedesca Habyt (nata come Projects Co-living, poi rebrandizzata) fondata nel 2017 dall’italiano Luca Bovone a Berlino, con branches in Spagna, Portogallo e Italia. «La piattaforma distribuisce soluzioni abitative flessibili, completamente arredate e accessoriate delle principali utilities, per le quali è Habyt a gestire il ciclo dei pagamenti», ci spiega Bovone. «A tali soluzioni si aggiungono servizi integrativi e a valore aggiunto, quali servizi di concierge o di cleaning settimanale. Abbiamo come obiettivo i 10 milioni di fatturato annualizzato di gruppo a fine 2020, e breakeven nella prima parte del 2021». Nel frattempo, spiega il ceo, «Habyt ha raccolto 3,5 milioni da P101 e altri leading investors di real estate e venture capital europei spagnoli e tedeschi».
La carica delle agenzie
Tutti agenti immobiliari con le case degli altri: il panorama del real estate fintech, in pratica le agenzie online che, secondo Ciaramella, è affollato tanto quello delle agenzie su strada: «sono circa il 35% del totale delle proptech», chiarisce il professor Andrea Ciaramella. Persino il Gruppo Creved (sì, proprio quello della valutazione, gestione e recupero crediti) nelle scorse settimane ha piazzato online la propria piattaforma: si chiama Bee the city, è rivolta esclusivamente al mercato milanese e conta, nel momento in cui andiamo in stampa, appena 130 immobili proposti.
«Stiamo cercando di mappare anche i risultati economici di queste attività, perché fare la startup è bello, ma non è detto che renda». E infatti tutte queste realtà condividono un certo pudore quando si chiede loro di parlare di bilanci. «Nel mondo delle agenzie è difficile raggiungere la redditività: studiando il meccanismo di remunerazione vediamo che le cifre sono sempre modeste». Il motivo è evidente: per farsi un portafoglio di immobili decente le agenzie online spesso ottengono i mandati in esclusiva in cambio dell’azzeramento delle commissioni. Lo fanno, per esempio Housefy, Agencasa.it, Dove.it. Quest’ultima è stata fondata da Paolo Facchetti e Salvatore Vadacca grazie a 3 milioni di euro raccolti dai soci investitori. «Dove.it fa un forte uso di tecnologia per poter sfruttare economie di scala e per perseguire un vantaggio competitivo andando ad offrire un servizio di qualità a zero commissioni per la parte venditrice», spiega (ma non troppo) Facchetti, che parla di un fatturato run rate a febbraio di un milione di euro ma di un breakeven «potenzialmente nel 2021». Neppure Alessio De Rosa, che all’inizio del 2019 con il supporto della tedesca Rocket Internet ha fondato Agencasa.it (che a differenza dei competitor assume direttamente gli agenti immobiliari) parla volentieri di redditività e breakeven, ma assicura di aver raggiunto «mezzo milione di euro di fatturato in appena 8 mesi di operatività e 27 dipendenti».
«Addirittura c’è una startup, Skycasa.it, che paga il venditore», spiega Ciaramella: «l’acquirente paga la provvigione di mercato e se chi vende affida alla startup il contratto in esclusiva viene premiato con l’1% del prezzo finale di vendita», ma solo fino ad un massimo di 4.998 euro. Niente utili neppure per Homepal, la pioniera delle agenzie online, fondata nel 2016 da Andrea Lacalamita, Monica Regazzi e Fabio Marra. Un storia a lieto fine: in tre round la startup ha raccolto circa 6 milioni (tra gli azionisti Bper Banca, il fondo Boost Heroe di Fabio Cannavale e i business angels Davide Serra e Daniele Ferrero) e, spiega Lacalamita, «il breakeven è stato raggiunto nel 2020. Il piano prevede di raggiungere i primi utili nel 2021». Nel frattempo, «Homepal nel 2019 ha quadruplicato il proprio fatturato, con un valore di circa 2 milioni». La compravendita avviene completamente online o al telefono. «Per il venditore i costi vanno da 49 euro a un massimo di 690, a seconda dei servizi scelti. All’acquirente chiediamo l’1,5%, con un minimo di 990 euro e un massimo di 6mila».