Gli Emirati Arabi Uniti non sono soltanto il secondo principale mercato per l’Italia tra i paesi del Nord Africa e del Medio Oriente. Valgono il 10% del nostro avanzo commerciale, circa 4 miliardi di euro all’anno; sono una piattaforma per le nostre aziende specie per l’area Menasa, che comprende anche i mercati dell’Asia meridionale che crescono ai ritmi più elevati al mondo; e dal prossimo 20 ottobre ospiteranno a Dubai l’Esposizione Universale, grande vetrina globale per mostrare la nostra capacità innovativa. Parola di Nicola Lener, cagliaritano, 51 anni, nuovo ambasciatore italiano negli Emirati Arabi Uniti dallo scorso mese di ottobre, uno che di mercati esteri se ne intende: dal 2014 si è occupato di internazionalizzazione del sistema economico italiano alla direzione generale per la promozione del sistema paese del ministero degli Esteri, dal 2017 come vice direttore generale.
In questa intervista a Economy Lener sottolinea che l’importanza degli EAU, testimoniata anche dalle visite effettuate ad Abu Dhabi dagli ultimi quattro presidenti del Consiglio italiani, è ancora più rilevante alla luce dei rischi per le nostre relazioni commerciali con paesi dai quali deriva buona parte dell’avanzo primario, Regno Unito e Stati Uniti in primis, legati alla Brexit e alla guerra dei dazi.
Ambasciatore, quali sono le sue impressioni dopo i primi mesi ad Abu Dhabi?
Gli Emirati Arabi Uniti, che già in parte conoscevo da lontano essendomi occupato di internazionalizzazione delle imprese al ministero degli Esteri, da vicino si rivelano essere più che un mercato una piattaforma regionale e globale per le nostre aziende, con una chiara leadership e una visione di futuro molto interessante. Le imprese italiane possono trovare grandi opportunità, soprattutto tenendo conto della forte esigenza, che qui hanno ben compreso da tanto tempo, di diversificare l’economia rispetto al mercato oil & gas. Si è deciso quindi di puntare anche sull’industrializzazione, sulla manifattura, sul settore dei servizi, su quello ad altissimo valore. Il paese è importante al di là della sua dimensione: è un mercato in sé di circa 10 milioni di abitanti, di cui circa il 15% sono emiratini e il resto espatriati di circa 200 nazionalità. Un paese quindi abbastanza piccolo, ma con un pil procapite tra i più alti nella regione e nel mondo, sui 40-45mila dollari.
Gli Emirati Arabi Uniti rivestono un ruolo importante per il nostro export?
Agli EAU dobbiamo circa il 10% del nostro avanzo commerciale; a seconda degli anni esportiamo per 5-6 miliardi e ne importiamo circa 1; questo genera circa 4 miliardi di euro di avanzo commerciale, cioè un decimo dell’avanzo complessivo. Considerando anche le difficoltà che potrebbero esserci in prospettiva nelle nostre relazioni commerciali con alcuni paesi dai quali deriva gran parte del nostro avanzo primario, come soprattutto Regno Unito e Stati Uniti, a causa dei rischi relativi da un lato alla Brexit, dall’altro a dazi e guerre commerciali con la Cina che potrebbero coinvolgere anche l’Europa, ci rendiamo conto di quanto sia importante mantenere e rafforzare le nostre posizioni in questo paese. Gli EAU sono molto aperti ai beni di consumo italiani associati al concetto di made in Italy, ma anche alla tecnologia italiana che consente di diversificare l’attività industriale.
Ritiene che Expo 2020 possa dare un ulteriore impulso agli interscambi commerciali tra Italia e Emirati Arabi Uniti? E più in generale quali opportunità offre alle imprese italiane?
Expo 2020 è un grande evento che ci consente di mostrare il meglio della nostra tecnologia e della nostra capacità innovativa su uno scenario globale, soprattutto in una regione ampia che comprende Nordafrica, Medio Oriente e Asia meridionale, l’area Menasa, dalla quale ci si aspetta la maggior parte dei visitatori. Una manifestazione che ha potenzialità per il nostro posizionamento complessivo su mercati che crescono molto come quelli asiatici, che sono quelli che tirano e trainano la crescita globale. Sul piano bilaterale ci aspettiamo comunque un ulteriore salto di qualità, tenendo conto in particolare del grande interesse, degli investimenti e delle risorse che il paese sta destinando ai settori innovativi per posizionarsi adeguatamente in vista anche della riduzione progressiva nel tempo dei proventi della vendita di idrocarburi.
Quali sono a suo avviso i settori più promettenti per le nostre imprese?
La diversificazione in atto non ci deve far trascurare il settore oil & gas, che è importante a maggior ragione a seguito dell’entrata di Eni negli EAU tra la fine del 2018 e l’inizio del 2019, con importantissimi contratti siglati nel settore dell’esplorazione, e quindi dell’upstream offshore di Abu Dhabi, e ancora più nel downstream quindi nella raffinazione. Eni ha acquistato una quota del 20% della società di raffinazione di Adnoc, società petrolifera locale, un partenariato strategico in un segmento del settore oil & gas che le due società vogliono rafforzare per estrarre maggior valore da ogni barile di greggio grazie anche alla tecnologia di cui Eni è portatrice. Dall’ingresso di Eni nel paese ci aspettiamo delle ricadute su tutta la filiera di oil & gas: l’Italia è uno dei pochi paesi che ha tutta una filiera completa nel settore, quindi crediamo che ci saranno benefici anche per le nostre Pmi.
E al di fuori dell’oil & gas?
I settori interessanti sono soprattutto quelli altamente innovativi, dall’aerospazio alle scienze della vita, dall’agroalimentare avanzato di punta all’intelligenza artificiale. Sono quelli sui quali intendiamo nei prossimi mesi, anche in vista di Expo, focalizzare la nostra attività promozionale, anche perché in questi campi magari è meno evidente nell’immaginario collettivo, e in particolare in questo paese, il ruolo e la capacità tecnologica italiana. L’Italia è vista come il paese della bellezza, della cultura, della qualità nei beni di consumo, mentre nel grande pubblico è meno conosciuta la capacità italiana di innovare, con grandi risultati anche in campo tecnologico.
La recente apertura dell’Istituto italiano di cultura ad Abu Dhabi può contribuire a una crescita degli scambi artistico culturali?
Sicuramente sì. Siamo in una fase di roll out, la nuova sede sarà disponibile all’inizio del prossimo anno ma c’è già una direttrice, la professoressa Zilio Grandi, esperta in lingua e cultura araba a Ca’ Foscari, un pilastro fondamentale dell’istituto. L’apertura dell’Istituto italiano di cultura peraltro viene incontro alle richieste e agli auspici delle autorità emiratine, che vedono nel nostro paese un punto di riferimento estremamente importante. Il nostro è un paese molto conosciuto e rispettato per la varietà e la profondità della sua cultura. Dal nostro punto di vista la cultura è un vettore straordinario per promuovere l’immagine e la presenza dell’Italia anche in altri settori, attraverso iniziative integrate.
Ci fa un esempio?
Il concerto organizzato qui ad Abu Dhabi per Venezia con l’istituto italiano di cultura, per sensibilizzare il pubblico locale sui cambiamenti climatici di cui la città lagunare è vittima. Ma che pone delle sfide anche alla stessa Abu Dhabi e agli Emirati nel loro complesso, visto che la maggior parte della popolazione vive sulla costa. Anche su queste tematiche, attraverso l’arte e la cultura, vogliamo far crescere la consapevolezza e avviare partenariati industriali, per affrontare insieme queste grandi sfide.