Chi avrebbe immaginato che avremmo comandato i dispositivi con la voce come in Blade Runner? E che avremmo effettuato videochiamate come in Star Trek? O letto quotidiani su un tablet come in 2001: Odissea nello spazio? Siamo già nel futuro: a creare la realtà è l’immaginazione. Quella che mette a collaborare il manager in doppiopetto col geek rasta sul mobile banking, l’operaio specializzato col nerd occhialuto sulla smart factory, la maestra d’asilo con lo sviluppatore sul machine learning. Si chiama mix di competenze ed è un mantra per Reply, l’azienda di consulenza informatica fondata nel ’96 da Mario Rizzante, che oggi in borsa capitalizza più di 1,8 miliardi di euro, nel 2016 ha fatturato 780,7 milioni e occupa 6015 dipendenti grazie al suo modello a rete di aziende altamente specializzate. Le sue specialità? Spaziano dal cloud computing ai big data, dai digital media all’Internet delle cose, dall’Intelligenza Artificiale alla system integration e ai servizi digitali per media, banche, manufatturiero, retail, utilities, governi: una specie di ACME (A Company Making Everything) dell’Information technology. Definizione che fa sorridere Tatiana Rizzante, Ceo di Reply e degna figlia di tanto padre: un’entusiasta visionaria.
Dica la verità: cosa avrebbe voluto fare da grande?
La pittrice: volevo studiare all’Accademia di Belle Arti. Anche se già giocavo col Commodore 64. A studiare Ingegneria mi ha convinto mio padre: “Falla, che ti dà un mestiere, poi avrai sempre tempo per coltivare l’arte”, mi diceva. Ma non è vero che si riesce a fare le due cose in parallelo: dipingo, quando posso, ma – scherza, ndr – nun se po’ vedé.
In compenso l’informatica è andata bene.
Ormai è in tutte le cose, non per niente si parla di Internet of thing, IoT. Ci stiamo lavorando moltissimo: per Grohe abbiamo studiato la nuova generazione di prodotti connessi, in grado di interrompere il flusso dell’acqua, per Cnh lavoriamo sulle grandi macchine agricole connesse per raccogliere dati e fornire servizi legati all’analisi del suolo e all’automatizzazione. Persino il Bimby scarica le ricette dal web e fa l’autodiagnosi. Per non parlare della Virtual Reality e dell’Augmented reality.
La miscela di competenze è l’asso nella manica che ha fatto crescere reply fino a farlo diventare leader dell’information technology
Parliamone, invece.
Stanno facendo passi da gigante. Per Daikin abbiamo sviluppato una piattaforma che fa la simulazione del condizionatore nell’ambiente. Per Poltrona Frau abbiamo creato il configuratore di prodotto: nessuna foto, ma 3D modelling con tanto di granulometria precisa del tipo di pellame scelto. La consideriamo ancora solo come marketing, ma in realtà la parte esperienziale diventa sempre più presente. Nelle gare di droni, per esempio, i piloti indossano caschi collegati in peer to peer. Dal prossimo anno troveremo l’Augmented reality negli shop fisici per cambiare l’esperienza d’acquisto: inquadri un bene e puoi avere sconti personalizzati o l’avviso che un partner, se compri quel bene, ti manderà a casa un’altra cosa in bundle. Oggi abbiamo l’oggetto e il servizio di supporto scorrelato dal momento della vendita, ma non sarà più così.
No?
Se a Vr e Ar aggiungiamo il servizio, abbiamo un business model completamente diverso. Per esempio: voglio cambiare le tende del salotto? Inquadro le mie finestre e la stanza e l’esperto online, grazie all’augmented reality, mi fa vedere il suo progetto e mi manda il link dell’e-commerce col pricing apposta per me.
Non esiste più un confine netto tra fisico e digitale?
Fondamentalmente in ogni sistema ci sono tre blocchi: uno è di tecnologia pesante, che nel web vedi poco. Poi c’è la parte esperienziale: dalla parte più banale, che è il design, alla realtà virtuale, la realtà aumentata. Man mano che la tecnologia sta progredendo sta diventando sempre più immersiva. Infine c’è il know how di contesto, di industry e di processi.
Sul futuro, ha le idee ben chiare.
Penso di sapere abbastanza bene cosa ci sarà nel breve, nei prossimi cinque anni. Ma la tecnologia stia cambiando in modo così rapido che è impossibile fare previsioni. Con la realtà aumentata si sta andando velocissimi, intanto sta progredendo anche l’intelligenza artificiale: cosa diavolo produrrà? Nessuno di noi è in grado vagamente di prevederlo. L’unica certezza è che sarà un elemento di cambiamento importante, un elemento disruptive con un’accelerazione ancora maggiore di quella che stiamo vedendo su Iot, Ar, Vr. E creerà una posizione ancora maggiore dei cosiddetti GAFA (Google, Apple, Facebook e Amazon) e degli altri mostri di internet.
La tecnologia va avanti veloce, ma l’uomo, anche se la genera, è lento ad adattarsi.
Però alla fine la tecnologia produce se stessa e questa è una delle cose più eccitanti e spaventose dell’intelligenza artificiale: a un certo punto l’AI può produrre altra AI. Già adesso il search engine di Google non è prodotto dall’uomo, ma lavora su un sistema che si addensa su milioni di immagini e va alla velocità delle macchine.
Non è facile stare al passo.
Solo una parte ristretta della popolazione riesce a relazionarsi con le macchine. Man mano che andremo avanti, questa fetta aumenterà sempre di più. Come quando gli operai si distinguevano in generici e specializzati. Adesso si dà per default che l’operaio generico del primo Novecento non esista più. Paradossalmente è meno specializzato il lavoro dei colletti bianchi.
Le nuove professionalità si basano sul continuous learning: chi non è disposto ad aggiornarsi costantemente rimane indietro
Un consiglio per non restare indietro?
Tenersi aggiornati: con la velocità a cui le cose cambiano o sei predisposto a fare continuous learning oppure a un certo punto avrai dei problemi. E poi mettere un po’ di varietà nel percorso. Anche se si pensa che l’informatica non piaccia, studiarne almeno un po’. Non per diventare un coder, ma per conoscere quali strumenti esistono e come utilizzarli. Il pezzo che manca tantissimo, in Italia, è il mix di competenze. Noi abbiamo percorsi scolastici molto stretti, mentre in Germania tutte le lauree sono miste: business con indirizzo informatico, informatica con indirizzo psicologico…
Il mix di competenze è l’asso nella manica di Reply.
È il nostro modus operandi. Abbiamo una struttura, si chiama Social network, che lavora solo per fare in modo che tutti facciano formazione continua, condividano, si aggreghino e generino nuove idee. Se non lavori in team col mix di competenze non vai da nessuna parte. Diciamo che siamo una buona macchina e siamo anche una buona scuola.
In che senso?
Organizziamo più di 250 eventi l’anno in Europa, dai Lab Camp, corsi dedicati alle tecnologie, ai Net Camp e Bar Camp, seminari collaborativi e di orientamento al business, agli Hackathon, eventi di idea generation e fast prototyping. Poi ci sono lo Student Tech Clash e il Tech Fest dedicati agli studenti. L’approccio è bottom up: qualcuno propone un progetto e chi vuole si iscrive. Se tra gli iscritti ci sono almeno due nazionalità e tre società diverse, il mix di competenze è garantito e il progetto parte.
Un’idea uscita da questi incontri?
Il crowdsourcing. Starbytes è una piattaforma per l’esternalizzazione di microlavori, dedicata ai free lance, con committenti che vanno da Lavazza a Banca Sella, a Tim. Fino al piccolo negozietto. Reply certifica la professionalità dei freelance, supporta il progetto e gestisce anche i pagamenti.
Non sarà un pennello, ma l’informatica è molto creativa.
Non solo: la cosa più pericolosa è la chiusura.
Perché?
Qualunque strada si intraprenda, avremo moltissimi agenti artificiali sulla rete, alcuni micro, specializzati per task, altri molto grossi, come Google o i servizi di traduzione, distribuiti in ogni cosa che facciamo. Qualunque successo, individuale o aziendale, dipenderà dal sapere cosa c’è disponibile e saperlo aggregare ed utilizzare efficacemente. Se non si fa questo ci si ritrova in competizione con un software. È come se un operario volesse essere più veloce del robot che monta i vetri: no way, non c’è storia.