“Non finisce qui”. Tre parole che suonano come una previsione futura assai nitida per il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, “reo” di aver contestato apertamente il leader indiscusso del suo partito, la Lega, Matteo Salvini. Che non finisca qui, lo dice a Economy una fonte autorevole raccolta a palazzo Madama. Consiglio federale finito ‘bene’ con Giorgetti che, andato sotto su ogni piano, si giustifica dicendo, de facto, di essere caduto in un tranello giornalistico. Il che può essere vero, ma non basta a spiegare l’atteggiamento del ministro che fa parte di una delegazione leghista al governo decisa in autonomia dallo stesso Salvini.
Il punto del contendere sono le cosiddette paludi “centriste” del Ppe che Giorgetti (e Roberto Maroni, sup supporter) vorrebbero per la Lega sapendo forse perfettamente che esse sarebbero il vestito peggiore e il più stretto per Matteo Salvini. Il leader della Lega può tranquillamente costituire un gruppo liberal di destra rivendicando una linea “autonoma” che secondo lui paga di più in termini di elettorato. In ogni caso, Giorgetti esce sconfitto dal Consiglio federale e Salvini ancora più forte.
Almeno su un punto tutti concordano: a questo punto finiranno finalmente le voci che vogliono il leader leghista sostituito da Massimiliano Fedriga, da Giorgetti medesimo o meno che meno da Luca Zaia. “Salvini è la Lega, senza di lui il partito si estingue”, sostiene un altro ministro leghista del governo Draghi di osservanza salviniana, che chiede di restare anonimo. Ma Salvini è Salvini anche perché non dimentica: perciò quando al quartiere generale leghista dicono “non finirà qui” alludono a nuove puntate di un gioco delle parti oppure significa che prossimamente ne vedremo delle belle?