Gaetano fausto Esposito e Giuseppe Molinari

La relazionalità con le imprese, istituzioni e soggetti locali aiuta la competitività. Perciò il territorio, come insieme delle relazioni con i diversi soggetti che vivono la comunità locale, è un fattore di snodo per lo sviluppo nel perseguire una crescita sostenibile dove la competitività si coniuga con la coesione sociale. E infatti l’Ocse ha definito il territorio, nella sua dimensione di fattore di crescita, con il termine di “Capitale territoriale”.

Nuova operatività ristori Emilia-Romagna: banner 1000x600

Nuova operatività ristori Emilia-Romagna

A partire dal 21 novembre ampliata l’operatività dei Ristori da €300 milioni riservati alle imprese colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna. La nuova misura, destinata a indennizzare le perdite di reddito per sospensione dell’attività per un importo massimo concedibile di 5 milioni di euro, è rivolta a tutte le tipologie di impresa con un fatturato estero minimo pari al 3%.


Una misura della coesione economica locale è nella propensione a relazionarsi con gli stakeholder sia interni che esterni all’azienda. Attraverso l’indagine del Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere è possibile esaminare il livello di relazionalità delle imprese con i vari attori locali.

Per quanto riguarda gli stakeholder interni la misurazione della coesione socio-economica considera il rapporto dell’imprenditore con i propri dipendenti in termini di: i) investimenti nella formazione per il miglioramento delle competenze e la qualificazione personale (competenze); ii) partecipazione dei dipendenti allo sviluppo di progetti di innovazione (progetti di innovazione); iii) investimenti per migliorare la salute e il benessere dei lavoratori, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei suoi dipendenti (welfare aziendale).

Per gli stakeholder esterni, per la misurazione della coesione socio-economica sono stati considerati i rapporti delle imprese con: i) Altre imprese per partnership e  rafforzamento dei rapporti di filiera, logistica e distribuzione, per attività di innovazione e internazionalizzazione; ii) Scuole e Università, per collaborazioni per stage/tirocini di studenti e iniziative di alternanza scuola lavoro; iii) Università e enti di ricerca, per realizzare ricerche utili al business dell’impresa e a progetti di open innovation; iv) Banche, per migliorare la strategia finanziaria e aziendale, la competitività, accompagnamento con risorse e consulenza per progetti di innovazione; v) Non profit (soggetti del Terzo settore); vi) Clienti, per il coinvolgimento in “campagne di utilità sociale” (es. lotta allo spreco); vii) Associazioni di categoria settoriali/territoriali; iv) infine, Comunità, nel senso ampio del termine, che coglie tutte le imprese che investono in interventi di riqualificazione e/o valorizzazione a beneficio delle comunità (es. sostegno ad attività culturali).

Secondo i dati del Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere nel sistema produttivo siciliano la coesione socio-economica assume in più casi tratti di rilievo: due terzi delle imprese hanno relazioni con i dipendenti per iniziative di welfare aziendale; quasi la metà ha realizzato attività per il miglioramento delle competenze; circa un terzo ha instaurato rapporti con i dipendenti per progetti di innovazione. Inoltre più di un quarto delle imprese ha stretto rapporti con le banche, così come scuole e università.

Con altri tipi di stakeholder, invece, la situazione è più problematica: solo il 15% delle imprese siciliane ha rapporti consolidati con altre aziende, il 12% ha rapporti con Associazioni di categoria, Istituzioni territoriali e Non profit e circa il 10% con Università/Enti di ricerca e Comunità. Inoltre meno del 7% si relaziona con i clienti per iniziative di utilità sociale.

Confrontando la Sicilia con il Mezzogiorno e l’Italia si scoprono diversi ritardi. Partendo dalla relazionalità con i dipendenti, la quota delle imprese che ha investito nella formazione per migliorare le competenze e la qualificazione del personale è inferiore sia alla media del Mezzogiorno sia a quella nazionale (42,9% vs 50,6% e 55,4%). Stessa situazione emerge per la propensione delle imprese a favorire la partecipazione dei dipendenti per progetti di co-innovazione: 28,4% in Sicilia contro 32,5% nel Mezzogiorno e il 34,7% nella media Italia. Un leggero ritardo c’è anche nel welfare aziendale, pur se si tratta di una scelta che riguarda comunque oltre la metà delle imprese: 66,9% in Sicilia, 70,1% nel Mezzogiorno, e 69,6% nella media nazionale.

Nei rapporti con stakeholder esterni, in Sicilia il 14,9% delle imprese ha dichiarato di aver collaborato con altre imprese, dato al di sotto della media del Mezzogiorno (18,1%) e italiana (19,5%). Stessa situazione si ripete per la relazionalità con scuole e Università per tirocini, stage, ecc.: scelta seguita dal 21,5% delle imprese siciliane, contro il 25,4% del Mezzogiorno e il 30,9% dell’Italia nel suo complesso. Scende il grado di relazionalità delle imprese con le Università quando si tratta di svolgere attività di Ricerca&Sviluppo e open innovation, confermando sempre un lieve ritardo delle imprese siciliane: 10,2% ha investito in queste attività, attestandosi leggermente al di sotto della media del Mezzogiorno (12,8%) e italiana (14,6%).

Riguardo al sistema bancario, poco più di un quarto delle imprese siciliane ha rapporti stabili con il settore bancario locale (che va al di là del mero rapporto di finanziamento, sfociando ad esempio in attività di consulenza per progetti di innovazione): si tratta del 27,6%, nel Mezzogiorno e nella media Italia si sale a circa il 31%.

L’imprenditoria siciliana è meno attratta dal mondo associativo: solo il 12% dichiara di avere rapporti abitudinari con le Associazioni di categoria territoriali; al Sud la quota è lievemente più alta (15,7%) e ancora più elevata è la media nazionale (21,2%). Restando nell’ambito dei corpi intermedi, circa il 12% delle imprese ha relazioni abitudinarie con Istituzioni territoriali come Camere di commercio, enti locali, ecc., mostrando una minore propensione rispetto alle imprese meridionali (14,7%) e italiane (15,8%).

Solo il 9,8% delle imprese siciliane ha realizzato interventi di riqualificazione e/o valorizzazione del proprio territorio a beneficio delle comunità, un valore che al Sud sale all’11,6% e in Italia arriva al 12,2%.

C’è un ambito in cui le imprese siciliane dimostrano una maggiore apertura rispetto a quelle meridionali: le relazioni con le organizzazioni no profit: 12,0% (undicesimo posto nella classifica regionale) rispetto all’11,6%.

Ancora bassa è invece la propensione a vedere nei clienti non solo acquirenti ma anche soggetti con cui relazionarsi per motivi di sostenibilità sociale: solo il 6,9% delle imprese li ha coinvolti in “campagne di utilità sociale”, un valore che sale nel Mezzogiorno al 10,4% e in Italia al 9,4%.