“I risultati delle ultime elezioni europee sono sostanzialmente in linea con quanto indicato dai sondaggi, anche se con una leggera sorpresa ‘Pro-istituzione’. In primis, si è assistito ad un calo dei voti per i due grandi gruppi politici, i socialdemocratici e i cristiano-democratici o destra moderata; questi due partiti detenevano, dal 1979, la maggioranza congiunta al Parlamento europeo, ma ora non è più così”. L’analisi di Amundi sulle elezioni europee a cura di Didier Borowski (il primo in foto) head of macroeconomic research, Eric Brard (il secondo in foto), head of fixed income, Kasper Elmgreeen (il terzo), head of equities e il senior economist, Tristan Perrier (il quarto).


Insieme, tutte queste forze pro-istituzioni detengono circa il 67% dei parlamentari contro il 70% prima delle elezioni
In secondo luogo, vi è stato un aumento di altre cosiddette forze “tradizionali”, i Centro Liberali, favorevoli al mercato, compreso il partito del Presidente francese Macron e, ancor più in particolare, i Verdi.
Insieme, tutte queste forze pro-istituzionali e filoeuropee detengono circa il 67% dei parlamentari contro il 70% prima delle elezioni. Infine, l’ultima considerazione riguarda i partiti di estrema destra (o euroscettici di destra) che vedono aumentare la propria quota da circa il 20% al 25%, con casi importanti in Francia, dove il fronte nazionale di estrema destra viene prima del partito del Presidente, e l’Italia.
Tuttavia, i partiti di estrema destra hanno ottenuto un po’ di meno delle aspettative in altri paesi chiave come Germania e Paesi Bassi, mentre il partito di estrema sinistra ha visto diminuire la propria quota dal 10% al 7%.
Nel complesso, anche se la quota totale dell’insieme dei partiti radicali e dei partiti euroscettici aumenta dal 30% al 32%, non ci troviamo di fronte ad uno tsunami che avrebbe potuto rappresentare uno shock per le istituzioni. Sarà un po’ più difficile rispetto al passato, per i due partiti storici tradizionali costruire la maggioranza attraverso una coalizione con il Centro Liberale o con i Verdi, anche se comunque possibile.


Nonostante le forti delusioni del 2018, le stime del primo trimestre 2019 hanno mostrato che i timori di una recessione diffusa in Ue erano probabilmente eccessivi
I partiti radicali avranno un po’ più di potere, specialmente attraverso le commissioni parlamentari, e potrebbero tentare di proporre emendamenti ma non dovrebbero essere in grado di bloccare la legislazione chiave se non su argomenti su cui le forze di maggioranza potrebbero essere molto divise. Infine, l’aumento del tasso di partecipazione al voto è stato notevole.
L’affluenza alle elezioni europee è stata storicamente bassa, e in calo, ma questa volta si è passati dal 43% a circa il 50%, il che dimostra un crescente interesse per le questioni europee.
Le implicazioni per la Brexit. Il Regno Unito sta attraversando una profonda crisi politica. I conservatori e i laburisti sono stati puniti dagli elettori. Il Partito pro-Brexit di Nigel Farage è il grande vincitore e Boris Johnson ha il vento in poppa per succedere a Teresa May. Ma non c’è ancora nulla di fatto.
Le dimissioni di Theresa May saranno efficaci dal 7 giugno e le procedure per individuare il suo successore inizieranno solo il 10. Theresa May manterrà comunque la sua posizione fino alla fine del processo di selezione del successore e certamente non mancano i candidati. La situazione dovrebbe risolversi al più tardi entro la fine di luglio.
Bisogna però considerare che i partiti dichiaratamente pro-Bremain (come i liberaldemocratici) hanno comunque ottenuto buoni risultati elettorali rendendo il quadro politico ancora più polarizzato e, se possibile, contribuendo a stimolare ulteriormente la richiesta di un secondo referendum.


L’Eurozona è divisa in due metà: una in piena occupazione e l’altra metà con un percorso di crescita appena avviato e livelli di disoccupazione ancora elevati
Il prossimo 31 ottobre i 27 Paesi dell’Unione Europea dovranno esprimere un consenso unanime per consentire un’ulteriore proroga della scadenza della Brexit e questo esito è tutt’altro che scontato.
Pertanto la probabilità che il Regno Unito lasci l’UE senza un accordo è già aumentata ed è necessario continuare a prepararsi per questa eventualità sia a livello nazionale che a livello di singole società.
Tuttavia è ancora tutto possibile: nessun accordo Brexit, nuove elezioni, nuovo referendum, nuova estensione dell’articolo 50, senza contare che non si può escludere che il governo britannico possa semplicemente revocare l’articolo 50.
L’unica buona notizia è che sempre meno partiti populisti e di protesta in Europa chiedono l’uscita dall’euro (decisione che richiederebbe l’uscita dall’Ue). È probabile che siano stati frenati dalle turbolenze britanniche.
I punti di forza e di debolezza per le economie europee e per l’assetto politico in Europa nel contesto delle attuali controversie commerciali. L’economia è molto migliorata a partire dal 2013. Nonostante le forti delusioni del 2018, le stime del primo trimestre 2019 hanno mostrato che i timori di una recessione diffusa erano probabilmente eccessivi – soprattutto in Germania – e che sebbene il settore manifatturiero sia sotto stress, fino ad ora non ha contagiato il resto dell’economia. La domanda interna infatti rimane solida.


negli Usa, grazie al mercato dei capitali, quasi la metà dell’impatto di uno shock economico verrà suddiviso tra i diversi stati. In Ue la percentuale scende a 10 punti
Ciononostante, l’Europa rimane vulnerabile per tre motivi:
1) Dal punto di vista economico la crisi ha diviso l’Eurozona in due: metà in piena occupazione e l’altra metà con un percorso di crescita appena avviato e livelli di disoccupazione ancora elevati. Questa spaccatura rischia di tornare alla ribalta se la situazione dovesse continuare a peggiorare.
2) Sul fronte politico, i leader e le popolazioni dell’Eurozona sono molto più distanti tra loro di quanto non fossero alcuni anni fa. Nel sud Europa, in particolare, è diffusa la convinzione che sia stata imposta un’austerità eccessiva, mentre nell’Europa del nord c’è il timore che le riforme possano mettere a rischio i risparmi.
3) Da un punto di vista internazionale, il mondo è diventato multipolare e diviso. Durante la crisi del debito sovrano i nostri principali partner (Usa e Regno Unito) hanno aiutato gli europei a salvare l’euro. La leadership di questi paesi nel frattempo è cambiata e nessuno sa come reagiranno alla prossima crisi. Inoltre l’Europa appare sempre più indietro rispetto a Stati Uniti e Cina sul fronte delle nuove tecnologie e questo ha importanti implicazioni geopolitiche.
Gli europei dovranno quindi trovare un modo per superare le loro divergenze e rafforzare l’Europa (in termini di sicurezza e difesa comune, architettura economica e finanziaria dell’Eurozona). Infine, per quanto riguarda il commercio, dovranno trovare il modo di avere una visione comune.


Ci si può rammaricare, ma sta diventando sempre più chiaro che un bilancio di stabilizzazione non è pronto ad essere istituito nella zona euro
I principali temi macroeconomici e geopolitici nel futuro dell’Unione europea.
Molti economisti sottolineano la natura incompleta dell’Eurozona e la necessità di un bilancio comune. Un bilancio che, nel caso in cui un grave shock colpisca uno o più Stati membri, potrebbe contribuire a stabilizzare le economie impattate.
Un simile bilancio, alimentato da contributi nazionali, permetterebbe di sostenere l’economia quando un paese si trova ad affrontare una crisi, da solo o con il resto della zona euro, limitando l’adozione di riforme onerose.
Ciò comporterebbe trasferimenti finanziari verso le economie in difficoltà, a differenza del meccanismo europeo di stabilità (Mes), creato durante la crisi per offrire prestiti agli Stati in crisi in cambio di piani di riforma strutturale.
Questo bilancio dell’Eurozona, se è dedicato esclusivamente alla stabilizzazione, non dovrebbe essere molto ampio. Le fluttuazioni su piccola scala sarebbero ancora a carico delle economie nazionali. Infine, l’accesso a questo fondo potrebbe essere subordinato al rispetto delle regole di bilancio (al fine di evitare l’azzardo morale).
Ci si può rammaricare, ma sta diventando sempre più chiaro che un bilancio di stabilizzazione non è pronto ad essere istituito nella zona euro. Dobbiamo pertanto sforzarci di migliorare i meccanismi di mercato. Il consenso più ampio riguarda l’Unione del Mercato dei Capitali.
Gli europei devono promuovere la disciplina e la condivisione dei rischi. Ciò consentirebbe di veicolare meglio gli abbondanti risparmi dell’Eurozona (risparmi in eccesso sugli investimenti pari a 340 miliardi di euro nel 2018) verso esigenze di investimento concrete quali la transizione energetica, l’innovazione digitale o lo sviluppo delle piccole e medie imprese.
E faciliterebbe anche l’aggiustamento macroeconomico nella zona euro. In effetti, il mercato integrato dei capitali può attenuare gli shock asimmetrici in un’unione monetaria. Quando l’azionariato di una società è altamente diversificato geograficamente, anche gli utili e le perdite sono ampiamente distribuiti.
Negli Stati Uniti, ad esempio, si stima che, grazie al mercato dei capitali, quasi la metà dell’impatto di uno shock economico venga suddiviso tra i diversi stati, in misura maggiore rispetto ai trasferimenti di bilancio. Mentre nella zona euro, solo il 10% di uno shock economico è attenuato dalla condivisione del rischio privato.


La Germania ha ovviamente più spazio di manovra rispetto all’Italia, ad esempio, e i paesi più indebitati sono esposti a tensioni sui tassi di interesse. Il proseguimento di questo trend significherebbe anche un’ulteriore frammentazione all’interno dell’area
Le implicazioni sui mercati obbligazionari. Le elezioni europee si sono svolte in un contesto di moderata crescita economica. Le politiche fiscali espansive sono complessivamente già in atto.
Le richieste di maggiori incentivi fiscali riflettono il sentiment secondo cui l’Europa ha bisogno di ulteriore supporto in un momento in cui gli strumenti di politica monetaria sono più limitati.
Le politiche fiscali più espansive si traducono in un aumento del deficit fiscale e in un peggioramento del rapporto debito / Pil, che non è favorevole ai mercati obbligazionari nel lungo periodo. Nel breve termine, le implicazioni per i mercati del reddito fisso potrebbero essere abbastanza diverse nell’area, a seconda della situazione dei diversi paesi.
La Germania ha ovviamente più spazio di manovra rispetto all’Italia, ad esempio, e i paesi più indebitati sono esposti a tensioni sui tassi di interesse. Il proseguimento di questo trend potrebbe rafforzare le aspettative di inflazione, ma significherebbe anche un’ulteriore frammentazione all’interno dell’area.
In questo contesto frammentato, il reddito fisso offre molte opportunità di selezione; tra le obbligazioni periferiche, preferiamo la Spagna e il Portogallo all’Italia. Nel credito, ad esempio, siamo positivi sugli industriali ma non sui ciclici e siamo cauti sul settore automobilistico tedesco; riteniamo ci sia valore nei finanziari, e in particolare nel settore bancario, ma siamo prudenti riguardo alle banche italiane. Di recente, sono aumentate le pressioni sul debito italiano, rispetto alla possibilità di non rispettare i vincoli fiscali dell’Ue.
Abbiamo adottato un atteggiamento moderatamente prudente sul debito italiano che potrebbe essere interessato da misure fiscali potenzialmente più aggressive, deficit più ampi in un contesto di crescita lenta (negativa nella seconda metà dello scorso anno) del Pil, con il rischio che il paese sia sottoposto alla procedura per deficit eccessivo da parte della Commissione Europea.
Ciò potrebbe mettere sotto pressione gli spread dei BTP e aumentare la volatilità, per non parlare della potenziale reazione delle agenzie di rating e del danno aggiuntivo per le banche italiane. Anche se non riteniamo che questa sia una grave minaccia nel breve termine, perché l’Italia e l’UE potrebbero trovare un accordo su un orientamento fiscale più flessibile, preferiamo adottare una posizione attendista.
Le prospettive per l’euro. La reazione del mercato sull’euro è stata molto limitata in quanto i risultati sono stati in gran parte in linea con le aspettative e non rappresentano un punto di svolta.
Le questioni chiave in gioco rimarranno il profilo della crescita economica, gli sviluppi nel panorama politico europeo dopo le elezioni in ciascun paese, la necessità di maggiori stimoli e l’impatto delle varie minacce ancora in atto, che si tratti dei dazi o della Brexit. Il contesto attuale non prevede un’improvvisa ripresa dell’euro.


In particolare, le società esposte all’economia domestica dovrebbero beneficiare di una stabilizzazione degli indicatori economici e di una potenziale ripresa nel secondo semestre
Implicazioni per l’azionario. Il solo svolgimento delle elezioni dovrebbe eliminare un’incertezza anche se la piena manifestazione del nuovo Parlamento europeo si avrà nei prossimi mesi.
La nuova Commissione e il nuovo presidente della Bce devono ancora essere eletti e quelli saranno passi cruciali nel determinare il percorso dell’Unione europea nei prossimi anni.
Crediamo che la Brexit e le relazioni commerciali tra Stati Uniti e Cina rappresentino un rischio ancora maggiore per il sentiment in Europa, due incertezze ancora irrisolte.
Riteniamo ci siano ancora buone opportunità nei comparti più ciclici delle azioni europee. In particolare, le società esposte all’economia domestica dovrebbero beneficiare di una stabilizzazione degli indicatori economici e di una potenziale ripresa nel secondo semestre.
Inoltre, vediamo alcune selezionate opportunità all’interno del settore sanitario e delle telecomunicazioni tra i segmenti più difensivi. Naturalmente l’economia europea è molto esposta al commercio globale, quindi sarà influenzata dagli sviluppi nelle relazioni commerciali Usa/Cina.
Nel medio-lungo termine ci sono alcune sfide nella società che richiederanno una risposta delle imprese. Per il terzo anno consecutivo, le condizioni meteorologiche estreme guidate dai cambiamenti climatici hanno preso il primo posto nel Global Risks Report presentato a Davos e nel 2019 il secondo e il terzo posto sono stati rispettivamente occupati dalla mitigazione dei cambiamenti climatici e dai disastri naturali.
La portata della sfida è enorme e la soluzione dovrà essere multidimensionale. Gli ottimi risultati dei Verdi alle elezioni sono un chiaro segnale che questi temi stanno richiamando l’attenzione tra la popolazione di molti paesi.
La consapevolezza delle aziende europee rispetto alla sfida climatica è in aumento e molte aziende hanno adottato misure significative per affrontare la questione. Questo è un settore in cui abbiamo elevate convinzioni per il futuro.
A nostro avviso, le tematiche della finanza sostenibile sono una tendenza strutturale che sta prendendo piede tra le società e gli investitori. Le aziende europee hanno un buon record Esg da una prospettiva relativa, ma devono andare avanti.
Sempre più analisi suggeriscono che le società che migliorano i fondamentali Esg tendono a sovraperformare il mercato. Riteniamo che questa continuerà ad essere un’area di interesse e opportunità per gli investitori negli anni a venire.