I costi nascosti in bollettali squaderna il Tribunale

Milioni di utenti non lo sanno. Ma per anni, indebitamente, le case telefoniche hanno fatto pagare loro salati «diritti di terminazione mobile», cioè il prezzo per il transito di una telefonata sulla loro rete. Nel 2007, a Vodafone, quel servizio costava 2 centesimi al minuto, ma alle altre società e ai suoi clienti privati la casa faceva pagare molto di più: da 14 a 20 centesimi. E questo malgrado le norme europee dal 2002 stabiliscano che le tariffe di quel servizio non debbano discostarsi dai costi.

Per quanto misconosciuta, la verità sui diritti di terminazione emerge con la forza di una sentenza di primo grado, fin qui unico punto fermo di un processo civile in corso davanti alla Corte d’appello di Milano. La causa dura dal 2008, quando Eutelia, società telefonica quotata in serie difficoltà economiche, aveva chiamato in giudizio Vodafone. Rappresentata dall’avvocato Eutimio Monaco, Eutelia contestava alla controparte «condotte abusive della posizione di dominanza del mercato» e lamentava di aver subìto «condizioni economiche discriminatorie rispetto a quelle che Vodafone applica alle proprie divisioni commerciali», in particolare nel servizio di terminazione verso la rete mobile.

A processo in corso, nel 2010, Eutelia era stata dichiarata insolvente e commissariata. Il 10 maggio 2016, con una sentenza inspiegabilmente passata sotto silenzio da tv e giornali, il tribunale di Milano aveva condannato Vodafone: la sentenza stabiliva avesse posto in essere «comportamenti anticoncorrenziali», che avevano contribuito al dissesto di Eutelia. Tra i punti centrali di quel giudizio spiccano i dati, fin lì segreti, cui aveva avuto accesso il perito del tribunale: le cifre contenute in un contratto, siglato nell’aprile 2007 tra Vodafone e British Telecom, da cui era emerso che «il costo relativo al servizio di terminazione su rete mobile Vodafone» in effetti era di soli 2 centesimi al minuto.

Una prima sentenza nel 2016 aveva definito quelli di Vodafone «comportamenti anticoncorrenziali»

Nel 2007, però, il prezzo ufficiale fissato dall’Autorità garante delle comunicazioni era di 11,2 centesimi al minuto. E si è dovuto attendere il luglio 2012 perché scendesse a 2,5. In base alle stime della stessa AgCom, nel solo 2008 i quattro grandi operatori di rete mobile attivi in Italia e cioè H3G, Telecom Italia, Vodafone e Wind, avevano «volumi di traffico» sul servizio di terminazione per circa 38 miliardi di minuti, che avevano garantito loro almeno 4 miliardi di euro. Tutto questo avveniva malgrado dal 2002 la Commissione Ue fosse più volte intervenuta proprio per impedire che le tariffe del servizio di terminazione mobile superassero il prezzo di costo.

In forza delle regole europee, recepite in Italia dall’AgCom, la sentenza del 2016 ha calcolato che, se tra il marzo 2001 e il giugno 2009 Vodafone avesse praticato i giusti costi per i 417.913.696 minuti del servizio di terminazione fisso-mobile reso a Eutelia, quest’ultima avrebbe dovuto pagare tariffe più basse di 41,9 milioni di euro. Per questo, quattro anni fa, Vodafone era stata condannata a risarcire quella cifra a Eutelia, e le era stata vietata «la ripetizione delle condotte» illecite.

Ora a Milano il processo è ripreso in secondo grado, ma l’avvocato Monaco è perplesso: «La Corte» dice «pur avendo riconosciuto la correttezza dell’indagine fatta dal perito di primo grado e la coerenza della sentenza con le linee-guida europee sul risarcimento del danno antitrust, ha disposto una nuova perizia e l’ha affidata a un consulente che non è iscritto all’albo della Corte d’appello e non ha alcuna competenza nel settore. E con una scelta irrituale ha deciso di “esplorare anche un diverso percorso d’indagine”, ritenendo ignoto il prezzo di terminazione praticato da Vodafone nel 2007». Tv e giornali, però, sembrano molto poco interessati. Proprio come alla sentenza del maggio 2016.