Diversi anni fa, James Choi dell’Università di Yale ha avuto la possibilità di studiare un piano di risparmio pensionistico insolito. In una grande azienda del Regno Unito, i dipendenti venivano iscritti automaticamente a un tasso di contribuzione predefinito del 12% del loro reddito, una percentuale molte volte superiore ai tassi di contribuzione predefiniti standard, che in genere oscillano tra l’1% e il 6%.

Choi e i suoi coautori hanno notato un aspetto sorprendente dell’azienda, oggetto di un nuovo studio pubblicato sul Journal of Pension Economics and Finance: dopo un anno dall’iscrizione, solo il 25% dei dipendenti è rimasto al tasso predefinito. In studi precedenti sull’iscrizione automatica a piani di risparmio previdenziale con un tasso di contribuzione predefinito del 3%, una percentuale maggiore di dipendenti era rimasta invariata. “I default automatici sono potenti, ma non del tutto”, spiega Choi. “Se si imposta il valore predefinito a qualcosa di poco attraente, meno persone vi aderiranno”.

Nel caso dell’azienda studiata, il tasso di default era poco attraente non solo perché era più alto di quello che molti avrebbero potuto sopportare, ma anche perché, per qualificarsi per i contributi corrispondenti, un dipendente doveva contribuire per più del 12%. Rimanere fermi era in realtà la peggiore decisione (o non decisione) che un dipendente potesse prendere, sottolinea Choi.

“Se si ha la possibilità di risparmiare il 12% all’anno, è meglio risparmiare il 6% un anno e il 18% l’anno successivo”, spiega Choi. “Passando da un tasso di contribuzione alto a uno basso nel corso degli anni, si finisce per ottenere una certa corrispondenza piuttosto che nessuna”.

Alla luce di questa realtà, la domanda più interessante per Choi e i suoi coautori – e il risultato potenzialmente più pertinente per i politici – era su chi rimaneva al tasso di contribuzione predefinito:ebbene, la risposta sorprendente era che vi restavano i dipendenti con redditi più bassi. In particolare, coloro che hanno mantenuto l’aliquota predefinita avevano un salario medio inferiore di un terzo rispetto ai dipendenti che hanno optato per aliquote contributive diverse da quelle predefinite, immediatamente vicine a quelle predefinite. Questo risultato è coerente con le ricerche esistenti che dimostrano che le persone con un reddito basso sono generalmente meno alfabetizzate dal punto di vista finanziario rispetto a quelle con un reddito più elevato.

“Sappiamo che l’alfabetizzazione finanziaria ha un gradiente di reddito e di ricchezza e che è associata a un migliore processo decisionale finanziario”, spiega Choi. “Sembra naturale che se non si sa cosa fare, si finisca per bloccarsi e rimanere allo status quo di default”. Ma quando questo status quo è ricco, ci si ritrova quasi miracolosamente con la pensione migliore…