Dopo 12 anni di lacrime e sangue e di forte austerity nella spesa pubblica, la Grecia dichiara finita la crisi del debito pubblico. Il primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis ha annunciato ufficialmente che si è concluso il periodo di “sorveglianza rafforzata” dei conti pubblici di Atene. La Grecia non è più un “sorvegliato speciale” dell’Unione europea.
La conferma arriva anche dal commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni.
Sia chiaro, non che la Grecia abbia di colpo risolto tutti i suoi problemi economici. Significa che dopo 12 anni di “dieta” contro sprechi, corruzione e spesa pubblica fuori controllo, il governo greco da oggi torna pienamente padrone della sua politica economica. In concreto, potrà beneficiare di maggiori margini di manovra avendo in mano più sovranità nelle decisioni, non più totalmente vincolate dai pareri di Bruxelles.

Come nasce la crisi greca
La crisi del debito ellenico viene fatta risalire al 2010, anno in cui l’allora primo ministro Giōrgos Andreas Papandreu fu costretto a svelare il segreto di Pulcinella, quello che tutti sapevano, ossia ammettere che i bilanci dello Stato erano stati falsificati. E non di certo solo in quegli anni, ma da molto tempo. Seguì una escalation di eventi: dai mercati e dalle finanze, la crisi cominciò a mordere anche sulla vita quotidiana dei cittadini. Prima di tutto calò la fiducia dei mercati finanziari, con il conseguente crollo dei titoli di Stato greci al rango di “spazzatura”.
Poi fu costretta a intervenire la troika che, nell’ambito della politica dell’Ue è costituita dai rappresentanti della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale. Mario Draghi (futuro premier in Italia) era alla guida della Bce. Angela Merkel cancelliera in Germania.

La povertà in Grecia
Infine, cominciò a colpire la mannaia dei tagli pesanti con conseguenze sociali drammatiche. In quel contesto, il Pil greco crollava del 25%, la disoccupazione sprofondava al 28%, la spesa pubblica veniva tagliata del 34%, le pensioni del 14%. I poveri aumentavano. La Grecia era una bomba sociale pronta a deflagrare nel mezzo del cammino di integrazione europea.
Le immagini dei disordini sociali con violenti cariche della polizia, dei prelievi forzosi ai bancomat e della corsa alle liquidità, segneranno la storia dell’Ue e il percorso dell’eurozona.
Populismi e movimenti estremisti come avvoltoi
A tutto questo si aggiungeva lo spauracchio agitato dalle forze estremiste politiche, di destra e sinistra. Il partito neonazista Alba Dorata sarà giudicato illegale dalla Corte d’appello ateniese solo nel 2020, dopo diversi attacchi squadristi, compreso l’omicidio del rapper antifascista Pavlos Fyssas. Da quel momento l’Europa non sarà più la stessa. Cominciano a entrare nel lessico comune termini quali: populismo e sovranismo. Rubano la scena politica i nuovi euroscettici, ultranazionalisti, neocomunisti e neofascisti; forze che si avventano sul corpo martoriato della Grecia come avvoltoi, pronti a farne un agnello sacrificale per spingere gli altri Stati membri fuori dall’Ue. Con il pretesto della povertà dilagante e dei tagli imposti da Bruxelles, si gioca d’azzardo sulla pelle dei greci, per riprendere evidentemente il potere.
Nel gergo economico e politico tornano in auge vecchi termini come “austerity” e nuovi come “spending review” (accadrà anche in Italia con l’inevitabile imposizione del governo Monti). Questi movimenti puntano il dito contro tecnocrati e banchieri Ue. La troika viene accusa di essere un sistema antidemocratico. Si sollevano le proteste popolari davanti allo spettro di una imminente uscita della Grecia dall’euro, un passo che avrebbe potuto trascinare nel baratro anche l’Italia e il resto dei Paesi che hanno adottato la moneta unica. Circolano in modo insistente fake news che minano le fondamenta dell’economia: la convinzione diffusa è che senza l’euro saremmo stati meglio. La verità è che la dracma, la moneta greca, alla pari della lira italiana valeva carta straccia e i tassi di interesse (che incidono su prestiti e mutui), calmierati grazie alle politiche economiche europee, avrebbero distrutto l’economia euromediterranea.

L’ascesa di Tsipras e il braccio di ferro con Bruxelles
C’è però un evento storico di quegli anni che ha evitato il disastro nel Paese che ha inventato la democrazia, esportando la filosofia nel mondo occidentale. Alle elezioni del 2015 si impone il fenomeno Syriza: con il 36,4% dei voti sale al governo Alexis Tsipras.
Piazza Syntagma diventa il cuore della protesta sociale, con morti e feriti. I greci esasperati o aizzati dai movimenti estremisti danno fuoco alle bandiere della Germania, accusata di aver ridotto la Grecia a una torta da spartire. Il 5 luglio di quell’anno, in un referendum voluto dal premier appena insediato, i greci bocciano le misure “lacrime e sangue” richieste dalla Ue in cambio di 280 miliardi di aiuti e pacchetti di salvataggio del debito. Tsipras in realtà comprende subito che la situazione sta precipitando e la crisi greca potrebbe contagiare tutta l’Europa. Tsipras capisce che le promesse della campagna elettorale populista sono inapplicabili e, sorprendentemente, accetta il piano di salvataggio che prevede, tra le altre misure, la vigilanza stretta di Bruxelles sulla politica economica.
Come si vive in Grecia dopo la crisi
La Grecia oggi non può dormire sonni tranquilli ma, nel frattempo, il Pil del 2021 è salito dell’8,3%. Nel 2022, anno difficile per tutti, chiuderà a +4%. La disoccupazione è scesa all’11%. La percezione della corruzione è calata sensibilmente. Sta risalendo la fiducia verso le istituzioni e si diffonde un’etica nuova nell’economia greca. Ma nuove ombre e pericoli si allungano all’ombra del Partenone: il caroprezzi sta impoverendo la popolazione.
La crisi greca sia d’insegnamento anche per l’Ue troppo rigida davanti alle sofferenze dei popoli nell’economia reale e fragile ai nuovi sovranismi. Questa notizia sorprende l’Europa che, con la guerra alle porte e la crisi economica, si riscopre oggi sovranista e populista. Sorprende la vicina Italia, che si prepara alle elezioni 2022. Sorprende perché, a conti fatti, è chiaro che la corruzione e i falsi in bilancio si pagano a caro prezzo e che le politiche economiche di risanamento richiedono tempo. Non il tempo di una effimera campagna elettorale che solletica il ventre molle dei votanti. Lo stato di campagna elettorale permanente interrompe il cammino di un progetto politico amministrativo. Le promesse elettorali si bruciano nel tempo di un fiammifero.