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GIORGIA MELONI PREMIER

La vittoria schiacciante di Fratelli d’Italia e dell’astensionismo al voto regionale di Lombardia e Lazio segna per Giorgia Meloni l’aggravarsi di un braccio di ferro che non potrà non avere sviluppi: quello con i suoi alleati di governo, non risultando pervenuta alcuna opposizione se non nelle surreali dichiarazioni di Enrico Letta.

Forza Italia, che “tiene” debolmente, conferma a se stessa di essere un partito personale appartenente a un vecchio signore che ha perso anche i debolissimi, ultimi freni inibitori che aveva – non ne ha mai avuti di forti – non ha provveduto alla successione e non ha coltivato attorno a se alcuna leadership alternativa che potesse affiancarlo e succedergli. La poetica della riscossa liberale del Paese è evaporata da tempo, resta una rete di interesse e solidarietà ormai priva di collante, in aangosciata attesa di visioni sul futuro. Che transiteranno, in qualche modo, per un avvicinamento a Fratelli d’Italia? Forse, ma con tutte le premesse per diventare piombo sulle ali della leader, e non propellente nel motore.

Fratelli d’Italia-Lega confronto 

Il vero nodo è quello della Lega. Fallita la scommessa di lasciarsi alle spalle le sorgenti del Po, alla cui insegna nacque il partito del Nord, della Padania e del distacco da “Roma Ladrona”, la Lega ha fatto dietrofront e con il concetto dell’autonomia differenziata sta cercando di tornare a quel modello per altre vie. Quanto poco questo ingrani con la visione del governo di Giorgia Meloni si vede dal riordino delle procedure gestionali dei fondi europei del Pnrr. I poteri delle Regioni e degli enti locali ne escono molto ridimensionati, com’era ovvio che fosse. Altro che federalismo: comanda Roma, sentita Bruxelles, e peraltro – statalismo a parte – non può che essere così. E la Lega che farà? Si accontenterà di far ascoltare la conferenza Stato Regioni al soglio pontificale di Palazzo Chigi? O torneranno i “barbari sognanti” per superare la soglia del 15%, soffitto di cristallo che già soffocò, nell’arco di un ventennio, il Psi di Craxi?

Replica dei giudiziosi: né quel che resta di Forza Italia né la Lega hanno interesse a far impazzire la maionese che li ha miracolosamente insediati, nel ruolo di mosche cocchiere, sulla carrozza trainata dalla Meloni. C’è troppo da spartire, sia pure da comprimari. Troppe seggie e poltroncine da arraffare, all’ombra di Giorgia. A chi conviene far casino? E’ vero che oggi l’opposizione è inesistente ma se per un miracolo di San Palmiro salisse alla guida del Pd un uomo pratico come Bonaccini tra un annetto magari la si potrebbe anche rivedere e allora?

Lo scorpione e la rana

Ai giudiziosi la risposta arriva dalla mitologia, dalla favola dello scorpione e della rana. Lo scorpione che chiede un passaggio alla rana per attraversare lo stagno e alla rana che teme di essere punta e uccisa oppone la rassicurante spiegazione: “Che senso avrebbe per me essere autolesionista?”. Poi però, inevitabilmente, a metà del guado lo scorpione punge la rana e le spiega desolato: “Che ci vuoi fare, è nella mia natura…”. E’ una storia di tremila anni fa, la scrissero dei favolati greci, politologi ante-litteram.

Ci sono momenti in cui l’indole prevale sull’interesse, e rileggendo la storia della Lega, riandando a quel lontano ’95 in cui Bossi scaricò il Berlusca pur di riaffermarsi come forza d’opposizione, è lecito immaginare che, appunto, questa storia si ripeta, o almeno che la prossima faccia rima.

Infine il ridotto dove campeggia lei, Giorgia, la conducator. E’ zeppo di persone inadeguate: non che sia l’unico schieramento a soffrirne, ma oggi è l’unico che avrebbe bisogno di professionisti che non ha. E qualche segnale in più di rigore selettivo la premier dovrebbe darlo, vedasi alla voce Donzelli, per far capire a suoi che quando dall’opposizione si passa al governo la musica deve cambiare. Non ce ne sono avvisaglie, purtroppo.

Una donna sola al comando. Anzi, non sola ma male accompagnata.

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