Giocando s’impara. Ma non solo: si impatta su brand awareness, autorevolezza e loyalty. Quella che tecnicamente viene definita gamification è un approccio sperimentato con successo da svariati marchi, che introduce in azienda e fra gli stakeholder elementi come divertimento, sfida, ricompensa, classifiche, livelli. Secondo le stime diMarketsandMarkets la gamification nel 2020 potrebbe raggiungere a livello globale n giro d’affari prossimo agli 11 miliardi di dollari: oggi siamo intorno ai 5 miliardi, mentre soltanto nel 2015 si era a quota 1,65 miliardi di dollari. Un trend ravvisabile anche nei diversi corsi e master oggi esistenti, focalizzati su Game design, come quello dello Iulm di Milano per esempio, Game design & Management, della Luiss di Roma, Gamification & Engagement design dello Ied, ancora della città meneghina.
La gamification fa leva sui cosiddetti core drive, bisogni primari istintivi come porsi obiettivi e trarne giovamento e soddisfazione
«La gamification mette al centro di un’esperienza non ludica, lavoro o acquisto di un prodotto che sia, il fruitore stesso, per renderlo partecipe», spiega Fabio Viola, uno dei massimi game designer italiani, coordinatore del master dello Ied, autore del blog Gameifications.com e di libri dedicati a questo tema. «Nei videogame ognuno di noi compie delle scelte, mette in atto delle strategie per raggiungere un risultato e ciò crea emozioni, quindi coinvolgimento». La gamification fa leva sui cosiddetti core drive, cioè bisogni primari istintivi: porsi degli obiettivi e raggiungerli, trarne giovamento e soddisfazione, condividere i successi ottenuti con gli altri. Che guarda caso è il cardine attorno a cui ruotano i social network. Normale, dunque, che gamification e social siano strettamente interrelati nelle strategie di marca e si sostengano e alimentino a vicenda. E lo faranno sempre di più in futuro, visto che le vite dei Millennials e della Generazione Z sono un tutt’uno con chat, videogiochi, social. In questo scenario le vecchie fidelity card, col loro sistema di profilazione e raccolta punti per avere dei premi, sono ormai superate e sempre più verranno sostituite da nuove logiche in grado di catalizzare e innalzare la soglia di attenzione (sempre più bassa oggi a causa della sovrabbondanza di input e all’abituate ad avere feedback immediati alle proprie azioni) e creare partecipazione e interazione dando all’utente una motivazione più forte a registrarsi e a compiere delle azioni legate al proprio business.
Non solo marketing
Fidelizzare i clienti e migliorare l’engagement nei processi di formazione in aula e in e-learning, incentivare la forza vendita, facilitare i cambiamenti organizzativi e favorire l’introduzione di nuove strategie aziendali: le promesse della gamification sono interessanti. Unilever ha introdotto il sistema di recruiting digitale Unilever Future Leaders, dove è prevista anche una fase di gaming: tra i vari passaggi per candidarsi ce n’è uno che misura i tratti cognitivi ed emotivi della persona attraverso dodici brevi giochi online. La lista delle case history che hanno fatto scuola è lunga. Da Perrier che nel 2013 con il geniale Perrier’s Secret Place è riuscita a coinvolgere milioni di utenti tramite un gioco che consentiva di entrare in un mondo fantastico dalle atmosfere un po’ magiche e trasgressive con l’obiettivo di trovare una bottiglia speciale tra tutte quelle Perrier. Qualcosa di simile ha fatto Magnum con il gioco Magnum Pleasure Hunt, ispirato al noto videogame Super Mario, per promuovere il nuovo gelato Temptation. Operazioni di successo che hanno come filo conduttore la sfida, cardine e scopo del gaming. L’app lanciata da Nike in partnership con FuelBand consente alle persone registrate di condividere i propri risultati sportivi sui social per confrontarsi con gli utenti di tutto il mondo o sfidare i propri amici. Per ogni livello completato, ci sono in palio trofei e premi. Operazione che ha consentito al brand di fare database building e offrire servizi personalizzati ai propri clienti. Condivisione è invece la parola d’ordine per MediaWorld che ha creato la community Hi-Friends nella quale si risponde a quiz e si scambiano consigli con gli altri utenti, guadagnando in tal modo monetine virtuali che si traducono in sconti. Starbucks ha, invece, puntanto con My Starbucks Reward sul miglioramento di customer experience e vendite attraverso la gamification con un’App in cui i clienti “giocatori” iscritti accumulano stelle e quindi sconti e regali.
«Oltre che in selezione e formazione, oggi la gamification viene sempre più utilizzata in azienda per motivare la forza vendita» spiega Michele Arcieri, HR Manager Italy di Humana, società specializzata nel baby food che ha realizzato un’apposita App proprio per le Vendite. «Essa – spiega il manager – consente al nostro commerciale di conoscere sempre meglio i prodotti aziendali rispondendo alle domande che l’App gli manda come alert. Chi dà più risposte esatte, e per far ciò bisogna informarsi, viene ovviamente premiato periodicamente. È un modo per promuovere partecipazione e una sana e robusta competizione che rientra in un approccio di unconventional training legato al nuovo modo di interagire: informazioni più immediate che da un lato fidelizzano e fanno squadra e dall’altro consentono anche di esprimere le competenze nascoste e valutare le soft skill delle persone». Deloitte ha da tempo inserito nei programmi di formazione dedicati ai propri dipendenti e a quelli dei propri clienti un’academy virtuale pensata, appunto, secondo i crismi della gamification e fatta di livelli, obiettivi e riconoscimenti da raggiungere e da condividere con colleghi e cerchie LinkedIn e, soprattutto, personalizzabile in ogni sua fase. I risultati in termini di skill e performance della forza lavoro confermano l’utilità di questo approccio.
STARTUPPER E CACCIATORI DI TESTE
Trovare il candidato o il lavoro ideale giocando è una strategia sempre più seguita. Employerland, per esempio, è un social game che consente di creare un profilo e inserire titoli, esperienze e competenze lavorative, prima di scegliere tra una serie di aziende quella per la quale si vorrebbe lavorare. All’utente vengono proposte simulazioni per misurare le sue capacità organizzative, di preparare presentazioni, interagire con i colleghi, e così via. Grazie a partnership con realtà quali Luxottica, Bnl, Procter&Gamble, Bosch, questo professional game consente di farsi notare ed entrare in contatto con i recruiter in carne ed ossa delle aziende, procurandosi magari, per i più bravi, un promettente colloquio di lavoro. Sulla stessa lunghezza d’onda è la startup milanese Glickon, che ha creato una piattaforma che consente ai selezionatori di verificare in modo veloce le competenze dei candidati come in un gioco, all’interno di una vera e propria community di professionisti. Per chi preferisce il lavoro imprenditoriale a quello da dipendente, StartUP! è il gioco che consente di mettere alla prova le proprie attitudini imprenditoriali e prospettive di business. Scelto il tipo di startup che si vuole avviare, il giocatore tramite simulazioni deve gestire business plan e assunzioni, attività di routine, ricerca di finanziamenti e crediti. Il tutto cercando di far quadrare i conti e produrre utili, misurando così le sue capacità imprenditoriali.