di Luisa Leone
Hanno superato quota 9 milioni gli iscritti alla previdenza complementare in Italia nel 2022. Un dato in crescita del 5,4% sul 2021, uno tra i molti riportati nella Relazione annuale della Covip, la Commissione di Vigilanza sui fondi pensione, presentata i primi di giugno dalla Presidente facente funzione Francesca Balzani.
La percentuale degli iscritti rispetto al bacino potenziale è anch’essa leggermente salita, al 36,2%, ma con un forte squilibrio sia di genere, che generazionale che geografico. Il sistema “Accoglie prevalentemente uomini, di età matura, residenti nel Nord del Paese”, si legge nella nota Covip. E infatti, guardando i numeri in maniera più approfondita, emerge che gli uomini sono oltre il 60% degli iscritti (il 73% nei fondi negoziali) e che la distribuzione per età vede la prevalenza delle fasce tra i 35 e i 54 anni (49%) e sopra i 55 ani (32%), mentre sotto i 35 anni la percentuale non arriva al 20 (18,8%).
In questo scenario la Covip auspica interventi legislativi volti a introdurre meccanismi in grado di coinvolgere maggiormente i giovani, che ancora ricorrono poco alla previdenza complementare pur essendo la categoria che più ne avrebbe bisogno, poiché la loro pensione pubblica sarà al 100% calcolata con il sistema contributivo e molto meno generosa di quella dei loro genitori. In particolare la Covip indica la strada di incentivi fiscali rimodulati in base al reddito, proprio perché i giovani a inizio carriera spesso non possono sfruttare tutto il plafond di deducibilità (5.164 euro) della previdenza complementare e anche la diffusione di opzioni di investimento di tipo life-cycle, che accompagnano gli iscritti nel percorso di formazione del salvadanaio previdenziale, modificando il comparto di destinazione in maniera automatica con l’avanzare degli anni, passando da soluzioni d’investimento più aggressive a scelte più bilanciate e conservative.
Di certo, le risorse investite dai fondi pensione italiani sono notevoli, pari a 205,6 miliardi, equivalente a quasi l’11% del Pil e pari al 4% delle attività finanziarie degli italiani. Di questa cifra più della metà (54,6%) è investita in titoli di debito, governativi e non, e complessivamente il peso dei titoli di Stato italiani è del 15,4%. Quanto al peso delle azioni, questo è diminuito nel corso del 2022, passando dal 22,6% al 20%, come le quote di Oicr (Organismo investimento collettivo del risparmio), scese al 15,3%.
L’ammontare delle risorse è risultato in calo del 3,6% sull’anno precedente, a causa dell’andamento negativo dei mercati finanziari e la Covip sottolinea come sia ancora piccola la quota di investimento in imprese italiane, forse anche per le limitate dimensioni del mercato nazionale: in titoli tricolore sono investiti circa 4 miliardi di euro (il 3% delle attività complessive) di cui una buona parte in obbligazioni e solo 1,5 miliardi in azioni.
Sotto questo profilo va rilevato che Previndai, il Fondo pensione dei dirigenti italiani, negli ultimi tempi ha puntato molto sull’economia reale italiana e nel 2022 ha realizzato investimenti in Fia (Fondi di investimento alternativi) italiani per quasi 200 milioni di euro. Quanto alla composizione dei circa 14 miliardi di patrimonio del Previndai, bisogna ricordare che una buona parte delle risorse, circa il 75%, riguarda i comparti garantiti (Assicurativo 1990 e Assicurativo 2014), che sono composti di polizze assicurative, appunto, e che puntano al mantenimento del potere d’acquisto. I due comparti finanziari (Bilanciato e Sviluppo) hanno invece obiettivi di rendimento più elevati ma scontano anche una maggiore volatilità. Il primo vede i bond come asset principale (55,5% del portafogli), affiancati dalle azioni (36%) e dai Fia (8,5%). Il comparto Sviluppo ha proporzioni invertite, con una quota maggiore di azioni (59,1%) affiancate sempre da obbligazioni (32,4%) e Fia all’8,5%.