Nervi saldi per gli iscritti ai fondi pensione, che nel 2022 hanno registrato nella maggioranza dei casi rendimenti negativi per i loro investimenti. Quello appena passato è stato un anno difficile per l’economia e la finanza mondiali. La guerra in Ucraina, il caro materie prime, soprattutto energetiche, l’impennata dell’inflazione e le conseguenti azioni restrittive delle banche centrali hanno infatti lasciato il segno. Sui mercati sono state colpite quasi tutte le classi di investimento: azioni e obbligazioni, titoli domestici, dei Paesi sviluppati e di quelli emergenti, bond governativi a livello globale.  

Insomma, in un panorama tanto avverso, era praticamente inevitabile che anche i rendimenti dei fondi pensione, che investono sui mercati per far crescere i contributi versati dagli iscritti, risentissero dello sfavorevole clima generale. Secondo i dati diffusi dalla Covip, l’Autorità di vigilanza sui fondi pensione, nel 2022 i rendimenti dei fondi pensione negoziali si sono attestati al -9,8%, quelli degli aperti al -10,7%, le Unit linked dei Pip (Piani individuali pensionistici) nuovi al -11,5% e le gestioni separate dei Pip nuovi al +1,1%.

Eccezione quest’ultima dovuta a una diversa contabilizzazione utilizzata dalle linee assicurative in gestione separata, che ha riguardato anche i comparti assicurativi (garantiti) di Previndai, che lo scorso anno hanno registrato un rendimento del +2,13% (Assicurativo 1990) e del +1,76% (Assicurativo 2014). I comparti finanziari del Fondo dei dirigenti industriali, invece, hanno registrato un -11,3% il comparto Bilanciato e -11,7% quello Sviluppo, comunque meglio dei rispettivi benchmark. 

In questo quadro bisogna sempre ricordare che, positivo o negativo che sia, il valore di un solo anno non è particolarmente significativo. Per loro stessa natura, infatti, questi investimenti sono di medio-lungo periodo e  storicamente i cali anche repentini dei mercati finanziari sono poi stati seguiti da rimbalzi che hanno consentito di recuperare le perdite. 

 Ad ogni modo, anche se i rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri, è sempre bene ricordare che le scelte di investimento anche per la previdenza complementare, dovrebbero basarsi su criteri quanto più possibili legati al proprio orizzonte temporale, alla propria propensione al rischio, alla situazione economica e finanziaria generale. Insomma, spaventarsi per un segno meno davanti al rendimento di un anno e pensare di disinvestire solo per questa ragione può condurre a concretizzare perdite che sono solo ‘potenziali’ e che diventerebbero concrete, appunto, unicamente al momento di un’eventuale uscita dall’investimento in un momento di mercati particolarmente bassi.

Anche in quest’ottica la scelta del comparto giusto al momento giusto gioca una funzione fondamentale. Per Previndai, per esempio, le linee garantite (Assicurativo 2014 e Assicurativo 1990) sono caratterizzate da una forte stabilità nel tempo e non hanno mai registrato rendimenti negativi (in virtù della garanzia sul capitale e su un rendimento minimo). Queste idealmente sono linee più adatte per chi è vicino all’età della pensione e quindi prevede di richiedere la sua prestazione nell’arco di massimo cinque anni. Chi avesse seguito questo criterio e si trovasse oggi a dover richiedere la sua pensione complementare, sarebbe infatti stato protetto dai forti cali dei mercati registrati nel 2022 (entrambe le linee sono risultate in terreno saldamente positivo). 

Diversamente, chi avesse un orizzonte temporale di più di cinque anni dovrebbe guardare ai rendimenti su cinque anni dei comparti finanziari, Bilanciato e Sviluppo, che sono stati entrambi ampiamente positivi (rispettivamente + 1,32% e +2,6%), migliori ancora sui 10 anni, quando battono sia la rivalutazione del Tfr che l’inflazione (+2,4% e +3,3%). Ricordiamo che il comparto Bilanciato è indicato per chi abbia un orizzonte temporale tra i cinque e i dieci anni mentre oltre i dieci anni la scelta ideale è lo Sviluppo e che tutti i rendimenti riportati sono al netto di fiscalità e imposte.