Chi sbaglia paga” vale quasi sempre nella vita. E sembra valere anche nell’intricato (e asimmetrico) rapporto tra cittadini e aziende con il Fisco. Perché se è vero che è sempre più difficile districarsi nel complesso mondo delle tasse – burocrazia, lentezza, poca trasparenza – è anche vero che quando è lo Stato a sbagliare, restituisce tutto (e con gli interessi), a chi ha subito torto.
E quanto emerge da un recente rapporto pubblicato da Eurispes dal titolo particolarmente evocativo “Fisco impossibile” su una realtà tributaria che appare a tratti drammatica e a tratti esilarante (basti vedere il riquadro nelle pagine seguenti) e che giunge a quasi trent’anni dalla prima ricerca sulle distorsioni tributarie dal titolo “Fisco demenziale – Storie di imposte, tasse, cittadini ed imprese”.
Già ai tempi, nel 1995, erano state censite ben 837 leggi in materia fiscale e 46 tributi erariali, comunali, provinciali e regionali. Numeri che senza andare troppo per il sottile parlavano da soli. E da allora, la situazione non appare migliorata. Anzi, in alcuni casi è addirittura peggiorata.
Lo studio odierno arriva in concomitanza dell’approvazione della legge delega in materia fiscale, dalla quale ci si aspettano importanti novità per deforestare la selva di norme e tributi che spesso stritolano aziende e contribuenti privati. A cominciare dalle sanzioni amministrative che oscillano dal 120 al 200% rispetto all’imposta dovuta, molto sopra rispetto alla media europea, o alla necessità di rendere più equo il Fisco sia riducendo ulteriormente gli scaglioni da quattro a tre sia armonizzando le aliquote. Sul punto, basti pensare che se un lavoratore percepisce uno stipendio di 30mila euro lordi l’anno si trova con un’aliquota marginale del 38% a fronte di quella di un azionista di una grande azienda, che semmai preleva utili per milioni, che si attesta solo al 26%. Così come appare urgente revisionare le sanzioni penali annesse. Sarebbe più ragionevole far ricadere tali omissioni nell’alveo della giustizia amministrativa più che in quella penale. E non solo per la natura della materia, ma anche per contribuire allo smistamento di processi (il 42 per cento di procedimenti pendenti dinanzi alla Cassazione è di natura tributaria) in attesa del terzo grado di giudizio.
Comunque, al di là della questione – più morale che giuridica – se sia giusto pagare il 50% di tasse sul proprio reddito, il fatto che in Italia la pressione fiscale sia troppo alta è un dato acclarato. Certo, considerando i vincoli comunitari e il debito pubblico, l’unica strada perseguibile per abbassare le tasse è contrastare l’evasione fiscale. Ma a parte ciò, emerge un’altra questione a cui serve dare risposta: cosa succede quando il Fisco sbaglia? Esistono margini per risarcire il contribuente danneggiato? Certo che sì, perché il Fisco è responsabile per i propri errori. E ad attestarlo vi è un lungo elenco di sentenze della Cassazione che hanno indicato la strada da seguire. Come la n. 18376 del 30/06/2021 che ha chiarito alcuni profili in tema di richieste risarcitorie a carico degli Enti locali per errori in materia impositiva, per la corretta comunicazione a cui ha diritto il contribuente e per la legittimità di alcune richieste da parte della pubblica amministrazione. È il caso della richiesta di risarcimento del danno subito da un amministratore di condominio da parte di un Comune che in cartelle emesse per tasse comunali degli anni 1998, 1999, 2000 lo individuava come debitore a titolo personale, invece che nella sua qualità di amministratore condominiale a cui le tasse erano riferibili.
Tale richiesta era materia per la giurisdizione ordinaria e non tributaria perché la “materia non era afferente ai tributi bensì alla richiesta del danno”. Contrariamente a quanto eccepito dall’ente pubblico che ha dovuto così risarcire il contribuente. Una posizione confermata in una sentenza delle Sezioni Unite (la n.15 del 4/01/2007, e ribadita nelle sentenze della Cassazione n. 33920/2019 e n. 10814/2020), che ha statuito come laddove «la domanda di risarcimento dei danni sia basata su comportamenti illeciti tenuti dall’Amministrazione finanziaria dello Stato… la controversia, avendo ad oggetto una posizione sostanziale di diritto soggettivo del tutto indipendente dal rapporto tributario, è devoluta alla cognizione dell’autorità giudiziaria ordinaria».
In sintesi, anche in campo tributario, se è vero che l’attività della PA deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge ma anche dalla norma di non ledere l’altrui sfera giuridica, tocca al giudice ordinario accertare se vi sia stato, da parte dell’Amministrazione, un comportamento colposo che abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo». Stessa sorte è toccata ad analoghi procedimenti che hanno visto “sul banco degli imputati” l’Agenzia delle Entrate. La Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 10814 del 05/06/2020, ha dato ragione ad una contribuente che aveva chiamato in giudizio l’Agenzia delle Entrate e il concessionario per la riscossione sostenendo di aver subìto un’illegittima iscrizione ipotecaria, fondata su pretese tributarie cui erano sottesi due avvisi di accertamento annullati con sentenza del giudice tributario passata in giudicato, e chiedendo, pertanto, il risarcimento dei conseguenti danni. Il Tribunale accoglieva la domanda, condannando gli stessi al pagamento di un importo a titolo di responsabilità processuale aggravata, posta la persistente resistenza dei responsabili. La Suprema Corte, in sostanza, ha sancito l’importante principio che «anche nel campo tributario… è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato, da parte dell’Amministrazione, un comportamento colposo tale da determinare la violazione di un diritto soggettivo» (Cass., Sez. U., 11/10/2016, n. 20426, che rimanda a Cass., Sez. U., 09/07/2014, n. 15593). Anche sul fronte della errata comunicazione da parte dell’agenzia delle Entrate, non mancano sentenze interessanti, come la n. 23163 del 27/09/2018, che ha chiarito il tema della responsabilità risarcitoria dell’Agenzia delle Entrate in caso di errata o insufficiente risposta fornita al contribuente. Nella specie, un contribuente lamentava la violazione degli obblighi di informativa da parte dell’Agenzia che lo aveva indotto in errore circa il corretto regime di tassazione applicabile sul valore di una compravendita. Ebbene, dopo i diversi gradi di giudizio, la Suprema Corte sanciva il diritto del contribuente ad ottenere un’informazione completa, laddove la decisione censurava la mancata osservanza di un obbligo di informativa verso il contribuente, con violazione dei princìpi di correttezza e collaborazione, secondo buona fede.
Insomma, il tema della possibile richiesta di risarcimenti legati ai procedimenti tributari è ormai questione all’ordine del giorno. E limitandosi ad esaminare le controversie aventi ad oggetto la responsabilità extracontrattuale previste dall’articolo 2043 del Codice civile che recita come «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno», il contribuente, che si sente danneggiato, dovrà in tali casi dimostrare una serie di concomitanti condizioni espressamente previste da tale articolo. Come dire, la responsabilità risarcitoria del Fisco non deriva in automatico dall’illegittimità di un atto, bisogna che sussistano contestualmente una serie elementi. Ma, la buona notizia è che se tali elementi sono presenti, anche il Fisco (che, alla fine, comunque paga con i soldi della “collettività”) deve risarcire il contribuente per i propri errori.