I numeri non mentono. A fine dicembre 2022, l’Italia aveva speso il 62% dei 64,4 miliardi di euro allocati dai fondi strutturali europeinella programmazione 2014-2020. Un traguardo che la colloca al penultimo posto in Europa nella speciale classifica sulla capacità di spesa dei finanziamenti comunitari. Dopo di noi, c’è solo la Spagna. Ma c’è davvero poco di che rallegrarsi. Forse solo per un dato relativo: ovvero che, il 31 ottobre 2022, cioè un paio di mesi prima dell’ultima rilevazione del portale online “Cohesion Data” della Commissione europea, di Fondi strutturali FESR (Fondi Europei Sviluppo Regionale) e FSE (Fondo Sociale Europeo) ne erano stati spesi il 55,5%, oltre 35,7 miliardi di euro. Il che significa un’accelerazione improvvisa concretizzatasi tra ottobre e dicembre. La media Ue (76%) resta però un miraggio e se entro la fine del 2023 non si dovesse riuscire a spendere e a rendicontare i fondi in giacenza andrebbero in disimpegno automatico.
Nel frattempo, a luglio dello scorso anno è stato già firmato l’accordo di partenariato per la programmazione 2021-2027, per cui in totale l’Italia potrà contare su oltre 75 miliardi di euro tra risorse europee e cofinanziamento nazionale. Ma a maggior ragione bisognerà preoccuparsi su come si riuscirà a spenderli. «I dati purtroppo confermano ciò che sapevamo da tempo e che avevamo già segnalato nella nostra Relazione sullo stato di attuazione della programmazione 2014-2020» ha ammesso qualche settimana fa ilMinistro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il PNRR, Raffaele Fitto, aggiungendo che «l’Italia non riesce a spendere in maniera né soddisfacente né efficiente i fondi di coesione dell’Unione europea ed è per questo che è più che mai necessario e urgente intervenire in maniera strutturale per cambiare il sistema con cui i fondi vengono utilizzati».
Fondi europei, perché l’Italia non riesce a spenderli
Bella sfida, caro ministro Fitto, non c’è che dire. Il punto è che l’incapacità tutta italiana di riuscire a spendere i fondi che l’Ue mette a disposizione per lo sviluppo economico è un problema atavico che si trascina da sempre e che i ritardi sul Pnrr hanno solo messo in cruda evidenza. Nel segmento privato c’è un gap profondo da colmare e che alligna nell’approccio tradizionalmente poco manageriale che le pmi, in particolare, hanno rispetto allo sviluppo del business.

Ilaria Rudisi, esperta di finanziamenti europei e di diritto amministrativo europeo, docente per la PA e divulgatrice, ne è convinta. «In Italia non si ha ancora l’idea di dedicare delle risorse nelle organizzazioni alla mappatura dei grants indicati secondo le attività svolte – dice – i soggetti che usano maggiormente queste misure sono nel terzo settore o nella ricerca, nonostante le opportunità per le aziende siano pressoché infinite». Assieme a Ida Ciaralli (giornalista esperta di comunicazione di progetti europei, docente e membro della Commissione Finanziamenti Europei dell’Ordine dei Commercialisti di Milano), Rudisi ha fondato NamiEvolution, società di consulenza che si occupa proprio di bandi Europei e nazionali. Il loro è un osservatorio privilegiato, insomma.
Ilaria, a quanto ammonta la percentuale di risorse europee che riescono a intercettare le nostre imprese?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo ricorrere alle statistiche reperibili sul portale “funding and tenders” della Commissione Europea. Il primo elemento che emerge è una separazione tra Nord e Sud Europa. Ai primi posti della presentazione di Horizon troviamo, ad esempio, la Spagna con 1.164 progetti. Considerando LIFE, tra i primi posti abbiamo sempre la Spagna con 429 domande. Il dato cala se guardiamo all’Olanda, appena 147. Tutte le statistiche sono indicate sia nella pagina dedicata a ogni call of applications, sia nella sezione “Project and Result” del portale.
Ma l’Italia perché fa così fatica in termini di capacità di spesa?
Se facciamo riferimento al programma Horizon, generalmente partecipato dalle Pmi, il success rate della partecipazione italiana è diminuito drasticamente dal 2021 al 2022, dal 20% al 12%: il 25% della partecipazione italiana nel Cluster 4 è rappresentata da Pmi, dato inferiore a quello europeo (29%). Nel 2021-2022, su 4016 domande presentate, sono entrate in main list 656 domande. L’azienda che arriva a presentare un bando europeo ha conoscenza di questa misura, ma quello che ci dicono le statistiche è che la qualità progettuale non è elevata per poter competere con gli altri Stati.
Facciamo alcuni esempi?
Con riferimento ai bandi FESR (Fondo Europeo Sviluppo Regionale), il documento di riferimento è il Rapporto annuale di Valutazione. Se prendiamo il Rapporto 2022 di Regione Lombardia e come riferimento l’asse III, dedicato alla misura per la competitività delle Pmi, i dati ci dicono che la disponibilità economica non corrisponde mai agli importi effettivamente erogati a copertura dei progetti candidati. Infatti, con riferimento al rapporto 2022, a fronte di una disponibilità di 253.987.354 euro, l’ente gestore ha finanziato progetti per 176.477.366.
Nel Report, per ogni misura del FESR è possibile leggere i dati relativi a: domande presentate, domande ammesse, macroarea del progetto, risorse stanziate per provincia regionale. Ad esempio, se consideriamo il 2021 come riferimento, nella Regione Lombardia, su una misura strategica come “QV3.1. I – Efficacia delle strategie poste in essere per sostenere l’internazionalizzazione in entrata ed in uscita”, anche ponendo a valore le partnership maturate, sono stati presentati solo 32 progetti, di cui 26 ammessi. Sicuramente numeri così bassi permettono di presentare richieste di finanziamento importanti.
Se passiamo invece ai bandi ministeriali, la relazione sugli interventi di sostegno alle attività economiche e produttive, ma non prevede un’analisi per singolo bando ma dati aggregati. Quello che notiamo, è che a volte il numero di domande è molto basso per la dotazione del bando, mentre a volte alcuni bandi, soprattutto quelli gestiti da Invitalia sono molto inflazionati. Molte aziende si astengono dal fare domanda perché non vedono la partecipazione al bando come un’integrazione della propria strategia aziendale, ma come un costo.
Il che conferma che, tra le imprese italiane, c’è poca consapevolezza rispetto alle opportunità europee e quindi c’è un approccio superficiale?
Le realtà che si fanno affiancare da un consulente esperto sono generalmente realtà strutturate, che investono nella formazione o ne hanno conoscenza perché nel loro ecosistema si fa uso di queste misure. Purtroppo, non è ancora una regola, diciamo che dovrebbe diventarlo. Ma per far questo bisogna scardinare l’idea che si possa fare tutto in casa, perché ricevere un finanziamento è facile. Spesso partendo da questo presupposto, chi ci prova ha un’esperienza fallimentare e poi desiste pensando che sia difficile.
E invece in realtà non è così?
La verità è che la messa a punto di un progetto finanziabile implica delle tecniche di scrittura che si basano su due metodologie: la PCM ereditata dalla cooperazione internazionale e la Pm2 Alliance, il metodo ufficiale della Commissione Europea. Mentre per i bandi del FESR o ministeriali la base di lavoro non può prescindere da un ottimo business plan.
Ma come si fa a conoscere tutte le informazioni necessarie per accedere ai finanziamenti Ue?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto distinguere tra i finanziamenti europei diretti e quelli indiretti. I finanziamenti indiretti, ovvero quelli gestiti, ad esempio nell’ambito del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale, e quindi a livello regionale, sono ben conosciuti dalle aziende spesso con il nome di finanza agevolata. Anche i bandi del Ministero delle Imprese e del Made in Italy sono conosciuti, anche grazie alle informazioni che diffondono i commercialisti.
Purtroppo, conoscere bene e parlare bene solo di queste misure, che nell’immaginario comunicativo, sono facili e accessibili, va a discapito dei finanziamenti diretti su cui è davvero possibile basare una strategia aziendale e per le organizzazioni. Infatti, dei finanziamenti diretti abbiamo una previsione biennale, quelli indiretti sono spesso a sorpresa.
Si spieghi meglio.
Sui bandi gestiti direttamente da Bruxelles, i vari programmi di finanziamento sono gestiti dalle Direzioni Generali della Commissione Europea competenti per materie, i siti web sono molto informativi e divulgativi e le informazioni generali sui siti web delle DG li ritroviamo sul portale dedicato ai bandi, Funding and Tenders. Quello che manca è una formazione nelle aziende per sapere dove cercare quelle informazioni e come interpretarle. Purtroppo, spesso si sceglie Google come canale informativo, ma la strada migliore è quella di informarsi sui siti ufficiali della Commissione Europea, sul portale dedicato ai grant europei e di rivolgersi a un consulente qualificato.
L’individuazione del bando giusto richiede diverse analisi, sulla natura giuridica, sugli assets aziendali, una pianificazione strategica e queste cose si legano a una conoscenza approfondita dei programmi di finanziamento. Quello che ci piacerebbe vedere nella nostra attività di osservatori qualificati è un’attenzione maggiore a questi temi da parte di riviste di settore specializzate e lette dalle imprese così da stimolare la ricerca di informazioni e l’incontro anche con consulenti che possano guidare le imprese.
Ciaralli: c’è anche un gap linguistico
Ida Ciaralli ci risponde invece su com’è cambiata l’Europa negli ultimi 10-15 anni e se oggi è più facile ottenere dei finanziamenti? «No, non è facile», dice, «Oramai le fonti di finanziamento sono molteplici ed esiste anche la logica della sinergia tra fondi. Quindi un progetto, candidato per un finanziamento europeo, vince e poi in uno step successivo, può sviluppare un nuovo progetto che potrebbe accedere ad un altro contributo. La molteplicità di fondi amplifica non solo il livello di competizione, ma anche la complessità di accesso: a ciò si aggiunga anche il fatto del gap linguistico, per molti soggetti beneficiari di finanziamenti è così, oltre alla necessaria creazione di una partnership internazionale ed alla complessità della modulistica/format che i bandi europei implicano per la partecipazione.
Il Covid in questo senso non ha ampliato le opportunità?
Sì, lo spartiacque dell’Europa, anche riguardo ai finanziamenti e a loro accesso, lo si può individuare nel post pandemia da Covid19. Nel 2021, infatti è stato avviato il NextGenerationEU, cioè il piano di ripresa dell’UE che ha erogato fondi alle economie degli Stati membri dell’UE, favorendone la ripresa. NextGenerationEU dovrà consentirà agli Stati membri di investire nel futuro e nella resilienza, con particolare attenzione ad una più rapida attuazione delle transizioni verde e digitale. Il piano offre una possibilità unica di riemergere più forti dalla pandemia, di trasformare le economie dell’UE e di creare anche nuove opportunità di lavoro.
Cosa bisogna tenere soprattutto in considerazione nell’accesso ai fondi Ue?
Che l’Europa non è un bancomat. La chiave per poter ottenere i finanziamenti europei sta nella comprensione delle strategie, degli obiettivi che l’Europa si è data attraverso le sue politiche che sostengono lo sviluppo economico. È importante anche ricordare che uno dei requisiti fondamentali richiesti dai bandi europei è la transnazionalità, come si diceva in precedenza; quindi, la costituzione di un partenariato internazionale e i candidati devono garantire un livello adeguato di capacità tecnica e finanziaria.
Internet è ormai una fonte importante di informazioni, ma proprio per questo il rischio è di perdersi: è quindi necessario ottimizzare tempo e risorse, in particolare quando l’’obiettivo è trovare il bando europeo adatto al proprio progetto. Cercare tra i bandi europei che rispondono alle esigenze della propria idea progettuale è un’attività che richiede un dispendio di tempo e di capacità di analisi rilevanti. La ricerca può rallentare questo processo, bisogna quindi affidarsi a fonti certe e certificate e fonti istituzionali ufficiali.