Federmanager

L’Italia ha bisogno di competenza e per acquisirla è necessario migliorare il sistema dell’istruzione. A dirlo è il presidente di Federmanager Stefano Cuzzilla all’assemblea annuale dell’associazione, svoltasi oggi. Nel corso del proprio intervento ha posto l’accento sul sistema della formazione, in parte responsabile delle carenze del mercato del lavoro, citando (numeri alla mano) i punti da correggere e dove intervenire.

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Nuova operatività ristori Emilia-Romagna

A partire dal 21 novembre ampliata l’operatività dei Ristori da €300 milioni riservati alle imprese colpite dall’alluvione in Emilia-Romagna. La nuova misura, destinata a indennizzare le perdite di reddito per sospensione dell’attività per un importo massimo concedibile di 5 milioni di euro, è rivolta a tutte le tipologie di impresa con un fatturato estero minimo pari al 3%.


«La strisciante demonizzazione di chi è più competente in un settore o in un mestiere è sempre più diffusa ed amplificata da un discorso pubblico che, mentre afferma il primato del merito, lo tradisce nelle camere d’eco in cui piace rinchiudersi. Se ogni opinione inizia ad avere lo stesso peso a prescindere dalla competenza acquisita di chi la esprime, vuol dire che nessuna opinione ha più alcun peso» ha sottolineato.

Federmanager: investire in istruzione per migliorare la competenza

Il punto sul quale si è soffermato a lungo Cuzzilla è stato proprio quello degli investimenti nel settore della scuola. «Insomma, la competenza per fare bene al sistema -ha continuato Cuzzilla- ha bisogno di essere riconosciuta a gran voce. E a gran voce significa: primo, invertire il trend di investimenti pubblici aumentando quel 4,1% del Pil che destiniamo al sistema dell’istruzione e che è sotto la media europea. Responsabile, tra le altre cose, del fatto che poco più di un adulto su tre raggiunge la licenza media e che è responsabile di tassi di abbandono scolastico che nel Mezzogiorno superano il 15%. Dobbiamo con coraggio rinnovare il modello di istruzione, che è troppo ancorato al passato, e incentivare la formazione continua. Guardando agli adulti tra i 25 e i 64 anni, non arriviamo al 10% di chi svolge una qualsiasi attività formativa”, ha sottolineato. L’altro punto affrontato è quello della fuga dei cervelli, cioè dei molti italiani di talento che preferiscono trasferirsi all’estero, invece, di rimanere in Italia a lavorare. “Secondo rimedio, valorizzare – ha spiegato Cuzzilla – i talenti e trattenerli. Questo implica dotarsi di programmi di scale-up delle competenze, affinché le doti individuali possano trovare ecosistemi dove svilupparsi e crescere qui in Italia, aperti alle intelligenze di altri Paesi che dovremmo voler attrarre e poi trattenere qui, anche con sistemi di incentivazione al rientro dall’estero. Al primo gennaio di quest’anno 6 milioni di italiani hanno lasciato il nostro Paese, con una crescita del 2,2% sul 2022. In media, ogni cento giovani, 10 decidono di andarsene. Quindi, terzo elemento, riconvertire la narrazione sulle retribuzioni”, ha rimarcato.

Le imprese non trovano chi assumere

Persiste di conseguenza un problema di incontro tra l’offerta e la domanda di lavoro. «Le imprese determinate ad assumere non trovano sul mercato le competenze che cercano, nonostante gli oltre 500mila posti di lavoro in più registrati quest’anno. Si badi bene, il mismatch avviene a ogni livello. Un posto su due è vacante e in prevalenza riguarda figure tecnico-ingegneristiche e operai specializzati” ha continuato Stefano Cuzzilla, presidente di Federmanager, nella sua relazione all’assemblea annuale della Federazione dei manager a Roma. un’impresa su due fa fatica a trovare profili manageriali e, in tema di competenze, oltre il 75% dichiara di avere difficoltà a individuare le caratteristiche manageriali che valuta necessarie a gestire un processo, un’area o un cambiamento, come ha rilevato il nostro Osservatorio 4.Manager. Questo disallineamento è eloquente in questi anni di crisi cicliche: nell’industria in particolare la richiesta di manager è cresciuta come reazione alla pandemia, quando si è rivelato essenziale avere una leadership in grado di trasformare il business e l’organizzazione aziendale, garantire continuità e diversificare mercati o prodotti», spiega Cuzzilla.

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Persistono le difficoltà nel fare carriera

L’altro aspetto affrontato da Cuzzilla è quello della valorizzazione dei giovani manager.  «Eppure, dagli anni ’80 agli anni Duemila, la probabilità -continua- che i lavoratori più giovani ricoprano posizioni manageriali è diminuita di due terzi, mentre è aumentata dell’87% tra i lavoratori più anziani». E Cuzzilla ha parlato delle possibili soluzioni a questa criticità. «Proviamo, anche in questo caso, a proporre dei rimedi. Innanzitutto, dobbiamo riconoscere che il dilemma dello skill mismatch non lo abbiamo scoperto oggi e continuerà a tormentarci in futuro. Sarebbe miope additare il sistema dell’istruzione come unico ambito di disfunzione. C’entra molto il sistema di politiche attive del lavoro che non è mai decollato e che dovrebbe basarsi sul combinato di formazione mirata del lavoratore e di strumenti efficaci per l’incrocio tra domanda e offerta E c’entra molto il tipo di lavoro che offriamo, perché se l’occupazione cresce in termini numerici dovremmo aspettarci una crescita corrispondente anche del nostro Pil, e così non avviene. Sarebbe saggio, poi, fare un po’ di autocritica e sostenere che bonus e voucher per le assunzioni non sono la panacea. Invece bisogna orientare al lavoro verso l’alto e verso il futuro, chiedersi se davvero abbiamo chiari i fabbisogni di competenza che riteniamo traditi e finanziare dei piani formativi corrispondenti».