“Noi non possiamo determinare il futuro, ma possiamo determinare, e di fatto costruire con ogni istante, il passato. Il nostro passato indelebile, che non si può cambiare, di cui siamo pienamente responsabili perché fondato sull’insieme di norme atte alla applicazione della nostra moralità: l’etica. Possiamo e dobbiamo però parlare di “passato prossimo”. E sebbene il nostro prossimo passato costituirà la nostra Storia, non ne sarà il risultato. Nessuno, in quanto storico, ha mai controllato né forse potuto comprendere appieno il presente”. Con queste parole inizia il nostro incontro con Fabrizio Ferri, autore di fama internazionale ed uno dei fotografi più famosi al mondo.
Ferri, già musicista, inizia la sua carriera di fotografo esattamente nel 1970, appena diciassettenne, con scatti dedicati al costume politico. Rivolge presto il suo obiettivo al mondo della moda, trasferendosi temporaneamente a Londra, poi a New York.
Il suo nome diviene in pochi anni tra i più ricercati e firma servizi per le riviste fashion più importanti al mondo: Vogue, Harper’s Bazaar, Marie Claire, Elle, Vanity Fair, GQ, Esquire.
Amato per il suo stile essenziale eppure sofisticato, Fabrizio Ferri ritrae molti tra i volti “icona” degli ultimi decenni (Isabella Rossellini, Sophia Loren, Luciano Pavarotti, Roland Petit, Monica Bellucci, Naomi Campbell, Julia Roberts, Charlize Theron, Beyoncé, Susan Sarandon, Jessica Lange, Willem Dafoe, Sting, Madonna) e firma campagne per marchi e maisons universalmente noti – da Bulgari a Fiuggi, da Dolce & Gabbana a Ferragamo, da McDonald’s a L’Oreal – creando immagini divenute poi simbolo, sempre nette e inconfondibili.
Come giovane imprenditore fonda Industria Superstudio prima a Milano nel 1983, poi a New York dal 1991. Entrambe le strutture rappresentano il primo complesso al mondo di studi fotografici polifunzionali, con sale di posa e strutture di servizio digitali e discografiche. Industria è stato anche il brand della collezione di moda da lui firmata, distribuita in tutto il mondo fino al 1998, e il nome di una compagnia aerea, Air Industria, attiva in Italia nel 2001. Nel 1997, sempre a Milano, Ferri instituisce l’“Università dell’Immagine,” fondata sull’indagine del rapporto tra sinestetica e percorso creativo.
Nel 2001 Fabrizio Ferri ha creato e disegnato, tra gli altri, il marchio “Eataly”, venduto nel 2002 a Oscar Farinetti. Come compositore, tra gli spartiti di Ferri ricordiamo: Anima, opera contemporanea in forma di concerto, presentata per la prima volta al San Carlo di Napoli nel 2010 con scenografia fotografica da lui ideata; parte delle musiche e il soggetto di The Piano Upstairs, spettacolo di prosa e danza in prima visione al Festival dei Due Mondi sempre nel 2013; i brani di Passage, cortometraggio proiettato fuori concorso a Venezia nel 2013, ed interpretato dal vivo da Roberto Bolle e Polina Semionova durante il Gala Bolle and Friends nel 2014. Come scrittore, al 1992 risale il suo romanzo breve Discrete avventure di Vito Zuccheretti, uomo comune. Nato a Roma e per molti anni di base a Milano, Fabrizio Ferri vive e lavora a New York.
Ferri quale è la sua fotografia del presente
La storia serve per conoscere il passato, non per comprendere il presente. Il percorso fatto di collegamenti storici espone al rischio di giungere a risultati apparentemente ineluttabili divaricati però dal presente reale. 1+3+4+6 fa 14. Bene. Ma il modello matematico non funziona per analizzare una somma o concatenazione meccanica di eventi storici già comunque (al contrario degli addendi) soggetti a riletture, interpretazioni e opinioni. Si rischia un’adesione circostanziale che poco ha a che vedere con la comprensione del presente. Il modello per la comprensione della situazione attuale deve lasciare spazio all’intuito, alla conoscenza degli esiti, al “cui prodest”, a ragionamenti svincolati dalla storia come lo sono gli atti dei pirati che della storia se ne fregano. Altrimenti la battaglia tra chi è legato alla storia e chi dalla storia è libero, sarebbe necessariamente, dai primi, persa. Un po’ come parlare di etica a un immorale: è inutile. Molti desidererebbero che fosse la Storia a determinare il futuro, così sarebbe più facile capirlo, influenzarlo, forse anche gestirlo… ma non è così. Innanzitutto perché è sbagliato parlare di futuro: esso non esiste al di là di figurazioni retoriche.
Perché la società moderna è cosi interessata ad interpretare il futuro
A noi non interessa il “futuro” perché è insondabile e di fatto l’ammetterlo ce ne distanzia fornendo un alibi alle nostre responsabilità. Quello che conta è la nostra visione del mondo che si avvera unicamente con azioni successive programmate che prima di essere realizzate sono passato prossimo, ma che appena avuto luogo si aggiungono al nostro passato creandone ancora. Oggi manca la Visione. Quindi manca il lavoro intellettuale in grado di programmare le azioni successive atte a realizzarla. Manca quindi il lavoro vero che porta a gestire il passato prossimo affinché diventi passato, realizzando la visione. E manca la guida, il visionario, il leader che immagini e conduca da una convergenza ad una direzione anticipando il passato, aprendoci alla Visione.
Noi “siamo” prima della nostra storia, sebbene la cosciente consapevolezza del nostro passato ad oggi, sia il presente. Conoscere la nostra storia ci aiuta a formare la nostra identità ma ci lega ad essa costringendoci a interpretazioni, azioni con essa “coerenti”. Ci priva della libertà necessaria per far fronte alle azioni di un nemico libero (da scrupoli, storia, morale, princìpi..) che non sappiamo affrontare perché non lo possiamo capire. Identità, princìpi, storia, appartenenza, cultura, per lungo tempo apparsi come nostra forza costituente, oggi possono rappresentare la nostra debolezza, la struttura della nostra gabbia: invece di ricercare un equilibrio utopico tra Storia e futuro dobbiamo enuclearne uno nuovo, libero, basato sulla “visione strategica del passato prossimo”.
La sua personale fotografia di New York in tempi di Coronavirus
L’Empire State Building svettare “bagnato” dai colori verde, bianco e rosso! L’Italia condivide la sua imponenza e centralità culturale fatta di bellezza, arte, design …con il mondo intero. L’Italia è di tutti! E New York che viviamo, conosciamo e amiamo, è intimamente un po’ nostra. Nella mia fotografia immaginaria di New York ai tempi del Virus, i due simboli si sovrappongono in un’unità di forza e certezza di speranza.
Un messaggio ai suoi giovani colleghi italiani
Fotografate unicamente la vostra unica, personale, individuale, percezione di ciò che vi emoziona per condividerla con gli altri usando la vostra fotografia.