Per sopravvivere sui mercati esteri alla crisi energetica le aziende devono essere veloci a capire la situazione e ad agire di conseguenza. Roberto Corciulo, partner e presidente di IC&Partners, società di consulenza per l’internazionalizzazione che accompagna le imprese italiane sui mercati esteri, in questa intervista avverte: o hanno la marginalità necessaria per investire, come succede per esempio in campo farmaceutico. Oppure devono aggregarsi, o almeno fare rete, prima che sia troppo tardi.
Corciulo, i dati dell’export sembrano ancora positivi nonostante tutto. Lo sono davvero?
Le analisi di Export Planning, che sono molto accurate, mostrano che in alcuni settori anche fondamentali come quello delle macchine strumentali, se si depurano i dati dall’effetto inflattivo e dei cambi il segno è solo nominalmente positivo, ma di fatto già negativo. Più in generale, il commercio globale sta rallentando. In Italia l’esplosione dei costi energetici comincia poco alla volta a farsi sentire, per quanto siamo nel track di Paesi come Francia e Belgio che lavorano e riescono a stare sul mercato. Invece, per esempio, in America Latina gli spagnoli oggi sono più forti perché il loro costo dell’energia è molto più basso. Secondo me questo effetto crescerà; è quel che paventavo già da qualche tempo, questa situazione butta fuori dal mercato molte aziende italiane specie nei segmenti dove siamo forti. Quindi stiamo andando molto velocemente verso una recessione. È qualcosa di cui ora si sta discutendo molto, dopo che tutto è stato rimandato a dopo le ferie in modo che la gente andasse in vacanza tranquilla, ma i problemi erano abbastanza evidenti. Inoltre non c’è una visibilità sui tempi e i modi di questa partita. Credo che passeremo un inverno difficile e non sarà l’unico, perché non abbiamo una soluzione pratica al cambio del gas russo nel nostro sistema.
Non è solo la Spagna ad avere un vantaggio competitivo: l’Europa procede disunita?
In Spagna il prezzo dell’energia di base è meno della metà di quello italiano, perché fondamentalmente è fuori dal grosso dei giri europei dal punto di vista energetico, ha le sue fonti. Poi ci sono Paesi come l’Olanda dove ci sono la borsa del gas e anche il più grande giacimento di gas in Europa che però è chiuso, che sono in una situazione privilegiata. È il motivo per cui i Paesi europei si stanno muovendo in ordine sparso sul price cap, l’idea che ha lanciato Draghi su cui sta convergendo la Germania, che dal punto di vista dell’approvvigionamento ha una situazione simile alla nostra o forse più pesante – per quanto abbiamo due debiti pubblici molto differenti, e questo peserà. C’è poi il grande tema dei prezzi delle rinnovabili che sono allineati ai prezzi di mercato normali; ma noi abbiamo contributo all’incentivo delle rinnovabili, quindi dovrebbero avere un prezzo fisso. Ai primi accenni di freddo in Europa si arriverà in maniera cruda al dunque della politica energetica.
Il dollaro forte non ci aiuta?
Assolutamente no, anche se ci agevola sull’export extra Ue. Dobbiamo sempre ricordarci che tutte le materie prime sono denominate in dollari, il che ci penalizza sull’acquisto delle materie prime: petrolio e gas in primis. Quindi questa parificazione con il dollaro, oltre a delineare una debolezza complessiva del sistema Europa, ci penalizza sul lato acquisti: siamo un paese trasformatore e quindi paghiamo ancora di più. Non è il turismo americano che va a coprire questo gap, per loro oggi è conveniente viaggiare in Europa, ma questo non compensa gli svantaggi. Il costo dell’energia e del reperimento delle materie prime superano il valore di guadagno sulla svalutazione competitiva; nominalmente il cambio aiuta nell’export verso gli Stati Uniti, ma questo non basta.
Il nostro export verso la Germania regge davvero?
Sicuramente la Germania in questo momento ancora acquista dall’Italia, ma anche loro cominciano a stringere i cordoni della borsa. La Germania ha investito molto sulla Cina e sulla Russia, ed è il motore dell’Europa anche per l’export. Sono i primi esportatori globali procapite e il secondo dopo la Cina in valore assoluto. Ora stanno soffrendo, anche per loro il problema del costo dell’energia è molto serio, hanno una dinamica simile alla nostra. Il rapporto con la Russia è quindi cruciale, non per niente il vicepresidente della Bundesbank ha rimesso in discussione l’utilizzo del Nordstream 2 bloccato dalle sanzioni. Ne vedremo ancora delle belle in autunno, siamo in una situazione molto divisiva. Alcuni Paesi ci stanno guadagnando alla grande, come la Norvegia che è fornitore, l’Olanda, e anche chi fa trading sul gas alla borsa olandese. Sono i Paesi che dicono no al cap sui prezzi.
Come se ne esce, ammesso che se ne esca?
Non è qualcosa che si può risolvere come Paese, lo si può fare soltanto a livello europeo. Altrimenti il singolo Paese può fare poco. Pesa inoltre il debito pubblico, l’altra grande variabile che sta emergendo, perché la mancata competitività dei Paesi incide sulla capacità di rimborso e sulle aspettative. Gli speculatori hanno acquistato opzioni scommettendo sull’aumento dello spread italiano per oltre 35 miliardi di dollari! Questo ci metterà in difficoltà, è un fattore molto serio. Lo scudo paventato dalla Bce è di emergenza, visto che il quantitative easing è stato tolto o comunque rallentato è un prodotto straordinario. Ma il rischio di una mega speculazione ce l’abbiamo comunque tutto.
Lei da tempo sostiene la necessità per le piccole imprese italiane di aggregarsi o fare rete per affermarsi all’estero. Sta accadendo?
Ancora non vedo segnali forti, ma il percorso in questo senso continua a essere preminente. Certo le crisi come questa spingono in maniera automatica verso questo tipo di aggregazioni, in modo più o meno volontario… Le aziende devono far fronte a margini e costi, non possono permettersi di giocare seriamente la partita se non hanno una capacità industriale forte. Dipende anche dai settori, in alcuni le aziende non possono muoversi come vogliono sul mercato, sono costrette a ristrutturarsi, a mettersi insieme per trovare leve competitive diverse. È il caso di tutti quelli con un alto consumo di energia: giocoforza saranno spinti in questa direzione. Ma non saranno i soli. Non è facile dover competere quando oltre ad avere il caro energia fai fatica anche con il reperimento delle materie prime.
Cosa serve? Le Pmi devono fare rete?
Le aziende devono essere molto veloci a capire il momento, senza aspettare. Il rischio vero che vedo io è che in un mondo sotto la pressione di cambiamenti mai visti negli ultimi 30 anni, al netto del Covid le aziende non siano pronte. Che prevalga la logica dell’attendismo, del fermarsi per vedere di capire cosa succede: ma nel frattempo il mondo va avanti sulla digitalizzazione, sulla semplificazione. Il percorso verso le aggregazioni e le reti di imprese continua a essere preminente, ma ancora non vedo segnali forti in questa direzione. Certo le crisi come questa spingono in maniera automatica verso questo tipo di aggregazioni, in modo più o meno volontario… Le nostre aziende, poi, sono capaci, ma manca il sostegno dell’infrastruttura dello Stato, il problema nella competizione è anche questo.
Esistono ancora nicchie felici? Forse il lusso?
Quello del lusso è un settore che ha una dinamica diversa da molti altri, punta su una fascia di consumatori globali con una capacità di spesa importante, quindi il problema della crisi è sentito di meno. Grandi mercati come Stati Uniti e Asia sono importanti da questo punto di vista. Ma non dimentichiamo che il lusso ha un valore nominale tutto sommato basso, il 60% del nostro export lo fanno le macchine utensili, il mondo dell’automazione e dei beni intermedi. Ci sono dei segmenti che sono efficienti e riescono a essere forti sui mercati, hanno una capacità di presenza importante, e anche i margini per potersi permettere di investire. Se non c’è la marginalità non si riesce a sopperire agli aumenti del costo dell’energia e ai cali del mercato. Quelli dei beni intermedi come il farmaceutico e la chimica sono mondi forti che hanno questa capacità. Il farmaceutico, in particolare, sta crescendo molto.