La great resignation è stato un fenomeno di cui tutti abbiamo discusso negli ultimi due anni, classificandolo come l’ennesimo effetto della pandemia sullo stile di vita delle persone. Di conseguenza, mai come in questo momento aziende e imprenditori hanno avvertito il rischio derivante dalla possibilità di perdere le proprie risorse. Il risultato è stato quello di introdurre più o meno efficaci strategie di retention dei propri dipendenti. Ma quando queste strategie non funzionano e il dipendente decide di lasciare l’impresa, magari per una diretta concorrente? Quali scenari si aprono a quel punto per imprenditori e manager?
Uno dei rischi più concreti di questo scenario è quello di diffusione di documenti e informazioni riservate riguardanti l’impresa, che il dipendente può conservare a beneficio dell’azienda concorrente in cui andrà a lavorare, guidato – secondo Andrea Cavalloni, partner di 42 Law Firm, da «un comportamento sleale o semplicemente da mera sprovvedutezza».
Saper riconoscere la natura del comportamento del dipendente, tuttavia, è questione non banale e alla quale l’imprenditore deve prestare attenzione se ha l’intenzione di proteggere il know-how sul quale ha investito tempo e risorse.
La questione è talmente spinosa e bisognosa di chiarezza, che lo studio 42 Law Firm – specializzato in diritto delle nuove tecnologie – ha elaborato negli ultimi mesi un lavoro di approfondimento concretizzatosi in un white paper che ha l’obiettivo di essere una guida per imprenditori e manager che si trovano a fronteggiare il rischio di concorrenza sleale. In questa intervista a Economy, l’avv. Cavalloni spiega i rischi e le necessità delle aziende che hanno portato lo studio a sviluppare il lavoro in questione.
Avvocato Cavalloni, dal vostro punto di vista le imprese sono preparate a fronteggiare questo rischio?
Molti imprenditori, soprattutto nel mondo delle Pmi, avvertono questo rischio ma, allo stesso tempo, sono convinti di trovarsi disarmati davanti alla diffusione di informazioni aziendali riservate da parte di dipendenti in uscita dall’azienda.
C’è dunque poca consapevolezza su quali sono gli strumenti a disposizione degli imprenditori…
Esattamente, tuttavia, esistono sia strumenti tecnologici che tutele legali che possono aiutare l’imprenditore a “difendersi” da queste pratiche scorrette.
E quali esattamente?
Certamente il miglior modo di proteggersi è adottare degli accorgimenti tecnologici e legali volti alla prevenzione delle condotte finalizzate alla sottrazione di documentazione o informazioni riservate. Adottare delle policy aziendali sull’utilizzo degli strumenti tecnologici è certamente un primo passo per porre regole e limiti chiari ai dipendenti. Un secondo passo importante è limitare in azienda l’utilizzo di dispositivi di duplicazione massiva, come hard disk esterni o chiavette Usb. Tuttavia, a seconda dell’organizzazione aziendale, certe misure possono non essere applicabili senza penalizzare fortemente la produttività; pertanto, è sempre consigliabile rivolgersi a dei professionisti per analizzare il proprio caso e trovare gli accorgimenti migliori.
Lei parla di tutele legali, ma quali sono esattamente le procedure che si possono seguire per proteggersi dal rischio e per comprendere le intenzioni del dipendente dimissionario?
Le procedure possono essere di natura giudiziale o stragiudiziale e sono quasi sempre volte al recupero delle informazioni riservate sottratte. In questo caso è necessario comprendere mediante accertamenti tecnici l’entità delle sottrazioni e definire la tipologia della sottrazione documentale. A seconda dei casi, il ventaglio di opportunità legali è ampio ed è fondamentale scegliere quali strumenti legali utilizzare sulla base di una linea strategica, sorta dopo una attenta analisi di tutti gli elementi in possesso dell’imprenditore.
Potrebbe spiegare meglio in cosa si concretizzano le azioni stragiudiziali e giudiziali?
In taluni casi potrebbero essere efficaci tentativi stragiudiziali, ossia una lettera di diffida nella quale si dettagliano le modalità delle sottrazioni di documenti e informazioni riservate, attraverso un’analisi dei PC aziendali svolta da un perito, che l’azienda è assolutamente legittimata ad eseguire. In altri casi l’unica strada possibile è l’utilizzo di strumenti giudiziali. Le opzioni giudiziali possono essere sia di carattere civilistico che di carattere penalistico ed a volte vengono utilizzate congiuntamente, mentre in altre si procede su un fronte solo. Una delle azioni giudiziarie di carattere civilistico più utile ed efficace in questo ambito è la descrizione, ossia un procedimento cautelare volto ad ottenere una autorizzazione del tribunale competente per presentarsi dalla società concorrente con un ufficiale giudiziario, il perito del tribunale e il perito della azienda danneggiata al fine di fare copia di documentazione cartacea e digitale della controparte. Tale azione va gestita con la massima attenzione perché è finalizzata a recuperare le prove necessarie per impostare poi la causa ordinaria di concorrenza sleale. Qualora, invece, si ritenga necessario procedere ad azioni penali, gli art. 621, 622 e 623 del codice penale sanzionano rispettivamente la rivelazione o l’impiego di documenti segreti, di segreti professionali ovvero di segreti scientifici o industriali, azionabili mediante querela.
Lei parla di analisi dei PC aziendali svolte da un perito. Quali sono i confini all’interno dei quali è possibile eseguirla senza incorrere in contenziosi?
Il principale confine nell’analisi dei device aziendali è quello imposto dall’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori, che pone un principio di fondamentale importanza. Il divieto di controllo a distanza del lavoratore e il divieto di indagine sul lavoratore per questioni non rilevanti ai fini della valutazione professionale. In linea generale le analisi accurate dei device vengono ammesse quando già sono emersi elementi che facciano ritenere un rischio aziendale da tutelare.
A questo punto è possibile fare un esempio pratico ed esplicativo della casistica nella quale l’impresa incorre nel rischio di concorrenza sleale?
È molto comune (più di quello che si creda) che un dipendente in uscita dall’azienda si appropri indebitamente di documentazione aziendale, ma non sempre avviene con la finalità di danneggiare l’ex datore di lavoro con condotte volte alla concorrenza sleale, quanto piuttosto per mera sprovvedutezza. In tal caso ci troveremo innanzi a un caso di dipendente “sprovveduto”, che sottrae del know-how aziendale con il rischio di incorrere in problemi giudiziari anche severi per il solo fatto di aver sottovaluto un’azione penalmente rilevante. In quel caso l’azione stragiudiziale di cui parlavamo in precedenza può essere più che sufficiente. A volte invece l’ex dipendente fuoriesce con documentazione aziendale al solo fine di consegnare tale documentazione ad un concorrente, interessato ad avvantaggiarsene indebitamente. Spesso quel concorrente diventa il nuovo datore di lavoro dell’ex dipendente, altre volte al concorrente vengono offerti in cambio di un corrispettivo economico.
Quali sono, a quel punto, i passaggi da seguire?
Come già anticipato, un tentativo stragiudiziale mediante una lettera di diffida in cui si dettagliano tempi e modi delle sottrazioni documentali (scoperti mediante l’analisi peritali sui PC) potrebbe essere sufficiente a spaventare lo sprovveduto ex dipendente, consentendo un recupero bonario di quanto sottratto. Diversamente, nel caso in cui vi sia un fine volto alla concorrenza sleale è spesso sconsigliato procedere a livello stragiudiziale, perché si potrebbero allertare i soggetti coinvolti che avrebbero il tempo di far sparire la documentazione, rendendo poi vane le azioni giudiziarie successive. Infatti, in molti casi di sottrazione di documentazione riservate ai fini della concorrenza sleale, è preferibile azionare la procedura giudiziale della descrizione e a seguito delle risultanze procedere con una causa per concorrenza sleale ed eventualmente con le relative azioni penali per attivare anche l’Autorità Giudiziaria.