A guardare i numeri, non c’è da esultare: è vero, l’occupazione delle donne è 72%… ma purché siano senza figli. Perché se ne hanno uno sotto i sei anni, la percentuale crolla al 53%. Quanto alle donne in posizione manageriale, sono appena il 28%. E su 146 Stati, l’Italia è ferma al 63° posto in termini di disparità di genere per partecipazione economica, livello di istruzione, salute ed empowerment politico secondo il Gender Gap Report 2022 del World Economic Forum. Eppure, la diversity è possibile. E a spingerla sono le nuove generazioni, ma anche strumenti come la Certificazione per la parità di genere, che creano le condizioni per rendere il mercato del lavoro inclusivo e paritario. «Promuovere l’occupazione femminile, incentivando la creazione di rapporti di lavoro equilibrati e stabili, rappresenta un’urgenza per il nostro paese e il punto di partenza per un futuro più sostenibile e inclusivo», spiega Stefano Cuzzilla, Presidente 4.Manager e Federmanager, nonché autore, insieme con Andrea Catizone, avvocata attiva sui diritti della persona e delle discriminazioni, di “She Leads: la parità di genere nel futuro del lavoro”, edito dal Sole 24 Ore e curato dalla giornalista Silvia Pagliuca. Il volume, promosso da 4.Manager, Associazione bilaterale Confindustria-Federmanager, indaga le ragioni del gender gap denunciando le fragilità attuali ed evidenziando le possibili vie di miglioramento, per diffondere una cultura aziendale più equa e inclusiva.
«L’uguaglianza tra uomo e donna», sottolinea Stefano Cuzzilla, «è possibile ed è una delle sfide poste dal Pnrr, che per interventi mirati alla rottura del famigerato “soffitto di cristallo” ha destinato oltre 3 miliardi di euro. Un cambiamento di direzione obbligatorio, sostenuto anche da un’altra importante misura: la Certificazione della parità di genere, attraverso cui nel concreto le imprese si impegnano a eliminare le disparità di genere nel mondo del lavoro e nella vita sociale, guadagnando in termini di crescita, inclusione e innovazione. Oggi, mondo delle imprese e manager sono pronti e maturi per un cambiamento».
Il Gender Gap spiegato bene
«Gender gap significa vivere in un Paese in cui il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi in Europa, il 50,8%, in cui a 5 anni dalla laurea le donne guadagnano il 20% in meno rispetto ai colleghi uomini di pari livello, in cui essere madri è un ostacolo alla realizzazione della carriera», sottolinea Silvia Pagliuca, giornalista curatrice di She Leads. «E ovviamente c’è un impatto anche in termini di reddito: i salari lordi annuali delle mamme lavoratrici sono inferiori di 5.700 euro rispetto alle lavoratrici che non sono mamme. Questa è la child penalty, i cui effetti impattano esclusivamente sulle donne. Per questo, se vogliamo davvero che le donne possano sfondare il soffitto di cristallo, è urgente lavorare fin dal primo gradino di sviluppo professionale. Quando parliamo di futuro del lavoro la parità di genere non è più un’opzione».
Se poi si guarda alle Stem, le discipline scientifico-matematiche che trainano l’innovazione il quadro diventa ancora più sconfortante: in Italia, così come in Europa, la percentuale degli uomini che lavorano nel settore digitale è 3,1 volte superiore a quella delle donne e solo il 22% di chi si occupa di Intelligenza Artificiale è donna. Eppure la diversity fa bene: le imprese a conduzione femminile esclusiva/forte (89,4%) e quelle a conduzione paritaria (92,6%) presentano un punteggio più alto sul grado di digitalizzazione rispetto alle imprese a conduzione prioritaria, se non esclusiva, maschile (87,8%). Quanto all’empowerment, in Europa in media solo il 35% dei manager è donna. In Italia la percentuale è ancora più bassa: il 28%, secondo l’analisi dell’Osservatorio 4.Manager, ma la quota si riduce al 19% se consideriamo le posizioni regolate da un contratto da dirigente. L’indagine, condotta su un campione di oltre 17.000 imprese, indica poi che appena il 16,5% sono a conduzione femminile e operano prevalentemente nei settori manifatturiero, sanità e assistenza sociale. E, mentre il ruolo di presidente del Consiglio di amministrazione è rivestito solo per il 12,2% da donne, la percentuale che si abbassa all’11,9% tra gli amministratori delegati.
Sfondare il soffitto di cristallo
Se il mercato non si muove spontaneamente, intervengono le regole. Quelle europee impongono a tutte le grandi società quotate nell’Unione europea di riservare al genere femminile almeno il 40% dei posti di amministratore senza incarichi esecutivi e il 33% del totale dei posti di amministratore entro la fine di giugno 2026. Non c’è tempo da perdere. E il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza gioca un ruolo cruciale, fissando la parità di genere come una delle priorità strategiche e trasversali: gli interventi mirati alle donne sono l’1,6% del totale (3,1 miliardi di euro circa) e si concentrano nelle missioni Istruzione e ricerca e Inclusione e coesione. Non solo: le misure prevedono anche la creazione di nuovi asili nido e scuole dell’infanzia, la promozione delle competenze Stem e il potenziamento di politiche attive per ridurre il numero di chi non studia e non lavora (nel 2019, il 33% dei Neet erano donne). L’obiettivo è di generare un aumento dell’occupazione femminile del 4% entro il 2026.
E poi c’è una misura strategica che sosterrà il cambiamento: la Certificazione della parità di genere, con cui le imprese potranno misurare il proprio impegno in termini di capitale umano ottenendo benefici non solo in tema di reputazione e di talent attraction, ma anche fiscali: le imprese, infatti, potranno godere di un esonero dal versamento dei contributi previdenziali che sarà determinato in misura non superiore all’1% e nel limite massimo di 50.000 euro annui per ciascuna impresa. Entro giugno 2026, si stima che almeno 800 Pmi potranno essere certificate e circa 1000 aziende riceveranno le agevolazioni fiscali. «Con la Certificazione della parità di genere si è voluto, per la prima volta, costruire un insieme di azioni che, pensate per le imprese e le realtà produttive di beni e servizi, costruiscano in modo graduale una cultura inclusiva in grado di riconoscere le diversità e valorizzarle – sottolinea l’avvocata Andrea Catizone -. Si tratta di una vera rivoluzione culturale sulla sostenibilità sociale, la S dell’acronimo Esg, che si traduce in vantaggi misurabili senza che siano un costo, ma un investimento per ogni soggetto coinvolto».
«È una grande opportunità per le imprese e non solo in termini economici, ma anche a livello etico e reputazionale – conclude Stefano Cuzzilla -. Temi a cui deve prestare attenzione qualsiasi impresa che voglia davvero guardare al futuro. Siamo nell’epoca delle grandi dimissioni e tante donne si stanno dimettendo anche ad alti livelli. Siamo nell’epoca del talent shortage, mai come oggi le aziende fanno difficoltà a trovare talenti, ma le nuove generazioni sanno benissimo per quale tipo di realtà vogliono lavorare e sono quelle con una leadership integrata, che investa davvero nella D&I. Al tempo stesso, nuove donne conquistano palcoscenici importanti: l’Italia ha la sua prima Premier donna, Giorgia Meloni e la prima presidente donna alla Corte di cassazione, Margherita Cassano. Il fatto che alcune delle cariche più importanti del nostro Paese siano ora occupate da donne, è espressione di tutto ciò che dovremmo intendere per “empowerment”, ovvero potenziamento dei talenti e delle opportunità».