Le auto elettriche? Sì, forse nel 2050». Provate a chiedere a un italiano medio cosa ne pensa dei veicoli a emissioni zero. In almeno 7 casi su 10 vi sentirete rispondere così. Scettici, fermamente attaccati al culto della macchina tradizionale, quella a combustione interna – che resta ancora uno status symbol dell’italian style – poco o nulla vogliosi di fare i conti con ansia da autonomia, batterie che si esauriscono, colonnine di ricarica che non si trovano affatto facilmente, performance dei veicoli non ancora all’altezza e pile di tessere da utilizzare, gli italiani continuano a lasciare il nostro Paese inchiodato a numeri risibili per ciò che concerne il mercato globale delle auto elettriche. Nel 2016, mentre nel mondo ne venivano vendute 773.600 (+42% rispetto all’anno precedente) con una prevalenza di veicoli full electric, i cosiddetti BEV, l’Italia ha registrato l’immatricolazione di appena 2.563 macchine green, per un valore di 75 milioni di euro, ossia lo 0,1% dell’intero mercato dell’automotive e senza nessuna crescita sull’anno precedente. A tutt’oggi, nel Bel Paese ne circolano complessivamente 6mila, vale a dire lo 0,01% dei veicoli immatricolati, contro il 25% raggiunto dalla Norvegia e il 10% circa dell’Olanda. La quota di mercato italiana è dunque circa un decimo di quella degli altri grandi paesi europei: in Francia le elettriche rappresentano l’1,2% delle immatricolazioni totali, nel Regno Unito l’1%.
Incentivi poco convincenti
In un Paese che vanta quasi 38 milioni di auto circolanti, con una densità tra le più alte al mondo (614 vetture ogni 1000 abitanti; 1,5 per nucleo familiare), il fatto di essere il fanalino di coda d’Europa per quanto riguarda l’acquisto di auto elettriche – in una fase storica nella quale, peraltro, questo mercato cresce 20 volte più velocemente di quello automobilistico nel suo complesso – potrebbe apparire un po’ un paradosso. Inutile tirare in ballo la recessione economica, che incide su tutto il paniere dei beni, ma evidentemente non sull’acquisto dell’auto, visto che nel 2016 le immatricolazioni si sono impennate del 15,82% rispetto all’anno prima, con quasi 2 milioni di esemplari venduti in più. E men che meno convince il teorema sulla presunta recalcitranza delle case automobilistiche a spingere l’acceleratore sulla vendita di elettriche a discapito di quelle tradizionali, dal momento che le zero emission sono, indiscutibilmente, il business del futuro che nessuno intende farsi sfuggire: non è un caso che oggi i modelli presenti sul mercato siano arrivati a 50 contro gli appena 4 disponibili nel 2011. E giusto un mese fa, a Milano, alla conferenza nazionale della mobilità elettrica, i player globali dell’automotive, da Nissan a Volkswagen, da Peugeout-Citroen a Renault, erano tutti in prima fila a presentare le loro strategie di ricerca, gli investimenti fatti sulle e-car, la gamma dei nuovi veicoli (nei prossimi 3 anni, con il costo della batteria che dovrebbe calare a 300 €/kW, verranno lanciati 20 nuovi modelli, e ci sono Honda, Opel, Porsche e Audi già pronte a entrare sul mercato).
In Norvegia l’incentivo all’acquisto per le elettriche va dai 20mila euro ai 13mila euro. In Italia il contributo non va oltre i 3 mila
No, le ragioni vanno cercate altrove. A fare il punto sul perché, in realtà, gli italiani fatichino ad abbandonare il motore a scoppio, ci ha provato l’Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano, stilando, sotto la guida del professor Vittorio Chiesa, direttore del gruppo, il primo rapporto italiano sulla mobilità elettrica. «Una delle ragioni che può spiegare il diverso andamento delle vendite delle auto elettriche è certamente la presenza di meccanismi di incentivazione – si legge nel Report – è stata condotta un’analisi comparativa tra 10 Paesi misurando sia gli incentivi diretti all’acquisto, cioè una riduzione del prezzo del veicolo, sia quelli diretti all’uso e alla circolazione che prevedono dei bonus per l’utente: esenzioni dal bollo, detrazioni su pedaggio e parcheggi, risparmi sui costi energetici». E il cruscotto degli indicatori ha detto che in Norvegia, paese con il maggior numero di immatricolazioni, gli incentivi all’acquisto sono estremamente generosi: 20mila euro per i BEV, 13 per i PHEV. Idem in Olanda, dove il contributo per i PHEV è pari a 9.500 euro. I controvalori più bassi, manco a dirlo, sono quelli italiani: 3 mila euro per una 100%elettrica, 2 mila per una ibrida plug-in. Basta e avanza per rendersi conto di come gli italiani, perlomeno dal punto di vista economico, non abbiano motivazioni a sufficienza per cambiare i loro orientamenti verso la mobilità. Anche perché il prezzo medio di un’elettrica, a tutt’oggi, secondo le stile del Politecnico di Milano, ammonta a circa 30 mila euro per un’elettrica e 35 per un’ibrida plug-in, fatto salvo il caso della “top di gamma”, la Model S Tesla che coi suoi 600 km di autonomia, ne costa oltre 100 mila.
Manca la ricarica. E non solo
Già l’autonomia, altro nodo cruciale. Se le case automobilistiche stanno concentrando i loro sforzi per incrementare la capacità di percorrenza dei veicoli elettrici (la Nissan Leaf, l’auto green più venduta al mondo, con una batteria da 30 kW/h oggi raggiunge un massimo di 250 km) la chiave di volta resta quella delle infrastrutture di ricarica, le cosiddette “colonnine”. Anche su questo versante, in realtà il resto del mondo ha fatto passi da gigante: basti pensare che dal 2010 al 2016, i punti di ricarica, in tutto il pianeta, sono passati da 20mila a 1,45 milioni, con la Cina leader indiscusso delle colonnine pubbliche e gli Usa a primeggiare nelle infrastrutture domestiche. In percentuale, la capillarizzazione dei punti di ricarica sta andando persino più velocemente della diffusione delle auto. E l’Italia? Ovviamente è indietro. Da noi, le colonnine sono circa 9 mila, di cui 7.500 private e 1.750 pubbliche. E a dare un occhio alla distribuzione geografica, c’è una discrepanza lampante tra il numero delle infrastrutture presenti nel Nord Italia e nel Centro-Sud. Eppure esiste anche uno strumento di regolazione centrale: il Piano Nazionale Infrastrutturale per la ricarica dei veicoli alimentati ad energia elettrica, il cosiddetto PNIRE, varato nel 2012 dal Ministero delle Infrastrutture. Secondo i suoi obiettivi, entro il 2020 vanno installati almeno 4.500 ricariche con potenza da 22 kW/h e altre 2 mila di potenza superiore, con un investimento di 33,5 milioni di euro destinato alle Regioni. Ma l’interesse della pubbliche amministrazioni, rispetto a qualche anno fa e tranne rare eccezioni come in Lombardia e Valle d’Aosta, sembra essere in calo. «Il problema vero – sostiene il direttore dell’Energy&Strategy Group, Vittorio Chiesa – è che manca una visione di sistema. Una barriera alla diffusione della mobilità elettrica è l’assenza di interoperabilità tra le infrastrutture di ricarica gestite da operatori differenti. Bisognerebbe sperimentare invece forme di ecosistema avanzate che altrove sono già realtà. Ad esempio le partnership tra operatori della ricarica e player dell’automotive che garantiscano all’utente un’offerta completa di mobilità elettrica, comprensiva di auto e infrastruttura di ricarica domestica. Così l’utente avrebbe il noleggio dell’auto con una tariffa a consumo, la stazione di ricarica a casa e un’app per localizzare le colonnine di ricarica pubblica. Quanto al PNIRE, ha l’ambizione di preparare infrastrutture per 130 mila veicoli elettrici quando il mercato delle auto non ritiene possibile andare oltre le 70 mila auto immatricolare nei prossimi 4 anni. Forse, per bilanciare gli obiettivi, bisognerebbe spostare le risorse destinate al PNIRE a favore degli incentivi all’acquisto».
PERCHÉ IL GREEN CONVIENE
- Non inquina. Tra auto elettrica e auto a gas metano non c’è partita. Dati alla mano, le emissioni di CO2 di una elettrica sono di oltre il 50% inferiori a quelle di un veicolo a metano. Il modello a metano con le minori emissioni dichiarate dalla Fiat (la Panda a Natural Power) presenta un valore minimo di 113gCO2/km. Un’auto elettrica oggi consuma in media 0.15-0.20 kWh/Km e, stante il livello di emissioni di CO2 dell’elettricità disponibile in rete, avrebbe un’emissione oltre il 40% inferiore.
- Ha bassissimi costi di ricarica e di manutenzione; 0,22-0,28 €/kWh è il costo medio dell’energia per km percorso.
- Gode di incentivi sulla circolazione: parcheggi gratuiti nelle strisce blu delle città, libera circolazione nelle aree a traffico limitato, esenzione dal bollo per i primi 5 anni.
GLOSSARIO
BEV – Battery-Electric Vehicle è il veicolo elettrico «puro», la cui propulsione deriva esclusivamente dall’energia prodotta da un motore elettrico alimentato da batterie che accumulano energia elettrica
PHEV – Plug-In Hybrid Electric Vehicle ha due fonti di energia che lavorano in sinergia tra di loro. La prima è un motore elettrico, il secondo è un motore a combustione interna convenzionale alimentato a benzina o diesel