Ci sono 790 milioni di euro del Pnrr – tra quelli che l’Europa ci ha già erogato – che hanno ricevuto dal governo un indirizzo preciso e inequivocabile: serviranno a realizzare la rete delle stazioni di ricarica dell’auto elettrica. Sono pronti per essere spesi, quest ‘anno. Ma non lo saranno. Come mai?

“Perché nel frattempo l’Europa non si è ancora messa d’accordo sugli incentivi all’acquisto delle auto elettriche”, potrebbe rispondere qualcuno. E qualcun altro: “Perché anche il ministro Urso ha detto che le auto elettriche non saranno alla portata di tutti”… No, niente di tutto questo. Quei 790 milioni di euro non saranno spesi, e dunque non “faranno Pil”, semplicemente perchè non c’è il tempo materiale per bandire le gare d’appalto, espletarle e avviare i cantieri entro l’anno. Storie di ordinaria lentezza italiana. Banalmente: non funzionava nulla, da mai, nella pubblica amministrazione, che fosse al passo con l’economia; si è fatto finta di riformarla perché l’Europa ci chiedeva di fingere, non di fare; e adesso si misurano gli effetti del bluff.

Ohibò, che si pecchi di lesa maestà contro l’uomo che salvò l’euro e l’Italia, contro San Mario Draghi? No, tutt’altro: sempre sia lodato. Chissà quanti, al suo posto, le riforme non avrebbero neanche saputo fingerle. Il suo governo c’è riuscito, a scriverle; ma poi non ha avuto il tempo – e diciamolo, neanche gliel’hanno lasciato, in questo commettendo un grave errore di avidità – di attuarle. 

Resta nascosta nella storia dei “se” – quella che non ha senso scrivere, come ammoniva Benedetto Croce – la risposta alla domanda “se Draghi sarebbe stato in grado di attuarle” o neanche lui.  Non lo sapremo mai. Prendiamo atto che declamando le meraviglie della semplificazione e della digitalizzazione – che da sole avrebbero dovuto compiere il miracolo – si è completamente trascurata la governance, parolona che significa: “Far lavorare gli statali meglio e di più”. Figuriamoci: è come far raccogliere la “munnezza” a Napoli e far funzionare gli autobus a Roma. È più che difficile, è un tabù. S’indigneranno le anime belle: “Luoghi comuni, banalizzazioni!”. Sarà: fateli lavorare voi. 

Ma c’è di peggio. Ammesso e non concesso che i dipendenti statali – che, sia chiaro, in massima parte sono bravissime persone solo demotivate, mal pagate e mal gestite – fossero tutti illuminati dallo Spirito Santo di Bruxelles e decidessero di fare i doppi turni per pubblicare i bandi di gara del Pnrr in tempo, non basterebbe più. Nel loro eroismo civico di freschissima data dovrebbero sostenere anche lo sconforto di vedersi negare l’aumento contrattuale che attendevano dopo un anno di inflazione flagellante perché… lo Stato non ha i sodi per darglielo. Ancora illazioni? Sentiamo che ha detto il ministro Zangrillo ai sindacati, dalla viva voce del segretario Uil Bombardieri, che l’ha riferito all’Ansa:  “La notizia è che non ci sono soldi per finanziare il rinnovo del contratto di lavoro e quindi milioni di lavoratori pubblici per quest’anno non avranno l’aumento. Questa è la notizia drammatica”, ha sintetizzato il sindacalista, dopo l’incontro con il governo.

Economy aveva ricordato, sul numero scorso, le parole sagge ma inquietanti pronunciate sul Pnrr dalla premier Meloni: “Ci sono risorse ingenti ma ora arriva la parte più delicata, che è fare le riforme e gli investimenti, mettere a terra queste risorse ingenti. Dobbiamo rimboccarci le maniche a Roma e Bruxelles e far funzionare questa cosa”. Rimboccarci le maniche, precisamente le mezze maniche. Facile a dirsi. E c’è di peggio. Quando diciamo “statali” alludiamo, in effetti, a una galassia composita, che include anche gli enti locali – Comuni e Regioni – ai quali le regole sul Pnrr affidano oggi mansioni soverchianti, poteri decisivi e tempi strettissimi. E qui a onor del vero, l’Anci ha denunciato i problemi di utilizzo della piattaforma ReGis, dove i municipi devono caricare i loro atti, ma intanto sono state bandite 35 mila gare e garette, per circa 18 miliardi… Ma tutto questo non basta: sia tra gli enti locali che nelle amministrazioni centrali dello Stato sono più i ritardi delle prodezze.

E dunque? Dunque l’unica – ma flebile – speranza è che il governo si assuma più fortemente tutte le responsabilità dirette che può, anche attraverso lo strumento dei commissariamenti, nell’apertura dei cantieri. Anche a costo di manlevare le sceltr autocratiche dei commissari. E che la smetta di parlare per ora nate solo sulla carta, riforme-Cinecittà, buone per una fiction ma non per cambiare il volto del Paese: come invece, e giustamente, speriamo che faccia il Pnrr.