di Mario Abis

Marketing e comunicazione: nuove leve, nuovi modelli. Le difficoltà attuali della pubblicità come strumento di marketing sono molteplici e in gran parte note. La difficoltà a muoversi in modo distintivo in un contesto rumoroso di ipertrofia comunicazionale, la difficoltà di creare ingaggio e attenzione da parte del pubblico e dei conseguenti segmenti di consumatori “bombardati” da questa ipertrofia, e in corrispondenza, la grande capacità e competenza di questo pubblico a difendersi e a sfuggire da quello che una volta si chiamava l’impatto della pubblicità, che a sua volta trova difficoltà a creare innovazioni creative nell’uso dei nuovi linguaggi del digitale. 

Il bombardamento riguarda da una parte l’affollamento dei diversi messaggi di comunicazione (pubblicitari e non) che genera una sorta di continuum indistinguibile con livelli di ingaggio molti bassi. E con un rumore “orizzontale “che si lega a quello “verticale“ delle derivate dei messaggi sulle multipiattaforme e nel multitasking: il portato finale è quello di una sorte di turbine comunicativo in cui il consumatore perde orientamento e attenzione. 

Il vecchio modello della pubblicità per impatto e ricordo tende a offuscarsi e le applicazioni creative sono riferite più che ai contenuti alle combinazioni dei media intorno ad una supposta centralità del digitale , per altro mai sperimentata fino in fondo sul piano del vero “fuoco“ che è l’innovazione linguistica. Gli esempi non mancano: sul canale YouTube il flusso emozionale della relazione con diverse immagini, musiche e parole, viene brutalmente interrotto da pubblicità che altro non sono che il lineare trasferimento degli spot televisivi su questo nuovo canale che ha un valore di ingaggio con il pubblico completamente diverso.

La pubblicità come sistema sembra dunque in difficoltà: da una parte nell’interpretare le condizioni della nuova sfida creativa, dall’altra a modellizzare il nuovo “corso“ in modo efficace per il marketing strategico e operativo. E infatti tutti gli indicatori di valorizzazione (awareness, ricordo, efficacia) relative a brand e a campagne pubblicitarie, sono, da un po’ di anni, in caduta libere. E le strade della creatività vanno dall’innovazione ad un sistematico copia e incolla… di immagini e parole. Effetti? Che molte aziende, quelle soprattutto che hanno problemi di efficacia sul brand, cerchino altrove strumenti alternativi di comunicazione, basati su espedienti indiretti. Lo strumento tecnico/tattico più popolare è quello degli influencer… ma, fra gli altri, quello più strategico, soprattutto per gli attori di alto livello reputazionale, è quello di investire in azioni ed eventi nei settori della cultura, delle infrastrutture e dei servizi sociali, creando applicazioni per eventi e relazioni stabili.

Si tratta per certi aspetti dell’evoluzione necessaria, in ambito di bilanci sostenibili, verso le formule di Esg; sotto altri aspetti si tratta di creare un nuovo valore di brand e di reputazione, non più legato allo scambio diretto marca/prodotto/segmento di consumatore, ma di costruire una sorta di “alleanza sociale“ fra impresa e cittadini consumatori in cui l’effetto commerciale è indiretto (e forse più potente): la legittimazione, a monte dello scambio commerciale, sta nel valore riconosciuto all’impresa e alla marca che si impegnano, molto spesso in un contesto territoriale, per i consumatori che sono anche cittadini… Questo meccanismo si è espanso soprattutto nel periodo della pandemia, con risultati ottimi per molte aziende nel ricordo e nella valorizzazione della marca. Quest’approccio si sta in molti casi evolvendo: non si tratta delle vecchie formule di sponsorizzazione, ma di vere e proprie strategie compartecipative (e la storia ci riporta al vecchio modello Olivetti) efficaci al punto di orientare le stessa imprese a spostare gli investimenti in comunicazione dalla pubblicità a questa nuova formula applicativa dell’Esg. Un’evoluzione naturalmente legata alle dimensioni e i settori d’impresa – ma non necessariamente solo grandi, finanziari e tecnologiche anche medio grandi anche di settori del largo consumo e della Gdo – che, mentre trasformerà l’antropologia culturale del consumo, sarà anche una nuova risorsa welfare per sostenere sevizi sociali, da quelli legati alla cultura a quelli legati alla salute e al benessere.