di Andrea Granelli
Una recente copertina dell’Economist riporta la nostra attenzione a un tema spesso dimenticato ma molto importante: la presenza del pensiero magico che tende ad attribuire a persone e tecnologie un potere molto maggiore di quello che sono in grado di fornire.
L’immagine – come spesso accade su quelle copertine – è potente ed efficacissima: si vede infatti il classico coniglio che appare nel cappello a cilindro del prestigiatore; ma è un coniglio ferito e ammaccato, evidentemente non più in grado di far credere che con un colpo di bacchetta magica si possano risolvere i problemi che ci attanagliano. Questa propensione umana – nei fatti una vera e propria bias cognitiva – non vale solo nella politica, con la disperata ricerca dell’uomo forte, ma si applica anche al settore delle tecnologie, nella ossessiva ricerca della tecnologia magica che risolve tutti i problemi, oltretutto senza effetti collaterali.
Fu una grande intuizione di Gartner Group comprendere che dietro ogni innovazione c’è sempre un hype, un’illusione potente, tenace e spesso autocostruita (ma comunque rinforzata dai fornitori di tecnologie e dai finanziatori di tali aziende che sanno come influire sui media mainstream) che fa sì che creiamo aspettative tecnologiche che vanno molto oltre quanto la nuova tecnologia è in grado di dare. Questo pensiero magico è pericoloso non solo per la delusione che necessariamente comporta – tanto più cocente quanto più alte e irrealistiche sono le illusioni – una volta che la tecnologia si manifesta nelle sue capacità e limiti. Ma lo è anche perché inquina la razionalità dei meccanismi decisionali nel nostro modo di valutare le cose. E, a ben vedere, questo modo di ragionare non è così lontano dal movimento “no-X” e dal suo parente stretto: il complottismo. Dai commenti sui media mainstream che stanno accompagnando il lancio di chatGPT mi sembra che stiamo ricadendo nello stesso errore. Il tema è dunque più generale. Stiamo partendo da considerazioni su un prodotto specifico – la chatGPT – ma di fatto ciò che serve è un approccio più sistematico e corretto sulla valutazione tecnologica che eviti di cadere nei due estremi su cui spesso il dibattito si polarizza: i tecno-fan adoratori dell’innovazione in tutte le sue manifestazioni e i tecno-fobici, retrogradi, conservatori dello status quo e avversatori del futuro e del progresso. Questo semplificare questioni complesse in schemi binari – tecnica adorata da alcuni politici (“o con me o contro di me”) – è chiamata dai retori fallacia del falso dilemma ed un virus che contamina i ragionamenti e annichilisce le possibilità di convergenza tra diversi punti di vista. Si tratta piuttosto di sviluppare e diffondere un approccio che consenta a chi ama l’innovazione ed è curioso, di imparare a non farsi abbindolare dalle false chimere, spesso alimentate dai molteplici interessi dietro l’innovazione tecnologica. Ci vuole cautela nel buttarsi su cose di cui non abbiamo capito tutto.
Ci sono allora due filoni di pensiero – molto diversi fra di loro – che possono però aiutarci in questo percorso. Il primo è riconducibile alla cultura “slow”, che non si applica solo al cibo ma sta diventando una sorta di fermiamoci-e-riflettiamo-prima-di-decidere per contrastare la frettolosità tipica delle persone imprudenti e superficiali. È giusto ricordare che la prudenza era una delle doti più importanti dei leader (oltre a essere una delle quattro virtù cardinali). Come non ricordare il potente libretto “L’arte della prudenza” scritto a metà del Seicento dal gesuita Baltasar Gracián. Essere prudenti non vuol dire essere timorosi e procrastinare sine die possibile decisioni e azioni. Vuol dire, invece, decidere nel momento opportuno – cogliendo quello che i Greci chiamavano kairos – e agire poi senza tentennamenti e con assoluta determinazione. È la frettolosità, l’impazienza, dunque, il vero male.
Il secondo filone è debitore di grandi pensatori come ad esempio Popper e deve al filosofo Hans Jonas la sua formulazione più efficace, detta Principio di precauzione. Si tratta di riapplicare in modo sistematico il pensiero critico anche all’innovazione tecnologica. Pensiero critico non per creare alibi al non fare, ma per costruire su fondamenta solide. Lo diceva Cartesio nelle sue Meditationes de prima philosophia – “Il dubbio è l’origine della saggezza” – e lo riprende in modo icastico Bertrand Russell (Storia della filosofia occidentale): “Il problema dell’umanità è che gli sciocchi e i fanatici sono estremamente sicuri di loro stessi, mentre le persone più sagge sono piene di dubbi”.