Basta con questa visione manichea per cui e-commerce e punto vendita fisico si fanno concorrenza: sono due facce della stessa medaglia e devono collaborare attivamente». Giorgio Santambrogio, amministratore delegato di VéGé, gruppo della grande distribuzione che, secondo l’Area Studi di Mediobanca, è al quarto posto per utili nel periodo 2015-2019 (839 milioni) e un fatturato 2020 intorno agli 11,25 miliardi. A livello internazionale, la crescita media del fatturato degli operatori della Gdo è stato dell’8,3% per quanto riguarda il fatturato totale, con un boom del 120% se si guarda soltanto alla quota click&collect. D’altronde, come spiega Valeria Santoro, country manager Italia di Stocard «la digitalizzazione della Gdo si inserisce nell’ambito della trasformazione digitale culturale di cui sentiamo parlare con forza da alcune settimane: è una trasformazione che parte dall’interno dell’azienda con l’adozione di competenze in grado di incidere sul dna del retail. In quest’ottica molti sono i passi in avanti da fare. Dalla business continuity digitale anche in agile working alla contaminazione con mondi innovativi, il retail deve compiere una rivoluzione per anticipare la visione del consumatore, non per rincorrerla. Essere digitali non significa avere un e-commerce o limitarsi ad utilizzare strumenti digitali come il click and collect, ma vuol dire sposare la cultura 4.0. Io ancora vedo troppa Gdo comunicare con il volantino cartaceo. Questo non è digitale. Né green». Così, VéGé ha deciso di usare una strategia “olistica” che prevede diversi assi su cui puntare.
Santambrogio, che cosa state facendo per il supermercato del futuro?
Tantissimo! In primo luogo all’interno del supermercato, con la possibilità di usare le nuove tecnologie per fare la spesa, per tracciare i prodotti e – ma questo è ancora un’idea che prima o poi metteremo in pratica – un pricing dinamico che cambi a seconda delle caratteristiche e la localizzazione dell’acquirente.
E per quanto riguarda la consegna a domicilio o la spesa via internet?
Qui stiamo facendo passi da gigante. C’è la possibilità di prenotare la propria spesa e venirsela a ritirare con orari precisi, il cosiddetto “click&collect”. C’è ovviamente la consegna a domicilio. Ma poi volevamo anche contrastare la spesa che arriva nel medesimo giorno, come fa Amazon Fresh o Prime. E allora abbiamo allargato il nostro perimetro e ci siamo uniti con Everli per permettere al cliente di avere la spesa a casa lo stesso giorno. Infine, mettiamo che uno abbia una ricetta in testa e si accorga all’ultimo che gli manca un ingrediente: stiamo realizzando una partnership con Glovo che in pochi minuti mi porta gli ingredienti mancanti.
Perché una partnership con Everli e non con Amazon come ha fatto ad esempio U2?
Perché altrimenti si perdono i dati dei clienti. Con Everli invece c’è una condivisione di informazioni in cui non perdiamo la sovranità sul cliente.
Ma questo non rischia di snaturare il punto vendita?
No, perché avrà sempre un ruolo nobile per fornire informazioni sui prodotti al cliente che vuole avere qualche dato in più.
Che target vi siete dati dalla partnership con Everli e, più in generale, dall’e-commerce?
Siamo ancora a livelli molto bassi. Ho voluto esagerare e fissare a 20 milioni (su 11,25 miliardi di fatturato) il target con Everli e l’e-commerce vale il 2,5% del fatturato totale alla fine del 2021.
Siamo alla terza ondata, nuovi lockdown: ha paura che il cliente si disabitui a fare la spesa o che non lo viva più come momento gioioso?
La mia paura più grande è che non si andrà più nei centri commerciali. E questo non perché siano posti poco sicuri, ma perché se chiudi i 1.518 spazi in cui siamo presenti, poi è difficile recuperarli.
C’è il rischio di una riduzione dei fatturati?
Da questo punto di vista mi preoccupano i discount. Sono convinto che, se dovesse essere cancellato il blocco dei licenziamenti, calerebbe il reddito disponibile e la gente preferirebbe andare a comprare dove costa meno.
La Gdo è uscita più “ricca” dalla pandemia?
Questo è vero solo in parte. Il fatturato è aumentato del 10,1%, e questo è innegabile. Ma i margini sono ristretti, perché aumentano i costi per le squadre, le sanificazioni, nuovi costi vivi, ampliamento dei layout, plexiglas, guanti e via dicendo. E poi abbiamo venduto più prodotti per i cuochi in casa. Uno non vale uno: un kg di farina e un kg di salmone è vero che sono sempre un item venduto, ma hanno ovviamente un valore diverso. E poi noi abbiamo anche i cash&carry, rivolti ai professionisti e alla ristorazione. Lì è veramente un disastro e spero che il 2021 andrà meglio del 2020.