I cittadini sono sempre più spesso in balìa di grovigli normativi introdotti per garantire il funzionamento della locomotiva burocratica e l’incasso di tributi confiscatori, tanto che, in caso di inadempimento, possono subire processi penali durante i quali sono applicabili misure ablative capaci di paralizzare le attività economiche.
Attualmente, si tratta di equilibri difficilmente scardinabili, così come sembra impossibile snellire la pubblica amministrazione e ridurre la tassazione affinchè le risorse circolino nell’economia privata.
Lo scenario si sta ripetendo nonostante l’attuale pandemia.
Il Governo ha emanato il “Decreto legge Cura Italia” per “contenere gli effetti negativi che l’emergenza covid-19 sta producendo nel tessuto socio-economico nazionale ed evitare che la caduta temporanea del prodotto abbia effetti permanenti, travolgendo le attività produttive e disperdendo il capitale umano”.
Questi scopi non sembrano perseguiti seriamente dal Decreto, il cui focus appare il mantenimento di tutta la macchina burocratica.
Balza agli occhi che il pagamento delle entrate pubbliche è stato ordinariamente rinviato soltanto per “4 giorni”, per poi essere graduato fino al 31 maggio in base al criterio territoriale, al tipo di attività ed al fatturato del periodo 2019. Nel testo normativo si scorge una visione rosea del futuro economico del nostro Paese, che però stride con le altre disposizioni urgenti emesse in materia sanitaria dal Governo e da altre Autorità per arginare il diffondersi del covid-19. Di qui a breve, sembra illusorio ipotizzare che i contribuenti disporranno delle provviste occorrenti per estinguere i debiti pubblici (sia da autoliquidazione, sia da cartelle di pagamento) entro il 30 giugno, oppure ratealmente entro il mese di settembre.
Deludono anche le indennità concesse (solo) per il mese di marzo a favore di alcuni cittadini ed entro precisi limiti di spesa pubblica. Mi riferisco al premio di 100 euro riconosciuto a talune categorie di dipendenti in proporzione agli effettivi giorni di lavoro svolti in sede, nonché all’indennità di 600 euro erogabile ai professionisti iscritti alla gestione previdenziale separata. Entrambe le misure sono inferiori alle provvidenze pubbliche (tra cui il “reddito di cittadinanza”) previste in condizioni di normalità.
Il Decreto interviene, poi, sul funzionamento della “giustizia”, sospendendo, nella gran parte dei casi, le udienze ed i termini processuali fino al 15 aprile. Tuttavia, per i rapporti tributari, nonostante il massiccio blocco delle attività economiche sancito dagli atti urgenti intervenuti in materia sanitaria, l’Esecutivo, forse reputando gli Enti impositori (Agenzia delle entrate, Comuni, ecc.) fortemente oberati di lavoro, ha sospeso fino al 31 maggio i termini stabiliti per svolgere le attività di controllo, accertamento e riscossione, addirittura prorogando – sempre a loro favore – di due anni le decadenze e prescrizioni scadenti il prossimo 31 dicembre.
Insomma, due pesi e due misure in spregio alle finalità prefissate dal Decreto, oltrechè dei basilari principi di uguaglianza tra cittadini, buon andamento imparziale della pubblica amministrazione e di parità delle parti in sede contenziosa.
Adesso, però, il Governo ha l’opportunità di sfruttare la situazione emergenziale per capovolgere il sistema fiscale al servizio dei cittadini, anziché impiegarlo contro di loro unicamente per fare cassa. In che modo? Si introduca una flat tax “generalizzata” sui redditi “lordi” delle persone fisiche e delle aziende che scelgono soltanto la moneta elettronica, al fine di disincentivare l’impiego evasivo del contante ed alleggerire gli innumerevoli obblighi burocratici tutt’ora esistenti, con innegabili effetti positivi anche sulla spesa pubblica e sui portafogli delle famiglie.
*Avvocato fiscalista