Allestimento alle Gallerie d'Italia di Intesa San Paolo

Le pareti sono sgombre. Le stanze ancora silenziose. Sono in attesa degli applausi, degli occhi spalancati dei visitatori, dei pareri degli esperti e dei passi morbidi delle comitive. Il brusio delle guide non si sente. È tutto ancora da allestire. Le sculture non sono state impiantate sui basamenti, almeno per il momento. Anche se la galleria è ancora vuota, non è tutto fermo. I curatori sono già al lavoro, come gli architetti e le maestranze. Di una mostra d’arte, i visitatori vedono solo il risultato: i bei quadri esposti in cornici variopinte, uno dietro l’altro. Ma delle fatiche e del lavoro che ci è voluto per preparare il tutto, quasi nessuno sa nulla. Eppure dietro le quinte di un’esposizione si muovono decine di soggetti, aziende e, soprattutto, denari. La mostra sul Caravaggio al Palazzo Reale di Milano, dal 29 settembr 2017 al 4 febbraio 2018, ha accolto più di 4 milioni di visitatori paganti: 13 euro il biglietto, 11 quello ridotto. Per 250mila biglietti a settimana, fa qualcosa come un milione di euro al mese. Van Gogh, semore a Palazzo Reale, aveva chiamato a raccolta 355mila visitatori, per un incasso superiore ai 3,5 milioni di euro. In poco più di quattro mesi: non male, come business.

Ma, per organizzare una mostra d’arte ci vuole tempo e denaro. «Le tempistiche e i costi dipendono da diverse variabili: se è la mostra di un artista emergente, è un conto. Se vengono esposte opere di famosi artisti, come Picasso o Van Gogh, i costi saranno molto più alti», spiega Andrea Concas, fondatore della startup dell’arte Art Backers e di Art Rights. E anche le tempistiche, in questo caso, sono molto più dilatate. Possono volerci mesi per allestire una mostra, ma in alcuni casi anche anni. «Per imbastire l’esposizione impieghiamo anche un paio d’anni dall’idea al giorno dell’inaugurazione», sottolinea Alberto Mignani, referente per le attività culturali di Intesa San Paolo. Che in materia ne sa quanto basta: dal 1999 ha trasformato i suoi storici palazzi in sedi espositive. I capolavori di Caravaggio, Tiepolo, Canaletto, Boccioni, Fontana, Manzoni si alternano nelle grandi stanze dei sontuosi edifici di proprietà di Intesa San Paolo.

I musei si scambiano opere d’arte come figurine, prestandosele a vicenda oppure barattandole in cambio di un costoso restauro

«Il punto di partenza è l’idea», continua Concas. «Il direttore del museo o il gallerista o l’ente organizzatore, scelgono il tema». Inquadrato l’argomento, parte la macchina organizzativa, di cui il curatore, come un abile giocoliere, muove le redini. «Il curatore ha il compito di mediare tra il linguaggio dell’artista o degli artisti e il grande pubblico. Cerca di rendere accessibile il racconto della mostra a tutti».

Ci sono curatori di fama, celebrità del settore. Vengono richiesti per le mostre più importanti e si portano a casa chachet che possono arrivare a centinaia di migliaia di euro. Eclatante, per esempio, il caso di Germano Celant che per curare un padiglione all’Expo 2015 ha ricevuto 750mila euro. Gli stipendi dei “top curators”incidono tra l’1 e il 5% sul bilancio totale di una biennale e ricevono cifre che oscillano tra i 120mila a 180mila euro a mostra.

Onori, ma anche oneri. Toccherà al curatore, infatti, scegliere le opere che verranno esposte. Se il soggetto della mostra è un artista vivente, basterà rivolgersi a lui per avere in prestito tele o sculture. In caso contrario, comincia la trattativa con musei e collezionisti per avere le opere in affitto. «Il contratto di prestito può essere a titolo oneroso o gratuito», spiega Concas. Ovvero possono essere cedute all’ente organizzatore gratuitamente o al contrario in cambio di una prestazione. Che può anche non essere necessariamente in denaro. «Spesso scambiamo le opere della nostra collezione, come contropartita di un prestito necessario per una mostra che vogliamo allestire. Ad esempio, di recente abbiamo prestato al Metropolitan Museum of Art di New York l’opera di Caravaggio “Martirio di S. Orsola”, dipinto – bene privato, ma patrimonio dell’umanità –, esposto in modo permanente nella sede museale della Banca a Napoli, le Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano. In cambio di questo importante prestito, la sede museale partenopea ha ospitato un altro straordinario capolavoro di Caravaggio proveniente dal Metropolitan Museum: ‘I Musici’», racconta Alberto Mignani di Intesa San Paolo.

I curatori possono guadagnare cifre esorbitanti: germano celant ha ricevuto 750mila euro per un padiglione di expo 2015

Talvolta, invece, la Banca ha optato per la carta dei restauri. «La mostra a volte è l’occasione per dare leggibilità a un’opera. Siamo intervenuti restaurando delle opere, che ci sono state date in prestito gratuitamente. Nel 2017, ad esempio, in occasione di una mostra impressionista di De Nittis e Gemito a Napoli, abbiamo restaurato un’importante tela», continua Mignani. Insomma, viene restituita bellezza a un’opera in cambio di un prestito. «Per coordinare gli accordi commerciali di scambio e prestito può essere necessaria la figura di un avvocato. Un altro costo che va tenuto in conto nel bilancio economico della mostra», aggiunge Andrea Concas.

Selezionate le opere, comincia la fase più delicata: quella del trasporto. Poco importa che il prestito delle opere sia a titolo oneroso o gratuito, perché lo spostamento è sempre a carico dell’ente organizzatore. E, banalmente, più importante è il valore delle opere, più alti saranno gli oneri. È il registar a occuparsi della gestione della movimentazione di dipinti, sculture e installazioni. Una figura professionale specializzata, che vigila sugli aspetti di sicurezza e conservazione. «Lo spostamento introduce numerosi attori all’interno del mondo dell’allestimento. Ci sono intanto aziende specializzate nel trasporto di opere d’arte che si fanno carico delle movimentazioni. Si deve stipulare una polizza assicurativa per prevenire il rischio di danni. Si devono prendere tutte le precauzioni necessarie, sopratutto quando l’opera è di un certo pregio. Vengono verificate le condizioni di partenza e di arrivo nel dettaglio. Viene richiesta la partecipazione di periti, storici dell’arte e talvolta anche il curatore deve presenziare», specifica Concas. Il “condition report”, un documento redatto dagli esperti, testimonierà le condizioni di partenza e di arrivo delle opere. All’occhio clinico dei periti è difficile che sfuggano perfino piccoli graffi. Nel caso di opere di valore, anche un piccolo danno può far dolere il portafogli. Per questo trasportare un’opera di valore può avere costi molto alti. Si va da cento euro a opera per le mostre piccole a migliaia di euro per dipinti di una certa rilevanza storica e artistica. Spostare un Picasso, per intenderci, può costare, tra trasporto tramite un vettore specializzato e assicurazione, anche qualche migliaia di euro.

E nulla viene lasciato al caso. Le condizioni logistiche sono studiate una a una, per evitare di incappare in inconvenienti di troppo. «Viene stilato anche un facility (o utility) report, che specifica le caratteristiche della sede ospitante: dalle metrature all’impianto di illuminazione. La mostra viene studiata in base alla sede. È inutile, per esempio, movimentare un’opera di due tonnellate, se l’esposizione si terrà in un solaio che non può sostenere un simile peso», spiega Concas.

Per accertare l’autenticità di un’opera controversa può volerci anche un anno e i costi di analisi sono proibitivi

Lo scorso settembre, per esempio, gli esperti d’arte di Intesa San Paolo si sono trovati di fronte a un trasporto ostico. “L’Ultima Cena”, la grande tela di Giulio Cesare Procaccini, proveniente dalla Chiesa della Santissima Annunziata del Vastato di Genova, doveva essere traghettata a Milano per la mostra “L’Ultimo Caravaggio. Eredi e nuovi maestri”. «L’opera, di dimensioni notevoli, circa 40 metri quadri, non consentiva un trasporto in una cassa, come avviene solitamente», spiega Alberto Mignani di Intesa San Paolo. «Il dipinto è stato arrotolato in una tela con tutte le precauzioni del caso e condotto a destinazione».

Non è ancora però tutto pronto: c’è sempre il dilemma dei falsi. «Alcuni musei hanno interesse a ritrovare delle “chicche”, dei reperti da mostrare per la prima volta al pubblico. Ma devono stare molto attenti a evitare i falsi. Per questo entrano in campo fior fior di esperti, capaci di condurre ricerche d’archivio sulle opere». Può servire anche un anno per arrivare a sbrogliare l’incarto e determinare l’originalità del reperto. E i costi intanto lievitano, perché un lavoro così meticoloso va pagato bene: anche decine di migliaia di euro per opera. «Per un’opera da 10milioni il costo di analisi è almeno di 100mila euro», sottolinea Concas. Non si pensi, però, si tratti di un eccesso di cautela. A Palazzo Ducale di Genova, non certo un museo sperduto di un paesino di provincia, un anno e mezzo fa sono stati smascherati e sequestrati una ventina di falsi di Andrea Modigliani.

Arrivato il momento di rivestire le sale con le opere, secondo i dettami del curatore, c’è ancora molto lavoro da fare. Dalle cornici che possono costare da poche decine a migliaia di euro, ai supporti, ai pannelli di cartongesso, all’aggiunta o all’oscurazione di punti luci. C’è da fare anche il catalogo, vanno contattati fotografi capaci di immortalare al meglio le opere, i grafici e gli editori. Poi è il turno della pubblicità, degli uffici stampa e degli esperti di comunicazione e i social media manager. Un evento pubblico a tutto gli effetti, che ha un budget a sé stante. «Dal giorno dell’apertura vanno tenuti in conto anche tutti gli altri costi legati alla gestione ordinaria: come la guardiania, la manutenzione e le guide turistiche», spiega Concas.

Ma a sostegno di tutte le spese sostenute, dallo scorso anno la Legge di Bilancio 2018 ha introdotto un incentivo fiscale per gli investimenti nel mondo dell’arte. Si tratta del cosiddetto tax credit creatività, un credito d’imposta rivolto alle imprese culturali e creative, ammesso nella misura del 30 per cento dei costi da esse sostenuti per attività di sviluppo, produzione e promozione di prodotti e servizi culturali e creativi.

Insomma, a noi spettatori, è dato vedere solo la punta dell’iceberg, ma i retroscena di una mostra sono ugualmente affascinanti.