Federica Calvetti, Responsabile Esg & Strategic Activism di Eurizon

Li chiameranno pure Esg, ma alla fine quel che conta è la governance. Prima di tutto perché è dalla testa che tutto dipende. E se tutti pianificano la riduzione delle emissioni, aumentano la porzione di energia da fonti rinnovabili, individuano materie prime seconde e differenziano i rifiuti, le tematiche sociali ricoprono ancora un ruolo secondario. «Lo si vede durante la stagione assembleare, sui temi sociali c’è ancora molto lavoro da fare, oggi sono poco compresi e forse gli azionisti hanno altre priorità», rimarca Federica Calvetti, Responsabile Esg & Strategic Activism di Eurizon. La cosiddetta stewardship – che in italiano tradurremmo con “amministrare e custodire responsabilmente”, ma volete mettere l’ennesimo inglesismo? – è il suo focus: «Mi occupo di integrare all’interno del processo di investimento le tematiche Esg, lavorando insieme ai gestori in materia di sostenibilità», spiega a Economy. «Definiamo le politiche, sviluppiamo le strategie, discutiamo su quali settori investire o disinvestire».

La storia infinita, insomma. E non solo per via della tassonomia europea – la classificazione degli investimenti ritenuti sostenibili dalla Commissione Europea – che prima escludeva nucleare e gas e ora li include.

Diciamo che si tratta di un’esercizio che non è mai concluso. La politica di sostenibilità è in costante evoluzione. A inizio di quest’anno, per esempio, abbiamo aggiunto l’esclusione relativa agli emittenti che operano nel settore delle sabbie bituminose – oil sands per gli amanti dell’inglese, ndr – per via del metodo che viene utilizzato per estrarne il petrolio: è estremamente energivoro e rilascia nell’atmosfera quantità di gas rilevanti, inoltre danneggia la biodiversità. Se una realtà realizza più del 10% del fatturato dall’oil sand la escludiamo dai nostri investimenti. Questa esclusione si aggiunge a quella applicata agli emittenti che dal carbone realizzano almeno un quarto del fatturato.

E le aziende che sono sotto la soglia?

Dal 2022 ci impegniamo a fare engagement con le società sottosoglia con criteri di priorità: verifichiamo eventuali piani di espansione, quelli di phase out, e se non li hanno, teniamo sotto monitoraggio. Si tratta di un’attività molto utile: abbiamo dialogato con una trentina di società asiatiche, americane ed europee e abbiamo capito quanto la crisi energetica avesse già avuto effetto sulle loro revenues. Per esempio, una società asiatica che rispetto all’info provider risultava sotto soglia, grazie all’engagement è emersa essere ampiamente sopra soglia, quindi abbiamo deciso di escluderla. Abbiamo dovuto disinvestire anche da una società petrolifera, perché non hanno risposto in modo adeguato alla nostra richiesta di engagement.

La storia infinita, insomma. E non solo per via della tassonomia europea.

Esistono casi in cui il provider assegna per la prima volta il rating senza dialogare con la società. Oppure, nel caso delle Pmi, i dati sottostanti vanno verificati e normalmente il time lag è di un anno, ma con l’engagement riusciamo a ottenere i dati anche trimestrali. Non solo: la trasparenza delle aziende sul mercato dei capitali è molto eterogenea. C’è un problema di geografia.

In che senso?

La preparazione e la disponibilità  delle aziende in Europa a condividere informazioni sulla sostenibilità è molto buona, negli Stati Uniti discreta, ma quando parliamo di Asia e America Latina è molto più bassa. Poi gli standard di rendicontazione non aiutano le aziende a indirizzare e a veicolare le informazioni. È un problema che esiste anche in Europa.

Nonostante la Corporate sustainability reporting directive, la direttiva sulla comunicazione societaria sulla sostenibilità approvata il 10 novembre scorso dal Parlamento europeo?

La direttiva aiuta sì le aziende a capire cosa devono pubblicare, ma i tempi di implementazione sono lunghi e comunque gli European Sustainability Reporting Standards (Esrs) dell’Efrag – l’European Financial Reporting Advisory Group, ndr – non li vedremo applicati prima dell’esercizio finanziario 2024, nel caso delle Pmi nel 2028, ma sempre in ambito quotato. Il problema delle aziende non quotate rimarrà sempre e comunque da qua al 2028. Per questo è importante il dialogo con le società partecipate: il mio lavoro consiste anche nel fare education.

E nel cosiddetto strategic activism. 

Attraverso l’azionariato attivo, la stewardship, l’engagement e il voto in assemblea per fare la differenza. Nei primi nove mesi del 2022 abbiamo partecipato a 227 assemblee, nel 72% dei casi di emittenti esteri, rispetto alle 160 dell’intero esercizio 2020/2021 quando gli emittenti erano stati soprattutto italiani. Ma se restringiamo il campo al primo semestre, quando c’è la chiusura della stragrande maggioranza degli esercizi, Eurizon ha preso parte a 207 assemblee degli azionisti di società quotate (furono 125 nel primo semestre 2021) sia italiane (29%) che sui mercati internazionali (71%), esprimendo il voto su 2891 risoluzioni. 

Per decidere cosa?

Soprattutto tematiche di governance (sono state 2.751 nel primo semestre 2022) per le quali abbiamo contribuito al successo dell’89% delle proposte. E ad eleggere 31 consiglieri di cui 16 donne, 25 sindaci effettivi di cui 9 donne, 26 sindaci supplenti di cui 12 donne. In pratica il 45% della rappresentanza femminile tra i candidati eletti.

E per quanto riguarda la E di environment e la S di social?

Abbiamo votato 70 proposte su tematiche ambientali e altrettante su tematiche sociali, contribuendo al successo rispettivamente del 29% e del 10% delle proposte.

Poco o nulla rispetto alle proposte su tematiche di governance.

A livello istituzionale, anche in Europa, il focus è sempre stato sull’ambiente: sono trent’anni che si parla di ambiente, mentre sulla parte social c’è ancora molto da fare. Come dicevo all’inizio, le tematiche sociali sono ancora poco comprese, in parte perché difficilmente misurabili, dagli azionisti. Ma sarà interessante osservare come si modificheranno queste percentuali nel prossimo futuro, anche grazie all’engagement condotto con le società emittenti. Nel primo semestre del 2022, per esempio, abbiamo condotto 339 engagement con 231 società emittenti e il 54% di questi ha riguardato tematiche Esg. 

Un paio esempi di azionariato attivo?

In Exxon Mobil abbiamo supportato Engine No.1, piccolo azionista che ha presentato una lista di minoranza. Da anni dialogavano per sensibilizzare l’azienda sulle tematiche Esg, in particolare sull’environment, e grazie anche al nostro voto sono riusciti a entrare nel board. In Sysco Corporation, operativa nell’ambito food, abbiamo votato a favore di una maggiore trasparenza e presa di coscienza riguardo al tema del packaging, in particolare dell’uso della plastica. La proposta è stata approvata con oltre il 92% di voti favorevoli.

A proposito di percentuali: quanto pesano i fondi Esg nel vostro portafoglio?

A settembre 2022, il 51% del patrimonio dei fondi Eurizon – parliamo di 103,6 miliardi di euro, pari appunto al 51% delle masse dei fondi totali, con 198 prodotti, ndr – era rappresentato da fondi articolo 8 o 9, secondo il regolamento Sfdr.

La Sustainable Finance Disclosure Regulation, il regolamento europeo sull’informativa di sostenibilità dei servizi finanziari. 

L’articolo 8 identifica i prodotti che promuovono caratteristiche ambientali e/o sociali e investono in società con buona governance, mentre l’articolo 9 i prodotti che hanno un obiettivo di investimento sostenibile e investono in società con buona governance.

Pare quasi un gioco enigmistico: scova le differenze. 

La differenza in realtà c’è: sta nell’obiettivo e nel conseguente design dei prodotti articolo 8 vs. articolo 9.  Ciò detto, il problema è che c’è stato il il disallineamento delle tempistiche dell’entrata in vigore della normativa: essendo slittata di un anno la piena entrata in vigore dell’obbligatorietà delle informative Sfdr sulle percentuali di investimenti sostenibili – obbligatorie dal 1° gennaio 2023, ndr – tutti pensavano che sarebbe slittata anche la Mifid II, che impone ai gestori di testare le preferenze di sostenibilità degli investitori tenendone conto nella loro consulenza sui prodotti. E invece no: è entrata in vigore ad agosto. Un inciampo del sistema.

Un mondo alla rovescia: come si possono valutare le preferenze di sostenibilità senza le informative Sfdr?

È stato un anno e mezzo di sviluppo intenso.

Vi è capitato di dover riclassificare alcuni fondi?

No, perché da subito in Eurizon abbiamo adottato un approccio prudenziale nella classificazione Sfdr. 

D’altra parte, con 379 miliardi di euro in gestione (al 30 settembre 2022), avete una bella responsabilità.

La nostra è sempre una logica di medio-lungo termine, con una gestione oculata, allineata, responsabile. Il concetto stesso di responsabilità sta mutando: se c’è un tema che diventerà caldo per il 2023 sarà quello della supply chain: non sarà più sufficiente che una società dimostri che il proprio è un perimetro di azione virtuosa, ma subentrerà il tema della responsabilità allargata.