La transizione, di qualunque natura sia, parte sempre da una visione. Anche quella digitale che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è solo una questione di evoluzione tecnologica. Anzi. Prendiamo il metaverso: «Sono trent’anni che se ne parla e ancora non ha avuto successo. Perché, come tutte le cose, non conta solo l’aspetto tecnologico che va a maturazione, ma l’aspetto culturale e l’accettazione di qualcosa che non è naturale». Eugenio Maria Bonomi da dicembre 2021 è amministratore delegato per l’Italia di Dxc Technology, nata nel 2017 dalla fusione fra Computer Sciences Corporation e Hewlett Packard Enterprise Services e oggi fra i principali fornitori di servizi IT al mondo, con oltre 130mila dipendenti e 16,2 miliardi di dollari di fatturato a livello globale. In Dxc Bonomi ha portato in dote il background acquisito in trent’anni di ruoli manageriali nel mondo della consulenza e la sua impostazione da ingegnere meccanico di formazione – «è una sorta di piattaforma che mi permette di essere sempre in grado di ragionare su ogni cosa unendo la creatività con una base strutturata», dice – e, soprattutto, una visione: «Viviamo in un mondo popolato da 8 miliardi di persone, che non cresce in maniera omogenea. Ed è da quando eravamo solo in due miliardi che parliamo di crescita. Anzi: per crescere bastava continuare a investire su quello che si conosceva. Ma oggi ci sono forme di crescita completamente nuove e tecnologie che possono farci superare i limiti. Il metaverso è un contesto, una possibilità di giocare, ovviamente con una profonda capacità di sfruttare la tecnologia, in un mondo che ammetto possa essere molto technology driven e nel tempo vedendo come questa invenzione si andrà a sviluppare».

In Italia, che come altri Paesi si trova ad affrontare gli effetti della pandemia, Dxc mira a contribuire ad accelerare il processo di digitalizzazione di aziende e pubblica amministrazione – tra i suoi clienti figurano quasi tutti i ministeri, oltre a diverse industrie del mondo dell’energia, della finanza e del manufacturing, in particolare automotive -, all’interno di un mercato che offre, appunto, ampi margini di crescita. E il metaverso costituisce un elemento fondamentale nella strategia presente e futura di Dxc Technology. Tanto che ha già sviluppato il proprio “Virtual World” che permette ai suoi dipendenti di collaborare tra loro, incontrare clienti e partner, in un’ottica di dematerializzazione degli uffici tradizionali, «con tutto ciò che ne consegue in termini di riduzione dei costi e dell’impatto ambientale», sottolinea Bonomi. Ma la sua visione va oltre e, da poeta qual è, la declina in cinque strofe, ciascuna delle quali inizia con la medesima sillaba: “co”. «Collaboration, innazitutto», declama l’amministratore delegato per l’Italia di Dxc Technology: «il metaverso permette di gestire il workplace in maniera moderna con la capacità di far collabroare internamente le diverse funzioni aziendali, ma anche esternamente verso il mercato con collaborazioni sistemiche. Noi utilizziamo la piattaforma Virbela – il primo metaverso per le imprese, nato specificamente per risolvere le sfide della collaborazione a distanza, ndr – e nel momento in cui tutti ci trasformiamo in avatar non ci percepiamo più come boss o impiegati: siamo tutti uguali e, lasciando da parte le impostazioni gerarchiche, ci sblocchiamo, valorizzando le nuove leve in una nuova logica bottom up».
Poi c’è la connection: «le piattaforme sul metaverso permettono di organizzare eventi in scala, andando ben oltre alle dimensioni tipiche e riuscendo in uno stesso momento a connettere mondo reale, mondo virtuale e realtà aumentata». La conferenza virtuale del 2022 per i sales in Europa, Medio Oriente e Africa, per esempioa, ha visto oltre 1.300 partecipanti. L’evento, durato 2 giorni, ha permesso lo svolgimento di presentazioni dei leader del settore e la creazione sala virtuale con più di 50 espositori, tra cui alcuni dei partner globali di Dxc. «Queste tecnologie hanno reso possibile giocare in un universo di dimensioni ulteriori, legate a diversi ambiti di bisogno del mercato.
Un boost importante: dopo l’invenzione della consumerization, con un mercato che si autoclusterizza in un mondo b2b2c, la tecnologia può accorciare i percorsi persino con logiche white label grazie al codesign – un’altra “co” – perché il metaverso permette di condividere aspetti complementari di alcuni prodotti in un percorso, appunto, di consumerizzazione end to end».
Secondo Dxc, nel 2024 il Metaverso potrà raggiungere un valore di 800 miliardi di dollari, motivo per cui molti brand di diversi settori, che ne hanno già compreso le potenzialità, hanno scelto di investire e avviare sperimentazioni concrete, cogliendone da subito i benefici, in termini professionali ma anche personali. La sinergia tra realtà virtuale e reale oggi è in grado di raggiungere audience ampie e diversificate, ingaggiandole in modo unico e di grande impatto.
Per questo Eugenio Maria Bonomi aggiunge altre due “co” fondamentali: «il metaverso è un laboratorio di coeducazione e di condivisione delle skill digitali: ci devi andare per non essere escluso e devi autoeducarti, come persona e come aziende, per fare onboarding e recruiting utilizzando piattaforme sul metaverso per accelerare in parallelo tutta una serie di processi che altrimenti andrebbero con workflow seriali, che sarebbero più lunghi».
Vero è che nello scenario post-pandemico aziende e istituzioni hanno dovuto ripensare i modelli organizzativi accelerando la dematerializzazione e la digitalizzazione, così come il remote working, per migliorare la capacità di rispondere alle nuove esigenze di clienti e comunità. E il metaverso può favorire la crescita delle aziende e delle organizzazioni attraverso il confronto, la condivisione e la nascita di nuove opportunità, con benefici per utenti, clienti, partner e dipendenti. Ma c’è ancora molto da fare sul fronte culturale, legislativo e operativo prima che se ne possano cogliere appieno le potenzialità e questa “nuova tecnologia” possa affermarsi quale leva per lo sviluppo e l’innovazione. «La moltiplicazione di tutte queste “co” fa un “co” esponenziale, non un “co” additivo. È una metafora di business importante: il mondo oggi o diventa moltiplicativo o non ce la può fare. La sola addizione delle cose non basta. L’ultimo “co” è quello della parola coraggio», conclude Eugenio Maria Bonomi. «Perché fino alla crisi innescata dal fallimento di Lehman Brothers, nel 2008, il mondo cresceva e anche essere un first follower poteva essere una modalità. Ma oggi, al gioco globale del business, bisogna avere il coraggio di lanciarsi in situazioni che potrebbero sembrare nuove e diverse. Bisogna essere veloci, bisogna essere fast movers».