di Gaetano Stella, Presidente di Confprofessioni
Stabilità, crescita e prudenza. Il Documento di economia e finanza per il 2023 (Def), approvato lo scorso 11 aprile dal Consiglio dei ministri, ci offre una visione di fondo della politica economica del Governo Meloni per i prossimi anni, improntata sull’equilibrio dei conti pubblici e sulle riforme di sistema che impattano sulle attività economiche: dalla semplificazione della P.A. alla delega fiscale, dalle politiche di sostegno ai salari al riordino del sistema degli incentivi alle imprese.
Tuttavia, il Governo non ha grandi margini di manovra e la programmazione della politica economica contenuta nel Def – che incorpora numerosi provvedimenti collegati alla manovra di bilancio – dovrebbe portare a una crescita del Pil allo 1% nel 2023 e all’1,4% il prossimo anno. Si tratta di una stima prudenziale che, seppur al rialzo rispetto alle previsioni di novembre, limita le risorse mobilitate per gli interventi pubblici nell’economia e per le politiche a sostegno delle attività economiche e, in particolare, del settore delle libere professioni. Siamo ancora lontani da una visione strategica tesa a creare le condizioni di un mercato dei servizi professionali più evoluto e competitivo (dai processi di aggregazione tra professionisti alla digitalizzazione degli studi professionali), ma non mancano importanti aperture del Governo, anche nel Def.
Flat tax incrementale e legge sull’equo compenso, i primi provvedimenti del Governo Meloni cuciti su misura del lavoro autonomo, rappresentano senza dubbio un cambio di passo nelle politiche dell’esecutivo per sostenere la crescita del settore professionale. E proprio in questo solco, il Def appare come un cantiere aperto per intensificare ulteriormente i rapporti di cooperazione tra amministrazione centrale e professionisti. Il capitolo dedicato alle misure fiscali ne è un chiaro esempio.
La previsione di garantire la neutralità fiscale delle operazioni di aggregazione e riorganizzazione degli studi professionali, comprese quelle riguardanti il passaggio da associazioni professionali a società tra professionisti, rappresenta una delle proposte cardine della strategia di rafforzamento della competitività degli studi professionali di Confprofessioni, fatta propria dal Governo. Allo stesso modo, l’obiettivo di applicare un’imposta sostitutiva agevolata sui redditi di natura finanziaria delle Casse di previdenza dei liberi professionisti mira a correggere il meccanismo di doppia imposizione sui rendimenti realizzati dalle casse, invocato da anni a gran voce da tutte le professioni. E infine anche la previsione di ridurre le ritenute operate sui compensi degli esercenti arti e professioni che si avvalgono di dipendenti e collaboratori tende ad alleggerire gli oneri fiscali proprio a carico dei professionisti che creano occupazione.
Sul fronte delle politiche del lavoro, la scelta del Governo per sostenere la crescita dei salari si concentra essenzialmente sul taglio del cuneo fiscale e contributivo: misura che assorbe la maggior parte delle risorse aggiuntive e che saranno finanziate attraverso l’emissione di debito pubblico (circa 3 miliardi di euro). Una scelta condivisibile, soprattutto alla luce delle spinte inflazionistiche che erodono il potere di acquisto delle famiglie, ma fortemente sbilanciata a vantaggio dei soli salari a scapito del costo del lavoro sostenuto da imprese e professionisti datori di lavoro.
Lungo questo crinale si muove una delle proposte più innovative avanzate da Confprofessioni (nell’audizione sulla manovra di bilancio prima e più recentemente in quella sul Def), che fa leva sulla detassazione e decontribuzione degli aumenti salariali concordati tra le parti sociali in occasione dei rinnovi contrattuali. Si tratta di un intervento che, attraverso il sostegno dalla finanza pubblica, punta ad adeguare i redditi dei lavoratori dipendenti rispetto all’andamento dell’inflazione, tenendo però in considerazione anche le condizioni di straordinaria pressione ed incertezza in cui versano i datori di lavoro.