C’è chi parla di «accentramento». Chi di «spoils system». Chi di un “passaggio di consegne” dal Mef a Palazzo Chigi. Chi, ancora più duro, sostiene che è un attacco vero e proprio alla birokracija a cui il precedente premier Mario Draghi aveva lasciato in mano il Pnrr, un bazooka finanziario da 209 miliardi di euro, tra contributi a fondo perduto (meno) e prestiti da restituire (di più), che – nelle intenzioni – dovrebbe rivoltare l’Italia come un calzino.
E la premier Giorgia Meloni – la quale sa bene che sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, agli occhi dell’Europa ma soprattutto degli italiani, si gioca la credibilità sua e del governo che presiede – le carte le vuole dare in prima persona. Partendo dalla sua destra, cioè dal suo fedelissimo, il ministro per gli Affari Europei e le Politiche di Coesione, Raffaele Fitto, che da adesso sarà ufficialmente il vero “capocantiere” nell’attuazione del Pnrr.
La ratio del “decreto Pnrr”, che è in procinto di atterrare sul tavolo dei Consigli dei Ministri giovedì e che sembra destinato a lasciare il segno, ce li spiega Luciano Monti, docente universitario di Politiche dell’Unione Europa alla Luiss ed esperto autorevole di Pnrr e politiche sociali, tanto da fare parte del Comitato per la valutazione dell’impatto generazionale delle politiche pubbliche proprio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Prof. Monti, questo “decreto PNRR” che arriva in CdM è davvero necessario?
Sin dall’inizio di questa avventura è apparso chiaro come l’anno cruciale per la messa a terra del PNRR, e dunque la prova della sua efficacia, sarebbe stato il 2023. Quest’anno si aprono i principali cantieri e bisogna raggiungere 53 target. Mentre l’anno scorso la maggioranza dei nostri obiettivi erano milestones, dunque leggi o provvedimenti da adottare mentre i target erano solo 17.
Un provvedimento per affrontare meglio questa sfida – ricordiamo che è il primo in quest’ambito del governo Meloni – dunque non solo è opportuno ma assolutamente necessario, alla luce di alcuni vizi evidenti di progettazione dell’intero piano strategico.
Ci dica qual è il più grave.
Uno su tutti? Sicuramente immaginare un ruolo chiave degli enti territoriali senza dotare questi ultimi delle risorse umane e finanziarie necessarie per attuare le iniziative affidate.
Perché finora non ha funzionato la governance? Mancava la struttura di missione? O il problema è stato la segreteria tecnica del precedente governo?
Questo è il secondo grande vizio di progettazione del PNRR, che si basa su una forte regia del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Quest’ultimo può contare su un apparato di esperti funzionari ma non poteva e non può assicurare quel ruolo di coordinamento che invece spetta alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Le stesse valutazioni ex ante curate dal MEF sembrano formulate sulla base di modelli di sviluppo che non tengono conto del contesto in cui vanno applicati.
Faccia un altro esempio.
Ne faccio uno che mi è particolarmente caro. La valutazione dell’impatto sui giovani del PNRR si è basata su una analisi dei principali mercati del lavoro che li vede coinvolti e delle relative prospettive di ripresa, ignorando l’impatto asimmetrico della pandemia, prima e della crisi energetica poi. I giovani sono i primi a perdere il lavoro e gli ultimi a riconquistarlo
Ok. Il governo parla di “ottimizzazione”. I critici di “spoils system” e “accentramento”. La verità dove sta?
Riduzione dei tempi di reazione della Pubblica Amministrazione, riduzione dei vincoli amministrativi e snellimento delle procedure, peraltro estese anche ai fondi per la politica di coesione, sono sicuramente previsti per ottimizzare l’attuazione degli investimenti del PNRR, come detto chiamati alla prova dei fatti proprio ora. Per cui concordo sulla volontà di ottimizzare. In tema di spoils system credo si debba ragionare per ciascun caso specifico.
Ovvero?
Se è stato sbagliato volere “cristallizzare” tutto l’apparato per l’intero periodo di attuazione del Piano, sarebbe altrettanto sbagliato immaginare di sostituirlo in toto per fare spazio ad esperti “di fiducia” del nuovo governo. Il tema deve essere e rimanere la competenza e l’adeguatezza a coprire ruoli molto delicati in questo frangente.
Da domani più libertà di manovra ai ministeri vorrà dire più rapidità di esecuzione?
Non necessariamente. Spostare competenze tra periferia e centro o viceversa non è risolutivo. Qui il problema è e rimane un altro ed è un ulteriore vizio di progettazione: la macchina amministrativa italiana, nelle sue varie declinazioni per numero di risorse, età media dei funzionari e loro competenze, non è in grado di gestire efficacemente in un solo anno oltre 100 miliardi di euro tra risorse PNRR e del Fondo di Sviluppo e Coesione da spendere, Fondi Strutturali della vecchia programmazione 2014-2020 da rendicontare.
E cosa bisognerebbe fare allora?
Le scelte a mio avviso sono tre: la prima è sospendere l’attuazione dei nuovi programmi operativi nazionali, i PON 2021-2027, in capo agli stessi ministeri titolari di missioni PNRR, per alleggerire il carico di lavoro in questo periodo ed evitare l’ingorgo di risorse e progetti da realizzare. La seconda è prevedere subito formule di coinvolgimento dei privati nell’attuazione delle iniziative territoriali, utilizzando lo strumento PPP in coordinamento con l’allentamento degli aiuti di Stato. La terza è potenziare, dove ancora possibile, gli automatismi, crediti di imposta in primis.
Propositi interessanti ma per il futuro. E allo stato? A che stadio si trova l’attuazione del PNRR? Possiamo fare il punto?
La vera e propria attuazione del PNRR parte ora e certamente l’aver conseguito tutte le milestones ha assicurato il giusto contesto normativo. Prematuro quindi fare il punto. Se si riesce tuttavia a rimediare ai vizi di progettazione sopra evidenziati non creandone altri, le prospettive di raggiungere quantomeno i target più significativi ci sono. Il nemici principali sono da un lato le resistenze al cambiamento della PA e il vizio politico di cercare sempre e comunque un capro espiatorio.
Serve un cambio di paradigma, dove al centro vi sia la ripresa e la resilienza del paese, e non il successo o l’insuccesso di una forza politica chiamata a promuoverlo prima e ad attuarlo ora. Il tempo è stato tiranno sia per il Governo Draghi, chiamato a dare unità ad una frettolosa raccolta di progetti talvolta impolverati così come per il Governo Meloni, chiamato a spingere sull’acceleratore a pochi mesi dall’insediamento.