“Prima pagina, venti notizie ventuno ingiustizie e lo Stato che fa? Si costerna, s’indigna, s’impegna
Poi getta la spugna con gran dignità”: era il 1990 e Fabrizio De Andrè, in questa celeberrima ballata, fotografava la prassi italiana, consolidatasi dagli Anni Settanta. Lo Stato finge di metterci la faccia – come la premier Meloni e il Guardasigilli Nordio hanno detto ieri di aver fatto commentando il “decreto Caivano” – ma sui grandi problemi sociali, dalla corruzione alla criminalità, alla fine restano sempre e soltanto le chiacchiere e il distintivo, per citare l’offesa di Al Capone agli investigatori federali in “Gli intoccabili”, mentre gli illeciti proseguono indisturbati.
Il “decreto Caivano” approvato ieri dal governo può essere iscritto quindi nella stessa categoria dell’indignazione di facciata che delegittima da così tanto tempo l’azione dello Stato?
Dipende: si vedrà da oggi. E l’analisi la si potrebbe chiudere qui, senza accenti ottimistici né pessimistici.
Previsioni scettiche
Se invece si volesse azzardare una previsione, sarebbe obbligatoria la più scettica.
Qui non si tratta di “misurare la pressione” alle intenzioni di Giorgia Meloni e di Carlo Nordio. Diamole per buone: lo sono senz’altro. Non si tratta di ricordare quanta brava gente sia pronta a denunciare, quanti bravi poliziotti e carabinieri impegnati sappiano ancora mobilitarsi anche rischiando la pelle: tutto vero, queste persone ci sono. Ma lo Stato è un insieme di prassi, un insieme di infrastrutture fisiche e mentali, un insieme di abitudini sbagliate e diffuse capillarmente, che condizionano se non determinano i comportamenti collettivi, e sanarne l’effetto inibitore divenuto ormai permanente è difficilissimo.
Prescrivere pene per i genitori che non impongono ai loro figli minorenni di frequentare la scuola dell’obbligo implicherebbe anche – ad esempio – tutelare presidi e insegnanti dalle aggressioni fisiche di altri genitori indignati per una bocciatura o per un brutto voto assegnato ai loro figli: stortura inammissibile che accade, impunita, ad ogni scrutinio.
Prevedere – nel caso dei minori colpevoli di condotte molto gravi, ma anche in altri casi – pene detentive più severe implicherebbe aver prima sanato quell’infamia mondiale che è la situazione carceraria in Italia. Negli Stati Uniti, la sedicente nazione guida dell’Occidente civilizzato, la popolazione carceraria è il doppio, in termini percentuali sul totale, che in Italia (il che collima con l’abnorme diffusione di armi private da fuoco, più facili da comprare e detenere di una bottiglietta di birra) e anche negli Usa le carceri sono degli orrori. Ma per lo meno lì lo spazio vitale per detenuto è superiore ai 3 metri quadrati minimi previsti in Italia. Un tema sul quale – che abisso di stolido formalismo! – hanno recentemente dovuto pronunciarsi le Sezioni Unite della Cassazione per stabilire che questo spazio minimo va calcolato senza includere la superfice del letto!
Ecco, anche questa è l’Italia, non solo gli agenti che si sacrificano e le brave dirigenti ferroviarie che si sgolano intimando a un incosciente di non mandare al macello gli operai a lui affidati. L’Italia è anche un posto dove qualcuno ha avuto il coraggio di scrivere che lo “spazio vitale” in cella può includere il letto, come se il detenuto potesse camminare sul letto. Non vorreste anche voi guardare negli occhi il maledetto funzionario che ha teorizzato o applicato una simile bestialità difendendola fino in Cassazione? Guardarlo negli occhi e coprirlo di insulti? Ma quando un Paese è così malridotto da lasciare le carceri nell’infamia strutturale in cui versano e difendere quell’infamia fino alla Cassazione, con quale faccia sbatterà in cella il killer sedicenne del musicista di Napoli: certo che dovrebbe recluderlo, ma in un luogo civile. E invece le “carceri d’oro” della canzone di De Andrè sono un caso di corruzione degli Anni Ottanta mai superato. Investimenti sulle strutture carcerarie finiti nelle tasche di cricche politiche e criminali.
E dunque: la destra di governo all’opera in Italia nello sciagurato ventennio berlusconiano non ha prodotto sul fronte dell’ordine pubblico il benchè minimo progresso, tantomeno sui valori che dovrebbero fondarne il concetto e il dispiegamento operativo.
Legge e ordine sono rimaste – presso gran parte dell’opinione pubblica – due parole “fasciste”, come le volle classificare l’intellighenzia di sinistra culturalmente egemone dagli Anni Sessanta, e la prassi che ne è conseguita è stata lo sbraco.
Contemporaneamente, né destra (ovvio) né sinistra (vergognoso) hanno mai attuato sul serio nessuno degli interventi sociali di prevenzione, solidarietà e supporto alle fasce deboli, (deboli sia culturalmente che economicamente) della popolazione, che sono le più esposte alle lusinghe dei reclutatori criminali.
Quindi abbiamo un Paese dove le famiglie più indifese e sprovvedute hanno il diritto di credere che il futuro ideale dei figli sia fare il tronista o la velina, magari nella loro declinazione internettara di youtuber o influencer più o meno smutandati; un Paese dove i ragazzi pensano che sia più giusto intascarsi il reddito di cittadinanza che fare il cameriere in un ristorante che ti chiede di lavorare il sabato sera; un paese in cui, pur di rintuzzare l’imprudenza verbale di un improvvido giornalista televisivo fidanzato con la premier, i buonisti politicamente corretti affermano il principio che sia un comportamento da non biasimare l’ubriacarsi in discoteca; in cui i tutori dell’ordine vivono in una permamente presunzione di colpevolezza che li vede alla sbarra non appena strattonano un riottoso all’identificazione, perché subito spunta un video che inchioda il malcapitato agente nel ruolo del picchiatore efferato mentre sta semplicemente difendendosi dal rischio di essere magari ferito con una siringa; e soprattutto un Paese dove quando miracolosamente il criminale viene beccato e incarcerato, può contare su una macchina giudiziaria di emblematica e proverbiale inefficienza, che – quando non incrimina e incarcera innocenti senza prove, come nei mille cervellotici casi all’onore della cronaca – lascia scadere i termini, elargisce permessi premio, semplicemente si estrania e si distrae: o perché a sua volta sotto organico (come la Procura di Ivrea, la seconda del Piemonte, che dovrebbe indagare su Brandizzo con 2000 fascicoli per ogni Pm e 8 agenti di polizia giudiziaria contro i 20 previsti); o perché avvantaggiata complice della cultura dello sbraco e della strafottenza, che alligna sotto l’infamia dell’automatismo delle carriere giudiziarie e della politicizzazione delle valutazioni deontologiche.
Insomma: in sé, le regole del nuovo decreto potrebbero anche essere utili. Ma nella nostra storia, scrivere leggi giuste e disapplicarle è normale da sempre, anche ben prima dell’era berlusconiana o del pentapartito. Lo scriveva Dante Alighieri 750 anni fa: “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”.
La Meloni ha condiviso le gravi responsabilità del malgoverno berlusconiano. Ma in misura marginale. Oggi è sola al comando, anzi male accompagnata. E’ giusto riconoscerle ancora un briciolo di credito, ma giusto un briciolo. Ed ecco perché il pessimismo, se proprio vogliamo applicare previsioni a questi temi, è più giustificato dell’ottimismo.
P.S.: perché l’informazione economica deve occuparsi anche di questi temi: ordine pubblico e amministrazione della giustizia? Perché sono “fattori abilitanti” dello sviluppo economico, al pari della connettività web (che in Italia fa pena), dell’efficienza burocratica (che in Italia fa pena) e della pressione fiscale (che in Italia è scandalosa). Avere leggi anticrimine severe, applicate ed efficaci sarebbe salutare per il nostro mondo degli affari, per la produzione, per il benessere collettivo. Invece quando sono severe, sono disapplicate e quando sono applicate si rivelano burlette.