I mercati israeliani aperti la domenica hanno risentito dello choc dell’attacco di Hamas ed hanno perso sette punti percentuali circa. Ma l’attenzione del mondo del business, che tanto per cambiare non guarda alle centinaia di vittime innocenti ma solo all’interesse, è tutta rivolta alle aperture delle Borse occidentali e soprattutto alla comprensione delle dinamiche diplomatiche (per modo di dire) che possono celarsi dietro quest’attacco che appare disperato come sempre – non c’è confronto tra le forze di Hamas e quelle che Israele dovrebbe essere in grado di dispiegare sin dalle prossime poche ore, superato l’effetto-sorpresa – ma che sulle prime ha inferto colpi durissimi al Paese aggredito.

Appare chiaro che dietro Hamas agisca l’Iran, il cui regime ha del resto giurato di voler perseguire sino al successo la distruzione dello Stato d’Israele. Ma l’Arabia Saudita, che posizione avrà, dopo aver tentato – almeno a chiacchiere – la mediazione tra Gerusalemme e Gaza? E gli Emirati? E l’Egitto?

In assoluto quello sferrato da Hamas è un attacco terroristico e nessuno stato potrà legittimarlo come atto di guerra convenzionale, tantomeno difensiva. Però è anche vero che l’Israele di Netanyauh è odiato da quasi tutto il mondo arabo ed è considerato un interlocutore impossibile per qualsiasi negoziato di pace. Cosa faranno i Paesi arabi produttori di petrolio? Sosterranno Hamas, per non lasciare il patronage al solo Iran? O si dissocieranno? E se lo sostenessero, sarebbero pronti a farlo anche con l’arma dell’energia che già usarono nel ’73 contro l’Occidente, nel tentativo vano di appoggiare l’attacco dello Yom Kippur?

Va anche capito quale atteggiamento intenda assumere la Russia di Putin verso Gerusalemme: da una parte, il buon rapporto tra Netanyauh e Putin, conservato anche dopo la guerra, deporrebbe a favore di un sostegno russo. Dall’altra gli amici dei nemici di Putin – dunque gli israeliani, che sono da sempre una sorta di colonia-colonizzatrice degli Stati Uniti, o almeno un Paese alleato che esprime negli Usa un’enorme influenza su politica ed economia, potrebbero anche risultare indigesti allo zar.

Di sicuro, si conferma la triste diagnosi che Papa Francesco dettò qualche anno fa: è in atto una terza guerra mondiale a capitoli. Che fine potrà mai avere un libro così brutto? Se la situazione non è degenerata in un conflitto davvero globale ma continua a incendiarsi per focolai distanti è soltanto grazie al deterrente  nucleare. Ma quanto potrà ancora durare così?

 

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Sergio Luciano, direttore di Economy e di Investire, è nato a Napoli nel 1960. Laureato in lettere, è giornalista professionista dal 1983. Dopo esperienze in Radiocor, Avvenire e Giorno è stato redattore capo dell’economia a La Stampa e a Repubblica ed ha guidato la sezione Finanza & Mercati del Sole 24 Ore. Ha fondato e diretto inoltre il quotidiano on-line ilnuovo.it, ha diretto Telelombardia e, dal 2006 al 2009, l’edizione settimanale di Economy. E' stato direttore relazioni esterne in Fastweb ed Unipol. Insegna al master in comunicazione d’impresa dell’Università Cattolica e collabora al Sussidiario.net.