lanciati nel 2003 da sugar music (ph. Pietro Pappalardo)

Per i più âgée si tratta di Ennio Morricone, Nino Rota, Fred Buscaglione, Armando Trovaioli. Per i boomer sono Umberto Tozzi, Lucio Battisti, Paolo Conte. O Andrea Bocelli, Raf e i Negramaro per i millennials. E Malika Ayane, Raphael Gualazzi e Motta per la generazione Z. Quali che siano i vostri riferimenti musicali, una cosa è certa: è molto, molto probabile che figurino nel vasto, vastissimo catalogo di autori, artisti e compositori del gruppo indipendente italiano Sugar. Che si pronuncia sciùgar, come se fosse inglese, ma è ungherese. È il cognome di quel Ladislao Sugar, che nel 1932 fondò a Milano la sua prima attività editoriale nel settore musicale, Melodi, per poi, negli anni Cinquanta, fagocitare progressivamente la Compagnia Generale del Disco di Teddy Reno. Erano gli anni in cui sotto l’ala della casa discografica cantavano Adriano Celentano, Johnny Dorelli, Gigliola Cinquetti, Massimo Ranieri e Caterina Caselli, che infuocava il pubblico con il suo inno beat “Nessuno mi può giudicare”. Nel 1970 sposò Piero Sugar, il figlio di Ladislao, per poi mollare la carriera artistica e dedicarsi a dare forma ai talenti degli altri. Cinquant’anni dopo, la musica è cambiata. Ma non l’impronta familiare dell’azienda, dal 1997 guidata da Filippo Sugar. «È difficile trovare un nome che non abbiamo», dice.

Alla guida dell’etichetta c’è un “figlio di”: Filippo Sugar, nipote del fondatore Ladislao e figlio di Caterina Caselli

Quanto è difficile essere “figlio di”?

Si devono fare i conti con aspettative e pressioni, ma in realtà per me non è stato difficile. Se sei il capo devi essere il primo ad arrivare e l’ultimo ad andare via. Ma non ho mai avuto il problema di sentirmi legittimato. Il primo ad arrivare anche sulle tendenze. Il mondo della musica negli ultimi trent’anni ha vissuto ben più di una rivoluzione. Io ho iniziato a lavorare a 21 anni, dopo la laurea breve a Bruxelles – in Relazioni internazionali, ndr – e la prima grande innovazione fu il fax, che ha consentito di emergere ad alcuni distributori, tagliando il tema degli agenti.

Poi dalla cassetta si è passati al cd e infine al file, alla musica liquida.

Quando iniziai, una parte importante del business era legato al commercio, con le Messaggerie Musicali, all’attività discografica e a quella editoriale. A un certo punto ho capito che inevitabilmente la parte distributiva sarebbe stata un problema, perché il prodotto sarebbe diventato progressivamente da fisico a digitale. Così ho venduto alla Divisione Librerie di Arnoldo Mondadori Editore le Messaggerie Musicali, mantenendo però la proprietà dei siti e del marchio storico. Insomma, ho seguito le orme di mio nonno, che prima aveva la fabbrica e la tipografia poi la vendette, e di mio padre, che nell’89 cedette a Warner Music la Cgd ma conservò l’intero catalogo editoriale e i due grandi negozi nel centro di Milano che erano stati i caposaldi dell’attività commerciale delle Messaggerie Musicali. Oggi il nostro focus è proprio il contenuto musicale, non più la commercializzazione.

Anche perché, diciamolo, la musica oggi è (quasi) gratis.

Beh, per un po’ c’è stato un grande inganno: quello che la musica dovesse essere gratis, appunto. Oggi la cultura è cambiata anche grazie al lavoro fatto dagli operatori del settore e dagli artisti che si sono esposti. Sono nate anche tecnologie che in maniera molto efficiente consentono di fruire della musica a prezzi contenuti. Bisognava trovare un equilibrio. Non è stato facile perché le istituzioni non comprendevano il nostro lavoro e confondevano chi faceva i dischi con chi faceva i concerti.

Oggi Sugar è un’azienda b2b: dal 1° luglio 2020 a distribuire la musica che ha in catalogo è Universal Music Group

E oggi?

Direi che la musica, rispetto a tutti gli altri settori che vivono di creazione di contenuti, è tra le prime ad aver convertito il suo business. L’editoria è indietro. La musica si è ripresa per prima per una questione di target: i giovani si adattano velocemente. Lo streaming è in continua crescita, il supporto fisico scenderà ancora, ma rimarrà il vinile, che ha un fascino sia a livello grafico che di ascolto.

Quindi chi si occupa di vendere la musica che producete?

Ci affidiamo a dei partner, oggi siamo un’azienda b2b. Dal 1° luglio di quest’anno, grazie all’accordo triennale siglato con Universal Music Group, una delle più importanti etichette musicali a livello globale, tutte le produzioni discografiche di Sugar saranno distribuite in tutto il mondo. Oltre alla distribuzione dell’intero repertorio Sugarmusic, l’accordo prevede anche il rilancio dell’intero repertorio di colonne sonore anche di Cam, che abbiamo acquisito nel 2011.

Parliamo delle musiche che animano capolavori del cinema come La Dolce Vita, Otto e Mezzo e Amarcord di Federico Fellini, Il Gattopardo di Luchino Visconti, Il Postino di Massimo Troisi, Anonimo Veneziano di Enrico Maria Salerno…

E molti altri. Ma non solo: l’accordo con Universale prevede la collaborazione per sviluppare progettualità innovative in ambito musicale, anche e soprattutto nel settore audiovisivo, che il gruppo Sugar presidia con Sugar Play, la unit che abbiamo costituito lo scorso anno per sviluppare e co-produrre format innovativi di storytelling che partano dalla musica. Il nostro scopo è di realizzare storie partendo dal mondo della musica: siamo convinti che la musica sia anche un grande contenitore di storie. 

Del tipo?

Il primo progetto che abbiamo avviato è un documentario sulla vita di mia mamma, Caterina Caselli. E poi stiamo acquisendo i diritti su storie legate al mondo della musica, intercettando la domanda di docufilm e miniserie. E poi l’artigianalità è la nostra cifra: siamo quel tipo di boutique che realizza un valoro su misura, anche per quelle aziende che vogliono fare qualcosa con la musica. Per esempio con Barilla abbiamo creato “One Night in Central Park”, il concerto più straordinario della carriera di Andrea Bocelli. E per Eni abbiamo fatto interpretare da Raphael Gualazzi “Don’t Stop”, il celebre brano dei Fleetwood Mac. Possiamo fornire alle aziende un sostegno anche per progetti complessi o per attività di rebranding attraverso contenuti tailor made o dei nostri artisti.

Quindi il product placement esiste anche in ambito musicale.

Eccome. Specialmente nei video. Ma bisogna farlo bene, ci vuole attenzione. Per esempio, abbiamo fatto diverse cose con Fiat, siamo un interlocutore ideale anche per operazioni innovative e più sofisticate della semplice sponsorizzazione del concerto. Così nel cinema: abbiamo un rapporto speciale, diretto, con  i registi, possiamo costruire la colonna sonora degli eventi, o rendere disponibili i nostri contenuti per la comunicazione digitale delle aziende, anche sui social. Questa artigianalità è la nostra cifra.

E lo scouting dei nuovi talenti lo fate ancora?

Eccome. Oggi l’etichetta conta 23 progetti discografici attivi, compresi promettenti talenti italiani emergenti, tra cui Madame e Speranza per il mondo urban, l’australiano Michael Leonardi, il cantautore indie Lucio Corsi, i giovani pop- urban Sissi e Nyv, il trio elettronico Fuera e l’arpista di musica elettronica Kety Fusco.

E come li scovate? Subite l’assalto alla diligenza o li cercate voi?

Non dormiamo. Letteralmente. Scandagliamo per ore e ore Spotify, Youtube, andiamo ai concerti. C’è un’esplosione di nuova creatività e di generi musicali legati alle nuove tecnologie. Abbiamo aperto a nuovi generi musicali, che vogliamo seguire col nostro modo di lavorare: investendo sugli artisti a lungo termine e creando valore.

Conta più lo scouting o l’autocandidatura?

Indubbiamente lo scouting. Facciamo un’audizione, alla quale siamo sempre presenti io o mia mamma, per valutare l’artista dal vivo. Se è già maturo coi suoi brani prepariamo il lancio sul mercato, ma se, come spesso accade, a livello di scrittura deve crescere organizziamo una serie di sessioni con altri produttori e musicisti per accompagnarlo nella crescita.

Potete permettervelo?

Essendo un’azienda familiare, siamo una realtà unica, completamente indipendente, senza partner finanziari. Siamo completamente autofinanziati e investiamo dove intuiamo un valore intrinseco artistico. Non avendo budget imposti dall’alto, se crediamo in un artista ci investiamo per due o tre anni, sostenendolo finché con il suo lavoro non incontra il pubblico. Non abbiamo orizzonti a breve.

Per noi è un grande privilegio essere in grado di mantenere una competizione molto dura contro aziende enormi e globali.

Venderete Sugar?

Tutti sanno che se volessimo vendere sarebbe un attimo trovare un compratore. Ma non vogliamo vendere.

I NUMERI DEL GRUPPO

Sugar Holding è la società della famiglia Sugar che controlla le diverse attività del gruppo, a cui fanno capo le attività di editoria musicale (SugarMusic); quella discografica (Sugar); le produzioni audiovisive (Sugar Play); il catalogo delle colonne sonore (Cam/Sugar).

Con un fatturato consolidato che nel 2019 si è attestato a circa 22,5 milioni di euro, 23 artisti e 42 autori in esclusiva, 80 mila opere in catalogo oltre a 2 mila colonne sonore, il gruppo Sugar ha contribuito a far crescere e definire una cultura musicale in Italia.