L’esperienza è virtuale, ma i soldi sono verissimi. Se state facendo un dribbling contro Ronaldo, un sorpasso a Hamilton alla variante Ascari di Monza o state sfidando agli alieni armati di un bazooka fotonico, sullo schermo della tv, del computer o dello smartphone, oltre ai voi eroi, c’è anche la pubblicità. E non si tratta solo dei cartelloni sparsi sui percorsi a ai lati del campo di gioco. Ma anche prodotti come scarpe, maglie, auto o qualsiasi cosa venga in mente, che entrano nel videogioco e ne diventano protagonisti facendosi conoscere. Si chiama In-Game Advertising e, a livello mondiale, è arrivato a valere qualcosa come 3,3 miliardi di dollari, grazie a una crescita complessiva dell’11,4% rispetto al 2018.
In un mondo in cui i giocatori online sono circa 1,5 miliardi e ci sono videogame come Fortnite che possono vantare 250 mila utenti registrati, la pubblicità insegue il cliente anche in questo spazio virtuale. E lo fa da anni. Nel 1973 comparve il primo Big Mac di McDonald in Lunar Lander, ma la storia del settore spiega che fu solo un omaggio del programmatore. Negli anni Ottanta cominciarono i giochi brandizzati, ma la svolta arrivò nel 1994 quando usci Fifa che ai lati del campo da calcio, per rendere più aderente alla realtà il gioco, aveva piazzato dei cartelloni pubblicitari come allo stadio. L’idea di trasformarli in dollari fu subito approvata da Electronics Arts, l’azienda che ogni anno crea la nuova versione di Fifa e che nel 2008 conquistò una notorietà mondiale grazie ai cartelloni per la campagna presidenziale di Barack Obama nel gioco di auto Burnout Paradise.
Da allora il combinato disposto tra le resistenze a pagare i giochi online da parte degli utenti, la ricerca di nuove fonti di fatturato per gli sviluppatori e la caccia di un sempre nuovo modo di comunicare il prodotto o il marchio ha portato sempre più aziende a a investire nel In-Game advertising. E allora via ai messaggi pop-up, cut-scene, pubblicità su schermo, cartelloni pubblicitari e display di sfondo venduti agli inserzionisti più o meno nello stesso modo in cui lo spazio è venduto nel mondo reale. I giochi, però, sono un mezzo interattivo e questo rende molto più facile per gli inserzionisti tenere traccia di metriche chiave come l’impegno, il targeting e i tassi di completamento, o campagne promozionali molto mirate con minori spese e un maggiore ritorno sull’investimento. Ci sono due limiti: l’affollamento e la pazienza dei giocatori. In una sola schermata di Fifa, ad esempio, è facile individuare una decina di marchi, sui cartelloni, sulle magliette, sulle scarpe da calcio. Difficile dire se il messaggio arrivi forte e chiaro al consumatore o si perda. Mentre messaggi pop-up, la pubblicità sullo schermo e le cut scene disturbano il gioco, lo rallentano, rendono fastidioso fastidioso l’intervento pubblicitario come avviene nella maggior parte dei casi sulle pagine web. Una possibile soluzione è quella di coinvolgere i giocatori offrendogli esperienze di gioco premium gratuitamente in cambio della fruizione di un video di advertising. Un’altra è cambiare completamente prospettiva inserendo il gioco questa sorta di product placement virtuale, naturalmente ha un nome in inglese, o meglio una crasi: Advergaming. Le auto virtuali che si possono guidare su Gran Turismo o su Need for Speed Heat sono un esempio, quello più semplice, ma si può andare oltre. Fortnite ha incluso Thanos, il personaggio Marvel nel videogioco come personaggio giocabile nella modalità Battle Royale. In cambio, la Marvel ha promosso Fortnite nei loro ultimi Avenger – End Game, un film che ha stabilito il record mondiale per il più veloce incasso di 2,5 miliardi di dollari. Ma il salto quantico lo ha fatto Super Mario Kart, l’idraulico della Nintendo che ha abbandonato la sue vetturette improbabili da una mezza dozzina d’anni per cominciare a guidare una Mercedes. La collaborazione non si è mai interrotta e nel 2019, persino una pubblicità televisiva della casa di Stoccarda era incentrata sul personaggio del videogioco.