Nadef 2021, Draghi:
Mario Draghi

Cosa sentirà di avere acquisito Mario Draghi, alla fine di questo primo giro di consultazioni? Quali certezze, quali sicurezze? Alla fin fine, neanche una di più di quelle che aveva quando ha risposto all’appello di Mattarella. Nessun partito vuole veramente andare a votare, tranne Fratelli d’Italia, perché nessuno è sicuro – appunto salvo la formazione della Meloni – di aumentare i suoi consensi, non ci giura più neanche la Lega che almeno al Sud farebbe molta fatica a replicare i successi di tre anni fa. E dunque tutti si aggrappano a Draghi per restare a intascare il compenso da Parlamentare, anche perché quando si tornerà al voto la legge assurda imposta dai Grillini dimezzerà il numero degli eletti.
Su questa inconfessabile ragione può contare Draghi, ma su nessun’altra. Perché poi da una parte dovrà misurarsi con quell’happening permanente caotico e inconsistente rappresentato dai Grillini, e dall’altra con le lobby che gli si scateneranno attorno sia per influenzare le 500 nomine pubbliche che attendono il governo in primavera sia soprattutto la destinazione dei 209 miliardi.
Draghi saprà destreggiarsi? E’ l’unico che ci può riuscire, con tutta l‘esperienza che ha di politica subìta e spesso vittoriosamente contrastata. Ma sarà un combattimento palmo a palmo.
Se ne è avuto l’antipasto ieri, dopo l’incontro con i Cinquestelle. Mentre gli altri partiti e partitini hanno detto tutti sì e basta – con pochissimi arzigogoli di facciata – e la Meloni ha detto no, “salvo qualche occasione sì specifico”, i grillini si sono trovati nella surreale necessità di dire sì ad un uomo che per anni è nstato da tutti loro riempito di offese e insulti diretti o indiretti, considerato il simbolo di tutto ciò che non va, deprecato e biasimato. E adesso? Lo sosterranno?
Crimi – l’unico che ha parlato, perché Grillo non l’ha fatto in pubblico – ha promesso realtà e diluito l’adesione del naufrago alla zattera che lo salva in un lago di chiacchiere tra orgoglio e rappresentazione. Comunque sì: voteranno la fiducia.
E allora viene davvero da chiedere: cari amici che votaste Cinquestelle, ma vi rendete conto di che razza di gente avete mandato in Parlamento? Ma come potete tollerare un personaggio come Grillo? Perché dovete riconoscerlo come leader? Che ha fatto per meritarlo? Che problemi ha mai gestito, risolto? Con quale coscienza e quale responsabilità entra ed esce dalla vita politica nazionale? Con quale mandato?
In questi tre anni, i Cinquestelle hanno fatto quarantamila giravolte passando con la massima naturalezza dalla Lega al Pd, due partiti che avevano peraltro in ogni modo denigrato nel corso della campagna elettorale; e millantano di aver portato al Paese soluzioni geniali che sono solo disastrose, inefficaci e inefficienti: dal reddito di cittadinanza (“Abbiamo abolito la povertà!”, ma come si può?) ai “navigator”, che sono più disoccupati degli altri, alla legge sulle manette forever, che mette gli italiani alla totale merce di una casta piena di Palamara. Come abbiamo potuto crederci, anche un solo minuto?
Certo, tra loro ci sono molte brave persone in buona fede. Ma ancor più su queste persine viene da chiedersi come faccia uno bravo e in buona fede a riconoscersi in un movimento ancora così graniticamente avvinto a Grillo? O a riconoscere come capo politico il disoccupato disorganizzato Di Maio?
Direte: gli altri partiti erano peggio. Forse effettivamente non erano meglio e non lo sono ancora: ma non è che si può provare a casaccio, come quando ci si misura un vestito al grande magazzino, la prova dura cinque anni e può avere effetti disastrosi, capaci di spianare il Paese. Sarà affare di Draghi tenere conto dei tanti elementi individuali sani dei Cinquestelle, disintermediando però una dirigenza che ha saputo soltanto declinare vuoti slogan.
 

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