A ottobre l’incremento dovuto al cuneo fiscale sarà di 100 euro. A sostenerlo è il XXII Rapporto annuale dell’Inps, presentato ieri al Parlamento dalla commissaria straordinaria dell’Istituto Micaela Gelera, che tra le altre cose ha analizzato gli effetti delle incentivazioni rivolte alle imprese, come Esonero Giovani. Per i lavoratori senza interruzioni di continuità per un anno l’ammontare medio dell’esonero arriverebbe a 123 euro. Il quadro che emerge dalla relazione dell’Inps per il mondo del lavoro è in linea di massima positivo a livello occupazionale. Il tasso di occupazione ha raggiunto il massimo storico del 61%, con un incremento significativo del lavoro privato a tempo indeterminato. Dopo il Covid non c’è stata comunque alcuna ondata licenziamenti e i beneficiari della Nasppi (l’ indennità di disoccupazione) nel 2022 sono stati anzi inferiori a quelli del 2019.
Il salario minimo non risolve il problema del lavoro povero
Ma le difficoltà per gli italiani non sono solo legate all’avere un posto di lavoro, ma anche alla retribuzione, che in media è di 1500 euro. Rimangono però ancora i problemi legati al cosiddetto lavoro povero. Secondo i dati forniti dall’istituto previdenziale il salario minimo legale aiuterebbe solo lo 0,2% dei lavoratori dipendenti italiani, ma non l’esercito di precari che sono coloro che devono confrontarsi con i problemi del lavoro povero. Nel mese di ottobre del 2022 l’Istituto ha registrato 871.800 lavoratori poveri, il 6.3% del totale. Così definiti perché hanno una retribuzione giornaliera lorda di 24,9 euro per i part-time e 48,3 euro per i full-time, «corrispondenti rispettivamente a 588 e 1.116 euro netti mensili». Queste sono le soglie, spiega Inps, «che utilizziamo per identificare i lavoratori poveri», anche perché corrispondono al 60% del reddito mediano, tradizionale standard europeo per identificare i working I salari orari bassi Ebbene degli 872 mila lavori poveri contati da Inps che tiene fuori dal calcolo il lavoro agricolo e quello domestico 355 mila sono a tempo pieno e 517 mila a part-time. Se si tolgono è il ragionamento Inps quanti lavorano poche ore, a intermittenza e quindi «a bassa intensità di lavoro», solo 20.300 lavoratori poveri sono tali per «ragioni salariali» e dunque con «livelli salariali orari insufficienti». Appena «lo 0,2% sul totale della platea dei dipendenti». E «distribuiti tra un numero rilevante di contratti collettivi nazionali di lavoro, inclusi quelli con le platee più vaste e firmati dalle organizzazioni sindacali maggiori». Quindi non sarebbe neanche e solo un problema di contratti pirata. Le aree «borderline» I lavoratori poveri, conclude Inps nel Rapporto, «risultano quindi sotto il profilo numerico una componente marginale dell’insieme del lavoro dipendente».